Visualizzazione post con etichetta Libreria Lovat Trieste. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Libreria Lovat Trieste. Mostra tutti i post

mercoledì 1 giugno 2016

 IL LIBRO

Irene Cao, l'ero chick-lit che misura i nostri desideri (inespressi)



 
Irene Cao



Trilogia, duologia e ora, alla terza prova letteraria, una storia compiuta in un unico libro. E non è l'unica novità per Irene Cao, la scrittrice di Caneva, che, tra il 2013 e il 2014, ha mandato in fibrillazione l'ambiente letterario con le sue storie ero-soft, risposta italiana, meno hard e più harmony, alla torrida saga di catene e sottomissione dell'inglese E.L. James. Ora Irene punta a rimescolare un po’ le carte e ad affrancarsi dalla prevedibilità del genere, cambiando i dosaggi di una ricetta comunque vincente e con uno zoccolo duro di affezionate (e non solo, perché gli uomini negano ma leggiucchiano).
 
Dal 3 giugno 2016 sarà in libreria "Ogni tuo respiro" (Rizzoli, pagg 309 euro 16, che sarà presentato dall’autrice alla Lovat di Trieste il 23 giugno alle 18), vicenda d'amore e di ricerca - di se stessi, delle radici, del proprio posto nel mondo, e, quasi da ultimo, del partner - dove la pagina erotica, inevitabile per fidelizzare - è meno frequente ma almeno più verosimile.



"Ogni tuo respiro", terza prova letteraria di Irene Cao

Dopo la rapida confezione del secondo, doppio lavoro (Per tutti gli sbagli e Per tutto l'amore) sulla scia del successo della trilogia (Io ti guardo, Io ti sento, Io ti voglio, sempre Rizzoli, più di 400mila copie e traduzioni in molti paesi europei ed extra) e con l’urgenza di cavalcare, letteralmente, il tema, Irene Cao ha capito che gli amplessi distribuiti con regolarità ogni tot di pagine, come la prescrizione di un farmaco, rischiavano di trascinare i personaggi nel cliché, quasi prossimi al ridicolo: lei, sempre bella e con una carica erotica inesplosa di cui è inconsapevole, lui Mr Perfection, acrobatico animale da letto che la inizia ai piaceri della carne, peraltro molto ortodossi. (leggi anche "Trilogia",  " leggi anche " Duologia").

Tranquillizziamo le fan: l’eros c'è anche in "Ogni tuo respiro", ma la storia ne prescinde. Fa parte della fisiognomica dei personaggi: così, quando il primo regolarissimo rapporto coniugale tra la protagonista Bianca e Sebastiano, facoltoso grappaiolo nei dintorni di Bassano, è frettoloso e grezzo, contro il muro del bagno domestico, e lui ci si presenta subito "duro e urgente, come quando con la pala spinge la vinaccia dentro gli alambicchi", non tardiamo a capire che questo dorato matrimonio non andrà lontano. E che lui, lombrosianamente, è un fedifrago: già un po’ pingue, con i capelli diradati, concentrato solo sul suo pene e i suoi distillati.




Bianca ha le caratteristiche cui l’autrice ci ha abituato: artista - come la restauratrice Elena e l’interior designer Linda che l’hanno preceduta negli altri libri - questa volta la protagonista è un’insegnante di danza classica dolce ma coriacea, con un’ambizione da etoile seppellita per amore quando, appena diciannovenne e ammessa alla scuola di perfezionamento del Royal Ballet di Londra, rinuncia a tutto per il facoltoso Sebastiano. Ha fatto il contrario di quello che mamma Sara, un’ex hippy morta giovanissima e, per l’epoca, assai più trasgressiva della figlia, le aveva sussurrato prima di andarsene, “segui sempre i tuoi sogni”, confinandosi nella ricca e gretta provincia degli apericena, a disposizione dell’amato consorte.


