IL LIBRO
Mamma, figlia, un fratello scomparso
Il lato oscuro dei legami di sangue
Due fratelli camminano per mano durante una festa di Carnevale. Lui, Andrea, ha sei anni ed è un bambino speciale: biondo, occhi azzurri e capelli fluenti, il visetto da pubblicità. Per quello sono lì, quel giorno: ci saranno tanti fotografi, ha pensato la mamma, e Andrea avrà un intero book senza spendere troppo. Noemi ha nove anni ed è una bambina anonima, castana, sgraziata, quella che si siede sul bordo della vasca o sulla tazza del water mentre il fratello viene coccolato e poi infilato nel lettone. Quel giorno, però, la mano di Andrea scivola da quella di Noemi e il piccolo scompare. Rapimento per estorsione, traffico di organi, una donna senza figli (perché un bambino così bello fa gola a tutti, ripeteva la mamma davanti alle telecamere), magari addirittura la cognata che se l’è portato via?
Intorno a Noemi, che immaginiamo rimpicciolirsi sotto il senso di colpa, cresce come una pianta maligna il baraccone mediatico. Iniziano le telefonate notturne dei mitomani, si susseguono gli appelli alla televisione. È sempre lei, la madre, gli occhi socchiusi in favor di telecamera, a ritagliarsi il ruolo della più sofferente, mentre il padre si infila nell’inquadratura per trascinarla via. Il sospetto, taciuto, investe anche lei, la sorellina maggiore, forse gelosa, chiaramente la meno amata. «A chi vuole più bene la mamma? Chiedevano sconosciuti nella stanza del commissariato....». Oppure: «Lo hai preso tu? Noi sappiamo che l’hai preso tu...». Per mesi passano sullo schermo le immagini di Andrea, della casa. «E io, al di qua dello schermo, a provare sollievo. Che significava sollievo a quel tempo? La sera che arriva».
Tagliente, brusca, morbosa, Teresa Ciabatti ritorna a dissezionare la famiglia, come nel superbo “La più amata” (Mondadori, ne parlo in questo blog), che ha sfiorato, e purtroppo perso, il Premio Strega. Ma non è il giallo della scomparsa di un bambino quello che le interessa - che pur resta la cornice disturbante dei comportamenti - quanto arrivare all’osso di un rapporto madre figlia osservato attraverso la lente di ingrandimento di questo dramma, che si dipana nell’era delle sparizioni in diretta televisiva, dei parenti rincorsi col microfono, del tam tam dei social.
Già il titolo del suo nuovo libro, “Matrigna” (Solferino, pagg. 205, euro 16,50) suggerisce una chiave di lettura. Noemi cresce, anonima e coriacea, custodendo la sua ferita e disarmando gli psicoterapeuti. Non diventa bulimica, non si taglia la pelle, anzi riesce a lasciarsi alle spalle il paese, si laurea, diventa traduttrice, trova un compagno e il sollievo dell’anonimato, una dimensione dove non è più “la sorella di”, “l’altra figlia”. «La sepoltura di mio fratello era avvenuta ogni istante della mia nuova vita in città».
E quella mamma-matrigna che nel cono di luce della televisione del lacrimificio si sentiva in qualche modo compensata della perdita? Quella mamma depressa, ossessiva nelle sue manie, terribile verso la zia che ai bambini regalava momenti di serenità, al punto da trascinarla nel registro degli indagati? Che assapora il protagonismo della disgrazia, ci sguazza, ne diviene dipendente fino a non riuscire più a rinunciarvi?
Anni dopo, una telefonata richiama Noemi a casa da Roma. La mamma ha avuto un incidente, è in ospedale. Ritornava da un locale da ballo, è bionda e garrula, e al suo fianco c’è Luca, un giovanotto premuroso dagli occhi azzurri conosciuto su Facebook, che potrebbe esserle figlio. Suo figlio? “Cara Carla, mi hanno colpito i suoi occhi», le ha scritto lui, che forse ricorda il fatto di cronaca, il rapimento irrisolto, chissà. Lei ha risposto, vincendo la ritrosia, in poche settimane ha accettato l’appuntamento. Facebook ha riacceso le luci, le ha permesso di non essere dimenticata.
Due donne tornano a confrontarsi davanti a una perdita lontana. La madre si appende al braccio del succedaneo del figlio che la riporta al centro dell’attenzione, mentre Noemi, in quegli occhi azzurri, che sa estranei, forse disonesti, cerca il ristoro a uno strappo mai sanato, la mano scivolata dalla sua. E si riscopre sola, ma con un battito d’ali forte, pronta a volare via.
