mercoledì 25 luglio 2007

MODA & MODI: casual flip flop

L'accusa peggiore che si portano addosso è quella di bloccare la carriera. Secondo l'americana Meghan Cleary, autrice di «The perfect fit: what your shoes say about you» (La misura perfetta: cosa dicono le tue scarpe di te), chi arriva in ufficio ciabattando trasmette un atteggiamento rilassato e balneare, poco in sintonia con la prospettiva di una promozione. Eppure, quest'estate come non mai, sembra camminare con i piedi per terra, anzi, con le dita infilate nella famigerata e poco aggressiva strisciolina. Sono le infradito, le ciabattine da mare che stanno ai sandali gioiello della donna presumibilmente in carriera, come il pigiamone di flanella sta alla sottoveste di seta. E sono dappertutto: le flip flop, come le chiamano i modaioli, si sono affrancate dal loro uso basilare e ora si trascinano orgogliosamente in ogni situazione e a qualsiasi ora del giorno e della notte.
Chi non ha nelle orecchie quel domestico s-cic s-ciac che accompagnava il tragitto verso l'ombrellone e la sensazione di far scivolare il piede disidratato e un po' sabbioso su quella fettina rovente di pura gomma? Dimenticatevene. Le infradito hanno lasciato la spiaggia e sono diventate da passeggio, da lavoro, perfino da sera.
Mentre gli americani abbandonano il Casual Friday  (il venerdì che precede il weekend, quando ci si può vestire sportivi. In una memorabile puntata di «Sex and The City» l'avvocato gay dello studio di Miranda arriva in t-shirt di velo su pantaloni cargo, e questo segna la fine dell'iniziativa...), e tornano al «dress code», una sorta di galateo della moda, da noi - fisiologicamente in ritardo - il Friday in casual si spalma su tutta la settimana. Bermuda, ombelico a vista, e, of course, infradito. Molte società d'oltreoceano hanno posto un veto formale, ma anche qui qualcuno è già corso ai ripari con una circolare ai dipendenti: «Per favore, niente pance scoperte e niente infradito». Lo «sciabattamento», se congela la carriera di chi lo pratica, disconcentra, o meglio, irrita tutti gli altri.
E, nonostante gli sforzi di quante flip-floppano in giro con gonnelline fiorate o che adottano la versione infradito-Birkenstock con doratura (dal temibile effetto insaccato se prive di polpacci all'altezza...), vien sempre da pensare che da qualche parte, magari nella borsetta, ci siano i sandali «veri», pronti a risollevare il glamour di almeno qualche centimetro di tacco. Perchè se le espadrillas, pure loro raso terra, suscitano un rigurgito di nostalgia «come eravamo», le infradito non riescono a liberarsi di quell'aria un po' sciatta, da campeggio, non importa quante paillettes si mettano addosso.
Sugli uomini? Fanno tanto «tronista» della De Filippi, categoria che sembra - e mai troppo presto - finalmente in ribasso.
@boria_a

martedì 24 luglio 2007

MODA & MODI

Men with bag

Giorgio Armani, autunno-inverno 2007

Quando un uomo si trova a dover «trasportare» qualcosa, quando cioè non riesce a consegnare tutti i suoi piccoli ammenicoli quotidiani alla rispettiva accompagnatrice - pregandola di «potresti tenermi questo nella borsa??» e di solito si tratta di quel chiletto di ferraglia - dà luogo ad alcune delle più fastidiose tipologie che ancora si avvistano in giro. Perché il «trasportare» equivale di solito al «mettersi addosso», non importa se l'operazione finisce per creare inquietanti propaggini e bitorzoli che spuntano all'altezza di tasche e giro vita.

La prima tipologia, pare fortunatamente in via di estinzione, è l'uomo col cellulare attaccato alla cintura e custodito in quelle respingenti bustine plasticate. Quando il suddetto telefonino suona o vibra, ecco che il nostro, con suprema stupefazione, si scosta la giacca (ma ci sono anche quelli che lo tengono «a vista») «sbottona» la custodia, armeggia per completare l'estrazione e finalmente, dopo quel buon minuto di piacevole esecuzione di suoneria polifonica (da Mozart all'inno di Forza Italia), risponde alla chiamata.