Serve solo sbattere il naso contro l’evidenza, perchè le frustrazioni accumulate giorno dopo giorno, senza quasi registrarle, deflagrino dentro Bianca. E allora saranno il ricordo della madre, le sue lettere che custodiscono l’intimità di un’antica amicizia con Amalia in un’unica estate a Ibiza, il suo ciondolo-talismano, a portare la giovane donna lontano dal Veneto, sull’isola dove tutto è cominciato e dove, abbandonato il tutù per il corsetto educatamente fetish, libererà corpo e anima, trovando l’amore ma anche qualche peccatuccio di gioventù di cui non sapeva nulla e che sarà costretta a mettere nella giusta prospettiva dei suoi affetti.


Tra la “scopata senza cerniera”, che Erica Jong teorizzava 43 anni fa con il suo rivoluzionario “Paura di volare”, un anno dopo “Ultimo tango a Parigi”, e le autostrade delle possibilità accoppiative che Youporn spalanca ogni giorno ai naviganti, è passata un’era geologica di tabù abbattuti. Difficile che, quando la cronaca quotidiana è così generosa di ginnastiche sessuali di politici e religiosi, e la rete soddisfa a profusione ogni curiosità residua dei perver-nauti, sulla carta si possano suscitare con credibilità il brivido, lo stupore, figurarsi la curiosità della trasgressione. Che richiede una mente sofisticata, in chi scrive e in chi legge.


Sono tempi da eros politically correct, rassicurante e incline all’happy ending, annacquato tra i buoni sentimenti, un po’ scorri e getta, genere di conforto accessibile a tutti e a cui attingere senza rimorsi nè tantomeno pudori.
Come il lipstick index, che indica la profondità della crisi economica sulla base dell’aumento della vendita del rossetto, cosmetico consolatorio, economico, trasgenerazionale, anche questa morbida ero-lit, in cui Irene Cao si muove ormai con disinvoltura e semina emulatrici (leggi qui Sara Bilotti), misura il tasso di tutti i nostri altri desideri, destinati a rimanere inconfessati e soprattutto insoddisfatti.

@boria_a

mercoledì 20 aprile 2016

 IL LIBRO

Le antenate delle escort, portavano le mutande e mostravano i piedi


"Con Stile" (Garzanti) di Alessandro Marzo Magno

Boxer di sinistra e mutande di destra? Periodicamente questa disputa ideologica sull’intimo maschile compare nelle riviste di moda, attizzando il dibattito, di solito nei già roventi mesi estivi, sulle preferenze in fatto di biancheria di politici e personaggi pubblici. Ma il binomio tra lingerie e schieramenti non è un’invenzione dei giorni nostri. Nell’Ottocento la disputa si giocava sulle mutande femminili, a fronti capovolti. I progressisti le apprezzavano e i conservatori le respingevano. I precursori del socialismo, come il conte Henri de Saint-Simon, le consideravano un aiuto all’emancipazione femminile, mentre le suore orsoline vietavano alle ragazze di inserirle nei corredi da portare in collegio, giudicandole peccaminose.

Pochi altri capi hanno suscitato lungo i secoli così viscerali condanne o entusiasmi, rifiuti o adesioni. Nel medioevo non le portava nessuno, nè uomini nè donne, con conseguenze rischiose per promiscuità e igiene. Non solo. L’assenza di biancheria intima costrinse nel Cinquecento a commutare in altre forme di estremo supplizio la condanna a morte per impiccagione comminata alle donne, per evitare che i passanti sbirciassero sotto le gonne dei cadaveri appesi, oppure a infilare le malcapitate in pantaloni o in sottane cucite sul fondo prima di farle penzolare. Vale lo stesso per gli uomini, cui il cappio al collo produce conseguenze ancora più fastidiose, almeno da morti, come eiaculazione o erezione prolungata, tant’è che i criminali non venivano mai impiccati con i genitali nudi. Lo testimonia un particolare dell’affresco “San Giorgio e la principessa”, nella chiesa di Sant’Anastasia a Verona, dove i due uomini appesi alla forca sono provvisti dal Pisanello di adeguate mutande.