La lingua di Teresa Ciabatti è scarnificante. Per dirci, ancora una volta, che quello di sangue è un legame insidioso, mai consolatorio. —
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sabato 27 ottobre 2018
sabato 1 aprile 2017
IL LIBRO
La più amata fa i conti col Professore
«Mi chiamo Teresa Ciabatti, ho quarantaquattro anni e voglio sapere chi è mio padre». È una pretesa, un bisogno, un grido, una ferita. Un’ossessione che percorre ogni pagina di questa singhiozzante, compulsiva, violenta biografia di famiglia, “La più amata” (Mondadori, pagg. 218, euro 18,00), candidata al Premio Strega. «Mi chiamo Teresa Ciabatti, ho quarantaquattro anni e non trovo pace». Non dormo, ingrasso, non so amare nè perdonare. Un mantra che trascina a fondo il lettore. Che cosa ha generato questa donna incompiuta? Da dove originano la sua anaffettività, la sua inquietudine, il suo autolesionismo fisico e sentimentale? E che cosa c’è da sapere, cosa si nasconde nel passato di una scrittrice (quattro romanzi di nessun successo e sei film, di cui tre si rifiuta di mettere nel curriculum: così dice), ora mamma (disattenta e inadeguata, porta la bimba a scuola solo se la tata torna in Moldavia), senza più legami con i parenti, nemmeno col fratello gemello?
Che cosa non le è stato detto dai genitori entrambi morti, che cosa ha visto e non capito, nella sua infanzia da principessa?
La più amata è lei, Teresa, la cocca e l’orgoglio di papà, la figlia prediletta del potentissimo e ricchissimo Lorenzo Ciabatti, primario dell’ospedale di Orbetello, proprietario di appartamenti, terreni, perfino un grattacielo a Grosseto. Il patrimonio lo gestisce il fratello Umberto, l’altro, Dante, ha partecipato al tentativo di golpe di Junio Valerio Borghese. Soldi, tanti, e frequentazioni pericolose.
Si è specializzato a New York, il Professore, racconta di aver conosciuto Regan, Sinatra e Marilyn, ma ha rinunciato a una carriera brillante per esercitare in provincia e curare i bisognosi, facendo del “suo” nosocomio un polo avanzato. Ricco e tirchio: al bar non ha mai gli spicci, ma c’è sempre qualcuno che paga e offre. Teresa è l’unica a poter giocare con quello strano anello che papà non sfila mai dall’anulare: zaffiro e compassi - l’anello dell’Università americana, minimizza lui - per gli astanti simbolo di dominio, di diritto alla deferenza e alla sottomissione. Non fa eccezione sua moglie, Francesca Fabiani, anestesista e allieva del professor Valdoni, bella, indipendente e un po’ hippie (una lesbica e una zingara, traducono le chiacchiere quando arriva in paese), che, sposandolo, rinuncerà alla carriera per una vita di ombre e tradimenti, da agiata depressa cui viene inflitto un anno di cura del sonno. Dopo una lunga guerra fredda, il divorzio sarà brutale: il Professore dice di aver accumulato debiti con affari petroliferi, svuota i conti italiani ed esteri, vende gli immobili, fa in modo di dare il minimo a moglie e figli.
I ricordi di Teresa sono precisi, millimetrici: il bunker sotto l’immensa piscina della villa al Pozzarello, la prima dell’Argentario, il misterioso tentativo di rapimento di papà, la Ferrari gialla di Licio Gelli, L.G., come si firmava sui biglietti dei regali quest’amico di famiglia. Ricordi che, più avanti, diventano numeri: i ventitrè lingotti d’oro da quindici chili come castello per le sue cento Barbie, gli undici bagni della villa. No, mio papà non è il guardiano, è mia..., sbuffa agli amichetti che vuole dominare per proprietà transitiva. A danza, seppure già sovrappeso, ha sempre il ruolo da protagonista: e come potrebbe essere altrimenti per la figlia del Professore, l’uomo che può tutto?
Ventisei anni dopo la sua morte, Teresa Ciabatti descrive il padre come ateo, bugiardo, fascista, senza scrupoli e massone. Un calcolatore, implicato in fatti bui della storia recente. Lei, la più amata, è diventata un’adolescente disperata e smodata, poi una donna infelice, una “persona cattiva”, come si firma nel blog e su Twitter. Per questo vuole sapere. E così Teresa va indietro, scava, si appiglia ai bandoli, agli spezzoni della famiglia, alle cose non dette ma registrate in qualche angolo della memoria. Investiga, interroga, cuce, ipotizza. Vuole indietro quell’infanzia da favola, quella famiglia che in qualche momento è stata felice, anzi è stata una famiglia. Vuole trovare il punto esatto dello strappo, quando è iniziata la guerra che ha lacerato rapporti e patrimonio, che ha tombato i segreti, che ha restituito un padre sconosciuto.
Il più amato dalla sua bambina. Arrabbiata, interrotta, che vorrebbe riuscire a rivederlo con quegli stessi occhi.