La seconda tipologia è quella dell'uomo-moschettone, che appende una bella manciata di chiavi (chiavi di che, esaurita la sequenza casa-garage-scrivania dell'ufficio? boh) alla cintura dei pantaloni e poi la sistema nella tasca posteriore o anteriore, salvo prodursi in imbarazzanti contorcimenti quando deve sedersi o appoggiarsi da qualche parte.


La terza è duplice: il vecchio estimatore del borsello a mano o a tracolla, razza in via di fisiologica decimazione, il ragazzo con lo zainetto, di solito prossimo ai cinquanta e a caccia di conferme, il palestrato con il tascapane a tracolla che sfreccia su due ruote verso il mare con dentro Men's Health. Dal prossimo inverno, ci dicono gli stilisti, cambierà tutto. L'uomo alla moda avrà la «sua» bella borsetta, una specie di enorme shopping bag in materiali spiritosi, tipo plastica o corda, e naturalmente supergriffata. Piacevole veder sfilare in passerella disinvolti maschioni in pantaloni attillati e polo di cashmere che fanno ondeggiare vezzose sportine vuotissime, fingendo talvolta di frugarvi alla ricerca dell'unico oggetto contenuto: l'iPod.


Prevedibile che il nuovo accessorio non abbia il ben che minimo effetto pratico, salvo stuzzicare quei tamarri da copertina che, insieme alle catene dorate, al tatuaggio sul bicipite, al mocassino tutto-logo, si doteranno anche della maxi-borsa con cui trotterellare all'happy hour.
twitter@boria_a

venerdì 13 luglio 2007

E' ITS Six A TRIESTE
Al tailandese Ek Thongprasert la sesta edizione del fashion contest

TRIESTE ITS Six è stato vinto dal tailandese Ek Thongprasert, che si è aggiudicato 20mila euro per la Fashion Collection of the Year. Il Diesel Award è andato al giapponese Taro Horiuchi, il premio speciale alla lituana Migle Kacerauskiene. Due premi a Justin Smith (i-D Award e Maria Luisa Award), mentre il Vertice Award è stato vinto dall'indonesiano Heaven Tanudiredja. Al primo posto per gli accessori la tedesca Susanne Happle, il Ykk Award all'israeliana Liron Braker e il premio speciale ad Anna Sheldon. Per la fotografia ha vinto due premi Jing Quek di Singapore (uno a pari merito con l'italiana Maria Giulia Giorgiani). Anno di studio a New York a May Heek.