Lo scrittore e giornalista Alessandro Marzo Magno

Delle oscillazioni di storia, politica e costume in fatto di lingerie dà conto Alessandro Marzo Magno, scrittore e giornalista, in uno dei capitoli più gustosi del suo nuovo “Con stile” (Garzanti, pagg. 195, euro 18,00), una sorta di ricognizione tra gli abiti, gli accessori e le pratiche estetiche che hanno interessato nei secoli le diverse parti del corpo, dalla testa ai piedi.

Il libro verrà presentato dall’autore giovedì 21 aprile 2016, proprio nel giorno dell’uscita, alle 18 alla libreria Lovat di viale XX Settembre a Trieste e, il 29 aprile, alla profumeria Belle et Beau di via XXX ottobre 6/b a Trieste.

Arrivando dalle parti del bacino, non si poteva che registrare le vicissitudini delle mutande, adottate nel Cinquecento dalle signore di alto lignaggio per evitare gli inconvenienti delle cadute di cavallo, ma poi abbandonate. Piacevano di più alle signore francesi. Maria Stuarda, cresciuta alla corte parigina al tempo di Caterina de’ Medici, pose la testa sul ceppo indossandone un paio di fustagno bianco, alla moda d’oltralpe.

Le cortigiane, al contrario, ne andavano pazze, come attestano gli inventari compilati alla loro morte, dove le “braghesse”, così le chiamavano a Venezia e Ferrara, erano tessute con fili d’oro e d’argento, o di colori accesi come quelle “di raso paonazzo ricamado d’oro” che furono catalogate tra i beni di Paulina Povesin Vignon (1606), escort di classe.
Per quanto lunghe e orlate di merletti, secondo il figurino pubblicato nel Journal de Mode nel 1807, le mutande non convincevano le signore, che le ritenevano capo per ballerine e prostitute, mentre nella pudibonda Inghilterra vittoriana venivano addirittura definite “le innominabili”.


Sarà l’Ottocento, con le crinoline di ferro che allargano e sollevano le gonne ad ogni passo, scoprendo le gambe fino al ginocchio, a sdoganare i mutandoni anche nei collegi come “custodi di virtù”. Dalla fine del secolo in poi nessuna signora ne può più fare a meno e i modelli sono sempre più raffinati e preziosi. «Mi piacerebbe - scrive da Trieste James Joyce alla moglie Nora - che portassi mutande con vari strati di pizzi sovrapposti che risalgono dalle ginocchia in su per le cosce, e con nastri grandi rossi: non le mutande da collegiale con un bordo sottile di tristi merletti, aderenti alle gambe e così fini che la carne traspare, ma mutande da donna (o se preferisci la parola) da signora, con un fondo largo e abbondante, e le gambe ampie, tutte pizzi e nastri e merletti, e cariche di profumo».

Se le mutande femminili vivono alterne fortune, i peli superflui, dall’età romana a oggi, sono una costante da eliminare. Addirittura il trattato di cosmesi “L’armonia delle donne” di Trotula de Ruggiero, colta nobildonna salernitana vissuta nell’XI secolo, si apre con preparazioni depilatorie, a testimonianza dell’attenzione data al problema. Che, peraltro, veniva affrontato in maniera piuttosto radicale, con una pomata a base di calce viva, corredata, in caso di uso azzardato, da un apposito unguento antiustioni. Delle pratiche depilatorie esiste un curioso e poco conosciuto bassorilievo del XII secolo, conservato, in posizione defilata, al Museo Sforzesco di Milano, raffigurante una donna che con una mano si tiene sollevata la gonna e con l’altra si taglia i peli pubici utilizzando una grossa forbice.