@boria_a
La più amata fa i conti col Professore
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Teresa Ciabatti |
«Mi chiamo Teresa Ciabatti, ho quarantaquattro anni e voglio sapere chi è mio padre». È una pretesa, un bisogno, un grido, una ferita. Un’ossessione che percorre ogni pagina di questa singhiozzante, compulsiva, violenta biografia di famiglia, “La più amata” (Mondadori, pagg. 218, euro 18,00), candidata al Premio Strega. «Mi chiamo Teresa Ciabatti, ho quarantaquattro anni e non trovo pace». Non dormo, ingrasso, non so amare nè perdonare. Un mantra che trascina a fondo il lettore. Che cosa ha generato questa donna incompiuta? Da dove originano la sua anaffettività, la sua inquietudine, il suo autolesionismo fisico e sentimentale? E che cosa c’è da sapere, cosa si nasconde nel passato di una scrittrice (quattro romanzi di nessun successo e sei film, di cui tre si rifiuta di mettere nel curriculum: così dice), ora mamma (disattenta e inadeguata, porta la bimba a scuola solo se la tata torna in Moldavia), senza più legami con i parenti, nemmeno col fratello gemello?
Che cosa non le è stato detto dai genitori entrambi morti, che cosa ha visto e non capito, nella sua infanzia da principessa?
La più amata è lei, Teresa, la cocca e l’orgoglio di papà, la figlia prediletta del potentissimo e ricchissimo Lorenzo Ciabatti, primario dell’ospedale di Orbetello, proprietario di appartamenti, terreni, perfino un grattacielo a Grosseto. Il patrimonio lo gestisce il fratello Umberto, l’altro, Dante, ha partecipato al tentativo di golpe di Junio Valerio Borghese. Soldi, tanti, e frequentazioni pericolose.
Si è specializzato a New York, il Professore, racconta di aver conosciuto Regan, Sinatra e Marilyn, ma ha rinunciato a una carriera brillante per esercitare in provincia e curare i bisognosi, facendo del “suo” nosocomio un polo avanzato. Ricco e tirchio: al bar non ha mai gli spicci, ma c’è sempre qualcuno che paga e offre. Teresa è l’unica a poter giocare con quello strano anello che papà non sfila mai dall’anulare: zaffiro e compassi - l’anello dell’Università americana, minimizza lui - per gli astanti simbolo di dominio, di diritto alla deferenza e alla sottomissione. Non fa eccezione sua moglie, Francesca Fabiani, anestesista e allieva del professor Valdoni, bella, indipendente e un po’ hippie (una lesbica e una zingara, traducono le chiacchiere quando arriva in paese), che, sposandolo, rinuncerà alla carriera per una vita di ombre e tradimenti, da agiata depressa cui viene inflitto un anno di cura del sonno. Dopo una lunga guerra fredda, il divorzio sarà brutale: il Professore dice di aver accumulato debiti con affari petroliferi, svuota i conti italiani ed esteri, vende gli immobili, fa in modo di dare il minimo a moglie e figli.
I ricordi di Teresa sono precisi, millimetrici: il bunker sotto l’immensa piscina della villa al Pozzarello, la prima dell’Argentario, il misterioso tentativo di rapimento di papà, la Ferrari gialla di Licio Gelli, L.G., come si firmava sui biglietti dei regali quest’amico di famiglia. Ricordi che, più avanti, diventano numeri: i ventitrè lingotti d’oro da quindici chili come castello per le sue cento Barbie, gli undici bagni della villa. No, mio papà non è il guardiano, è mia..., sbuffa agli amichetti che vuole dominare per proprietà transitiva. A danza, seppure già sovrappeso, ha sempre il ruolo da protagonista: e come potrebbe essere altrimenti per la figlia del Professore, l’uomo che può tutto?
Ventisei anni dopo la sua morte, Teresa Ciabatti descrive il padre come ateo, bugiardo, fascista, senza scrupoli e massone. Un calcolatore, implicato in fatti bui della storia recente. Lei, la più amata, è diventata un’adolescente disperata e smodata, poi una donna infelice, una “persona cattiva”, come si firma nel blog e su Twitter. Per questo vuole sapere. E così Teresa va indietro, scava, si appiglia ai bandoli, agli spezzoni della famiglia, alle cose non dette ma registrate in qualche angolo della memoria. Investiga, interroga, cuce, ipotizza. Vuole indietro quell’infanzia da favola, quella famiglia che in qualche momento è stata felice, anzi è stata una famiglia. Vuole trovare il punto esatto dello strappo, quando è iniziata la guerra che ha lacerato rapporti e patrimonio, che ha tombato i segreti, che ha restituito un padre sconosciuto.
Il più amato dalla sua bambina. Arrabbiata, interrotta, che vorrebbe riuscire a rivederlo con quegli stessi occhi.
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