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sabato 11 febbraio 2017

MODA & MODI

 Sentirsi addosso gli occhi della Ferragni




Il peggior incubo di San Valentino? Scartare il pacco regalo e vedersi scrutare dall'occhione cigliato del logo di Chiara Ferragni. Vanno in coppia: uno è sgranato, come quelli di lei medesima, l'altro è chiuso. L'effetto è un po' inquietante, soprattutto se piazzati sulle t-shirt bianche e sulle felpine all'altezza dei capezzoli. Un indicatore infallibile del target al quale questi prodotti sono indirizzati: ragazzine prepuberi o anoressiche, che non corrono il rischio di vedersi il seno vampirizzato dal brand della fashion blogger più famosa del mondo, appena salita in cattedra ad Harvard a spiegare agli studenti di marketing i segreti del suo impero commerciale.

In fatto di design, la fantasia della "blonde salad" non va molto più in là dei suoi bulbi oculari. Glitter a vagonate su qualsiasi superficie commerciabile - scarpe, magliette, zaini, giacchette, cover per il cellulare, berretti- una profusione di stelline e labbra rosso fuoco, l’immancabile sfarfallio di cuoricini che aggancia la generazione dei “mi piace”. Un mondo mieloso e ammiccante, un upgrade di hello kitty (lei sì micetta iconica).
Eppure - l'ha dichiarato la stessa Ferragni - con le sue "collezioni", soprattutto di scarpe, guadagna molto di più che con il blog, valutato una non disprezzabile cifra intorno agli otto milioni di dollari.


Come si spiega? Quale leva del desiderio promuove un’intera linea di calzature - dalle ballerine ai moonboot, passando per espadrillas e scarpe da ginnastica - uniformemente spalmate di brillantini e indistinguibili (se non per il prezzo) da quelle che si pescano nei cestoni di un qualsiasi supermercato? Perchè volersi mettere sulle spalle, sborsando minimo quattrocento euro, uno zainetto ordinarissimo, con un occhio impallato e uno chiuso? O un paio di stivali che lo stesso globo azzurro lo piazzano all’altezza dell’articolazione del ginocchio?


Si dirà: potere della firma di una millennial regina dei social. Un logo ipertrofico e confortante, per insicure, tamarre, nuove ricche. Pezzi banali, dal design inesistente, che non richiedono spregiudicatezza di abbinamenti ma sono subito riconoscibili. Simboli facili - la stella, il cuore, le ciglia da eroina manga - per piacere alla dodicenne che tormenta la madre come all’universitaria attenta alle “influencer”. E la piattezza , l'assenza di profondità e prospettiva delle immagini di Instagram che, come effetto perverso, contaminano il gusto.

@boria_a

martedì 16 ottobre 2012

MODA & MODI

Minetti e Fico, la testimonial è un boomerang

Parah ha dovuto precipitosamente chiedere scusa, dopo che il suo sito è stato sommerso da improperi per la scelta della "testimonial" Nicole Minetti in bi e tri-kini alla settimana della moda milanese. Pin Up Stars non è arrivata a cospargersi il capo di cenere, ma quanto a figura non è andata troppo lontano dalla griffe concorrente , mandando in passerella dentro (e fuori) dai suoi costumini il pancione di Raffaella Fico, ovvero l'unico dettaglio della vita privata sua e del nascituro che la showgirl non abbia ancora sciorinato ai quattro venti. Il motto è sempre lo stesso: anche volgari, purchè se ne parli. In un momento di saturazione dilagante, le aziende paiono più che mai convinte che arruolare personaggi dell'arrembaggio politico e del carrozzone dello spettacolo, o far sedere in prima fila qualche star, non importa se ripianata dal lifting purchè con toy boy al seguito, possa regalare visibilità internazionale, meglio ancora se le signore in questione documentano su twitter ogni loro spostamento. O se, come capitato a Sharon Stone, reduce dal party notturno di Just Cavalli, si sente male alla sfilata di Fendi, regalando così, in parti eguali a entrambi i brand, la spettante (e lautamente compensata) dose di mediaticità.
Cambia la front row alle sfilate, dove, accanto alle vip trascinate da un marchio all'altro, con il rischio che si dimentichino - vedi Kate Moss - quello di cui sono testimonial e quello che devono promuovere con la loro "ospitata" (il che, fondamentalmente, è lo stesso), siedono i blogger, gli unici ormai "logati" da capo a piedi. Poche idee, nessun rischio, tanto ritorno per loro stessi e per i marchi con cui instupidiscono la rete.
Eppure, sarà la crisi, l'aria sta cambiando, almeno nel mondo occidentale. A parità di prezzo, si ritorna alla sartoria, spopola il vintage, il capo anonimo è il nuovo snobismo. Fra sè e ciò che promuovono le Minetti e le Fico, si sente il bisogno di mettere le distanze. Come dalle collezioni pesanti e appesantite apposta perchè siano subito riconoscibili e databili, pensate per i ricchi stranieri che si attovagliano nelle griffe e sono gli unici a farle crescere. Viva la recession, viene da dire. Anche in "Venere in metrò" di Giuseppe Culicchia, la protagonista Gaia, milanese ex-ricca, si salva il giorno in cui non pensa più che il blog "The Blonde Salad", con il suo elenco telefonico di firme, sia l'unico punto di riferimento dopo la caduta del muro di Berlino.
twitter@boria_a


Nicole Minetti sfila  per Parah