L'uomo di Ek Thongprasert

Ex Pescheria, piazza Venezia, imbocco di via Diaz. Nel cuore della pigra Trieste estiva un triangolo umano «anomalo». Il piazzale antistante il Salone degli Incanti è animato da un'indecifracile koinè linguistica: inglese per tutti e poi una babele di idiomi  ncomprensibili, dall'Estremo Oriente alla Lituania. È la tendopoli della moda che come ogni anno, nelle giornate di ITS, invade gli spazi del centro con i suoi spiazzanti ospiti arrivati da mezzo mondo e che in questo weekend si è trovata contigua agli ingombranti camion della produzione cinematografica di «Rebecca», parcheggiati fuori dal Revoltella, tra estemporanee comparse in abiti degli anni Trenta e gli inconfondibili «aò!» romaneschi.
Trieste sottosopra, per dirla alla Mauro Covacich. Chi la riconosceva, ieri notte, serata conclusiva del concorso di moda, accessori e fotografia, quando la musica rutilante dei dj Electrosacher faceva rimbombare i grandi spazi del fu mercato del pesce e sulla passerella cavalcavano modelle slavate dell'Est, mostrando quella che per ventidue aspiranti stilisti, i finalisti dell'edizione 2007, sarà la moda del futuro?
Tra pochi giorni questi spazi saranno attraversati dai bianchi e neri delle sculture di Marcello Mascherini e dei suoi coevi, ma ieri notte dominavano i colori, i decibel sparati a palla, la fantasia esasperata, i sogni di questi ragazzi pieni di sogni che hanno trasformato e frullato kimono, obi, smoking, plissè fino a farne involucri irriconoscibili, mostruosi perfino, che colpiscono a volte per l'apparente importabilità, ma che nascondono, a guardarli da vicino, a toccarli, lavorazioni certosine, da artigiani raffinati.
Fuori, davanti al golfo, cuscini e chaise longue colorati, importati dal riminese, davano un che di «morbido» al pur radicato edonismo triestino. Dentro, una serie di quinte nere, dove sono state appese le immagini dei tredici finalisti della sezione fotografica di ITS Six, per giudicare la quale è arrivato un maestro come Gianni Berengo Gardin.
E poi tanti parallelepipedi illuminati per mostrare al pubblico gli accessori in concorso: stivali, borse, anelli, collari, bracciali. Accanto, i cappelli di un folletto inglese coperto di tatuaggi, con un paio di treccine alla Pippi e i lobi delle orecchie incapsulati in una fila di anelli dorati. Si chiama Justin Smith, diplomato sei mesi fa al Royal College of Art di Londra, e immagina donne che portano architetture di ventagli, calotte con piume, tese larghissime che poi si avvoltolano e diventano coprispalla. «Trieste? Mi avevano detto che era un posto così
piccolo e invece ho deciso di starci un giorno in più, voglio vederla meglio, sono sicuro che mi darà qualche ispirazione», dice Justin, meritatamente pluripremiato, con la pelle mielosa dei britannici aggredita senza pietà dal sole delle Rive. «The weather? "Too" wonderful for me», tempo troppo «meraviglioso» per lui.
Una qualche aspettativa diversa sulla metereologia locale l'aveva anche uno degli ospiti illustri in giuria, Colin McDowell, responsabile della sezione «style» del londinese Sunday Times e tra i più autorevoli commentatori internazionali di moda. «Meraviglioso vivere qui. Finalmente un posto - sospira - dove non incontri quegli insopportabili turisti inglesi e americani. Ma mi avevano detto che qui c'è vento. Io sono scozzese - dice allargando un sorriso attraverso le guance rosse - non mi sarebbe dispiaciuto...». 
McDowell oggi sarà a Milano, al balletto di Bejart con cui la Scala ricorda il decennale della morte di Versace. «"Sei a Trieste???", mi hanno detto i miei amici milanesi», racconta. «"E che ci fai là??". Loro non ci sono mai venuti, come me, ma gli ho detto che è una città "terrific", bellissimo anche il concerto dell'altra notte in piazza Unità, mi sono divertito da matti a guardare le facce della gente. Milano è troppo commerciale, dominata solo dai grandi nomi, Prada, Dolce&Gabbana. Qui si respira un'aria diversa, ma non è rilassante, questi ragazzi ti obbligano a un'attenzione costante, è difficile scegliere i vincitori».
In prima fila, alla sfilata nell'ex Pescheria, Renzo Rosso, il tycoon del denim, che già venerdì, insieme al suo direttore creativo Wilbert Das, si aggirava tra le mostre, in pantaloni bianchi e flip flop, fiutando talenti da reclutare per la sua scuderia. Più in là, con signora, il sindaco
Dipiazza, che pare abbia gradito questa momentanea rivoluzione della Pescheria, e ancora l'assessore regionale Roberto Cosolini, e l'assessore comunale Maurizio Bucci, un amico della prima ora di Barbara Franchin e di tutti gli organizzatori di ITS Six, che ieri sera, giorno del suo compleanno, è stato simbolicamente ringraziato con una candelina. Venerdì da queste parti è passato pure l'assessore alla cultura Massimo Greco, con un filino di curiosità.
Victoria Cabello scandisce i vincitori. Uno, ed è la novità, lo sceglie il pubblico via sms. L'ultima passerella è per tutti i finalisti, per la prima volta quest'anno arrivati anche da Estonia, Lettonia, Lituania, Romania. I più visionari, però, parlano le lingue dell'oriente, Thailandia, Sud Corea, Indonesia, Singapore, Giappone. Hanno nel dna manualità e cultura antica, più la capacità di intercettare il futuro. Quel futuro nella moda che, per qualcuno di loro, ieri notte è cominciato da qui.

