venerdì 3 aprile 2015

IL LIBRO

Tiramisù e cotolette: è guerra in tavola




Su un punto tutti sono d’accordo, storici, storici della tavola, gourmand e semplici appassionati: il destino del “tiramisù” è scritto nel nome. Poco importa che si trattasse di fare recuperare le forze a una giovane puerpera, quella Alba Campeol che, nell’inverno 1969-70, appena diventata mamma di Carlo, era la datrice di lavoro dell’inventore del fortunato dessert, Roberto “Loly” Linguanotto, all’epoca ventiseienne e all’opera dietro i fornelli “Alle Beccherie” di Treviso.


Oppure, come invece sosteneva lo scrittore Giovanni Comisso, assiduo frequentatore del “Toulà” di Treviso, dove il “tiramisù” si serviva quotidianamente fuorchè d’estate, che quel dolce nato nella tradizione degli “sbatudìn” di uova fosse un corroborante per le ragazze delle “case chiuse”.
 
Quel che appassiona lo scrittore e giornalista Alessandro Marzo Magno è l’investigazione sulle origini dei piatti, al punto da aggiungere due capitoli importanti al suo “Il genio del gusto” (Collezione storica Garzanti, pagg. 412, euro 22,00), che torna in libreria ampliato da altrettanti thriller gastronomici: dov’è nato il “tiramisù”? E chi ha il copyright sulla “cotoletta”? Ovvero, è la dorata fetta di carne un prodotto italianissimo o è figlia dell’austriaca Wienerschnitzel?

 
La querelle sul tiramisù - lemma che, singolarmente, entra nell’Oxford English Dictionary, dov’è registrato nel 1982, un anno prima che nel Vocabolario della lingua italiana Zanichelli - incrocia anche il Friuli Venezia Giulia, come se non bastassero a contendersene la paternità le “Beccherie” e un altro trevigiano, l’albergo “Al Fogher”, distante circa due chilometri e orgoglioso ideatore della quasi identica “coppa imperiale”. In tempi recenti sono stati gli eredi del celebre “Roma” di Tolmezzo a rivolgersi a un avvocato per rivendicare l’invenzione del dolce italiano più famoso al mondo, subito rintuzzati da un’analoga pretesa arrivata da Mario Cosolo del “Vetturino” di Pieris, nel goriziano, e poi dal romano bar Pompi, che dice di aver creato il dolce nel 1960, quando era una semplice latteria, prima di cavalcare il business e fondare una piccola holding delle variazioni del tiramisù. A complicare la faccenda ci si è messo addirittura il New York Times con un articolo del 6 marzo 1958 dal titolo illuminante “What’s Tiramisu? Well, it depends...”, dove vengono registrate oltre duecento varianti, mentre sulla provenienza l’autorevole quotidiano spazia con ipotesi ad ampio raggio, dal Piemonte alla Campania, passando per Veneto, Lombardia, Toscana. E riporta anche il parere di Anna Mosca, manager del meneghinissimo Sant Ambroeus di Madison Avenue a Manhattan, che epura dalla ricetta il più lombardo dei formaggi: “nel tiramisù dell’Italia settentrionale non c’è mascarpone...”.

 
Sono però proprio i corregionali i più accaniti oppositori dei veneti nella battaglia del tiramisù. E in qualche modo c’entra anche Trieste, perchè Cosolo, a sentire la figlia Flavia, desunse il nome della sua coppa semifredda dal commento di un avventore triestino che, a dolce finito, se ne uscì con un soddisfatto “Ah, mi ha proprio tirato su”. Ennio Furlan, però, che al “Vetturino” fu cuoco per anni, sostiene che il dolce nativo di Pieris era a base di panna montata, panna al caffè e panna normale, mentre il mascarpone sarebbe arrivato negli anni Ottanta. Inoltre, a suo dire, Cosolo e Beppino Del Fabbro, titolare del “Roma”, erano amici (masterchef e precursori di Bastianich già all’epoca, entrambi dotati di auto, vera rarità del povero Friuli anni Sessanta...) e quando il goriziano saliva a mangiare in Carnia e gustava la versione locale del tiramisù, questa con mascarpone, scherzava col collega: «Ma come! L’ho inventato io e tu gli dai lo stesso nome?». La lontananza e la diversità di clientela, però, come saggiamente conveniva Beppino, permettevano una più che pacifica convivenza dei tiramisù friulani.