Il bassorilievo si trovava murato nell’arco della Porta Tosa, uno dei dieci varchi nelle mura milanesi, e proprio dalla raffigurazione della ragazza (tosa, in dialetto) intenta a depilarsi, avrebbe tratto il suo nome. Una leggenda vuole che si tratti della moglie di Barbarossa e che il suo fosse un gesto di scherno rivolto ai milanesi, sconfitti dal marito nel 1162. Un’altra storia, di segno opposto, racconta che una popolana, radendosi il pube, abbia distratto i soldati dell’imperatore e favorito una sortita contro di lui. Tutto suggestivo ma falso, perchè, se la depilazione è pratica antica, delle origini del bassorilievo non si sa nulla.



Ciopine veneziane, antenate dei plateau






Gli "Armadillo" di Alexander McQueen, pericolosi come i calcagnetti
Dai cappelli ai tacchi, passando per petto, tronco, braccia, bacino e gambe, intrecciando storia e aneddoti, luoghi e personaggi Marzo Magno ci guida in un viaggio leggero ma accurato su come l’Italia ha vestito e svestito il mondo, ma anche sulle origini delle trasformazioni e decorazioni del corpo. Sulla tintura dei capelli, per esempio, ci vengono in soccorso sia la solita Trotula, con un lavaggio a base di mallo e corteccia di noce, allume e polvere di ghiande di quercia, sia, cinque secoli dopo, l’udinese Eustachio Celebrino che, nel 1526, pubblica “Venusta”, considerato il primo trattato di cosmetica a stampa di epoca moderna, in cui descrive una “acqua de bionda per capelli perfettissima” e molti altri rimedi - che ci dimostrano come la ricerca della bellezza segua sempre gli stessi percorsi - per eliminare le rughe, sbiancare i denti, togliere le macchie del viso e lenire le ustioni solari, nonchè una ricetta “ad restringendum vulva” dedicata alle cortigiane che avevano bisogno di tonificare la parte del corpo che dava loro da vivere.

In fatto di mastoplastica, poi, la chirurgia moderna ha certo perso in poesia rispetto ai seni artificiali in pelle di camoscio, raso imbottito e caucciù in vetrina all’Esposizione universale di Anversa del 1885, dove venne presentato l’antesignano delle protesi, il “Mammif”, una coppia di mammelle posticce adattabili al corsetto e gonfiabili a volontà.

Per le scarpe funziona all’opposto rispetto alle mutande: le donne caste coprono il piede, le prostitute lo scoprono, perchè mostrare le estremità è simbolo di libertà sessuale. Quanto ai plateau dell’epoca, i "calcagnetti" (che arrivano a 60 e 50 centimetri, come gli esemplari custoditi al museo Correr di Venezia e al museo Bardini a Firenze , probabilmente mai utilizzati), non servono a camminare nell’acqua alta, ma a ostentare ricchezza (pensate alla stoffa aggiuntiva per far toccare terra ai vestiti), privilegio (non si poteva certo far nulla a quell’altezza) e la disponibilità di servitori, indispensabili per appoggiarsi sulle loro spalle ed evitare di franare a terra. Per la monaca benedettina scrittrice Arcangela Tarabotti, vissuta a Venezia nella prima metà del secolo XVII, l’altezza delle calzature simboleggia la superiorità spirituale femminile. Agli uomini, però, interessa piuttosto l’utilizzo dei calcagnetti come strumento di controllo sulle femmine di casa, tant’è che quando la moda comincia a declinare, un anziano senatore veneziano, nel 1655, chiede di far alzare per legge la misura delle “zeppe”, in modo che mogli e figlie non potessero circolare liberamente. «Tutte le feste - si rammaricava - avebbero voluto per sè, trascurata la casa, et il mal governo avrebbe posto in scompiglio la famiglia».
twitter@boria_a

leggi anche:
http://ariannaboria.blogspot.com/2015/04/il-libro-tiramisu-e-cotolette-e-guerra.html
http://ariannaboria.blogspot.com/2014/04/i-l-libro-dal-cappuccetto-al-prosecco.html