twitter@boria_a

martedì 10 luglio 2007

MODA & MODI: estreme estremità

Meghan Cleary (www.missmeghan.com)

La pazza estate è cominciata, soprattutto dietro le scrivanie. Il caldo affloscia i freni inibitori e il primo a saltare è quel dress code da ufficio che, per quanto trito, nei mesi invernali impedisce alla dignità estetica di finire allegramente sotto i piedi.
I piedi, appunto, sono i primi a beneficiare della liberazione selvaggia dall'indumento. Ecco allora che lui infila il piede nudo nel mocassino o nella scarpa da ginnastica perchè ha seguito con attenzione le ultime passerelle della moda maschile, salvo poi - visto che in genere la sua giornata dura più dei due minuti della passerella - doverlo scrostrare ogni sera con laboriose operazioni. Meglio nudo, comunque, che infilzato nell'obbrobrioso «fantasmino», quella mezza calzetta, in tutti i sensi, che molti davano prossima a morire già nelle scorse stagioni e che invece continua a godere di ottima salute e soprattutto fuori dalle palestre, dove invece dovrebbe essere confinata.
Non c'è niente che accasci di più qualsiasi tipo di velleità, giammai erotica ma pure di semplice conoscenza, che vedere quel piccolo ritaglio di stoffa spuntare dal bordo della scarpa, bianco o anche blu che fa più distinto, come ad affermare una sua orgogliosa presenza («fantasmino», lo dice già la parola, ha un che di infantilmente burlone e finisce per risalire sempre da qualche parte, per quanti sforzi si facciano per schiacciarlo verso la pianta del piede). E che dire di quei sandaloni marroni, bisex, da teutonico in vacanza che hanno il duplice effetto di dare al piede la linea di una bistecca oltre ad appiattire verso il basso tutto il polpaccio?
D'estate poi si assiste a uno strano fenomeno di mutazione genetica femminile: le «zoccolanti», che d'inverno infilano i jeans con le tasche posteriori griffate dentro stivaloni da mandriano e che deambulano con la stessa leggiadra gentilezza, si trasformano nelle «ciabattanti», il cui arrivo è annunciato dall'inconfondibile «s-cic s-ciac» delle infradito di gomma, un tempo la calzatura dei vacanzieri che sciamavano mestamente verso le spiagge i massa, oggi sdoganate per la vita urbana.
Meghan Cleary ne «La tenuta perfetta» mette in guardia: «Le scarpe rappresentano il tuo stato d'animo. Indossare flip flop in ufficio non è un buon messaggio. Vuol dire che ti senti rilassato e in vacanza» (suggerimento applicabile anche agli stivaloni, altrettanto rumorosamente «ludici»). Banche e grandi società inglesi e americane le hanno specificamente vietate, mettendo un argine alla deriva balneare del «casual friday», l'abbigliamento sportivo concesso nel venerdì che precede la pausa del weekend.
Ma l'allegra estate dell'ufficio non finisce qui. Spuntano camicie fiorate, quelle che di solito si mettono una volta sola, nel viaggio di ritorno dalla vacanza esotica, ombelichi e pancette a vista, canotte, pantaloni informi, polo stazzonate che rivelano ogni debordaggio, cinture taroccate, «crocs», abiti sottoveste che non aiutano nemmeno la carriera, visto che, dicono gli psicologi, mostrare le proprie imperfezioni abbassa l'autostima e suggerisce indecisione (indecisione? Caso mai coraggio...).
La ricetta? Un po' di buon senso. A cominciare dalle estremità. E se proprio si è tentati dai bermuda, ricordare che Armani li considera di suprema eleganza per l'uomo, purchè portati con giacca e cravatta. E sempre, sempre, con i calzettoni.
@boria_a