 
Gli eredi dei titolari del “Roma” la pensano diversamente. Questione di ingredienti, quanto basta per scatenare la battaglia legale. L’invenzione del dolce autentico - dichiarano, vantando documenti per ora “secretati” - è della moglie di Beppino, Norma Pielli, che negli anni ’50, lo confezionò modificando il dolce morbido di Pellegrino Artusi, con la sostituzione del mascarpone al burro. E il marito, fatalmente, avrebbe esclamato: «Questo è un dolce che tira su. Chiamiamolo tiramisù».

 
L’ultima parola sui natali la diranno i giudici, ma nell’offensiva mediatica dei giornali friulani, si è intanto infilata pure la politica. Quando il presidente del Veneto, Luca Zaia, decide di avviare la procedura per riconoscere al tiramisù il blasone di Specialità regionale garantita, rispuntano i ricordi di una novantatreenne Norma Pielli e la querelle tra friulani e veneti rimbalza addirittura su “Guardian” e “Daily Telegraph”.

 
Purtroppo, però, il dolce di Loly Linguanotto non è bastato a risollevare economicamente Carlo Campeol come aveva fatto con il fisico di sua mamma Alba. Dopo 75 anni, alla terza generazione di ristoratori, “Alle Beccherie” ha chiuso, proprio come il tolmezzino “Roma”. Nonostante il tiramisù, la serranda è stata tirata giù.



Alessandro Marzo Magno


Vicenda ancora più intricata e complessa quella della primogenitura della cotoletta tra Italia e Austria, dove entra in campo un esercito di variabili, tra osso, non osso, impanatura, infarinatura, frittura, larghezza e altezza. All’origine del presunto primato lombardo, ci dice Marzo Magno, c’è una bufala: in un documento del conte Attems, aiutante di campo di Francesco Giuseppe, si cita un rapporto del maresciallo Radetzky in cui, tra cosucce di maggior peso, viene esaltata la sublime ricetta dei milanesi della costoletta intinta nell’uovo, impanata e fritta nel burro... Nella lunghissima storia, a far da ponte tra Austria e Italia, entra anche il ricettario di Ottilia Visconti Aparnik, maestra di cucina al civico liceo femminile di Trieste.

Purtroppo, però, in nessuna biografia della monarchia asburgica c’è traccia del fantomatico conte Attems, nè tantomeno pare che Radetzky abbia messo il naso tra le padelle. Ma le bugie, si sa, sono più affascinanti della realtà, e le guide austriache continuano a ripetere che Vienna, capitale di un grande impero, importò i pezzi forti delle gastronomie suddite: le palacinke dai Balcani, il gulash dall’Ungheria e la dorata cotoletta da Milano...
@boria_a




5 commenti:

  1. Studiare la storia...chi era la moglie di Radetzky..le sue origini, i sicuri collegamenti con la famiglia dei Conti Attems, i ruoli di alcuni esponenti della famiglia Attems nell'establishment dell'impero austroungarico etc.
    Non so chi ha inventato la cotoletta, ma la storia non si cancella e si trova anche in rete...

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  2. http://www.genmarenostrum.com/pagine-lettere/letteraa/attems/attems-gilleis.htm

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  3. Mi pare che Marzo Magno abbia davvero esaminato una mole paurosa di documenti storici.Quindi secondo lei è possibile che la cotoletta sia passata attraverso il rapporto del conte Attems? Se così, ci sono elementi per un'alta edizione del libro....

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  4. Mi ripeto: non sono in grado di sostenere nessuna tesi sulla origine della cotoletta alla milanese o sulla wiener schnitzel. Mi riferisco solo a dati storici. Definire che nella storia della monarchia austriaca non ci siano tracce del cognome Attems definendolo fantomatico e' un errore macroscopico...molti esponenti hanno militato nelle alte gerarchie (vedere albero genealogico allegato precedentemente). Che la moglie di Radetzky sia stata una Strassoldo e che siano sposati in Friuli e' un altro dato storico. Che la famiglia Attems e la famiglia Strassoldo rappresentassero all'epoca nel territorio del FVG e non solo quello che oggi si definisce establishment e' un dato di fatto. Forse sono solo coincidenze....

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    1. Grazie! Sono sicura che Marzo Magno terrà conto di questa informazioni preziose. E anch'io vado a ripassarmi l'establishment dell'epoca, più affascinante di quello odierno.

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