martedì 23 settembre 2008

MODA & MODI: unghie technicolor
La french manicure non piace più. Out le unghie trasparenti o perlate con la lunetta bianca, la pazza moda delle estremità le vuole lunghissime e multicolori, con smalti accesi su cui vengono certosinamente applicati fiori, microdisegni o decorazioni di swarovski, strass e perline. Dovrà aggiornarsi anche una nota inviata televisiva negli Stati Uniti, che, a ridosso dei tornado dai nomi umani, sfoggia ancora un'impeccabile ma ormai superata french. Perchè è proprio l'America, sempre maniacalissima in fatto
di unghie, a lanciare la tendenza. Vezzosi artigli in technicolor e non solo per le donne. L'avete visto Al Pacino, ripreso a Roma qualche settimana fa, nel tour di promozione del suo nuovo film con De Niro? Nella limousine con autista, imbustato in un classico abito scuro, sfoggiava eccentriche e incredibili unghie laccate di azzurro.
Cambiare corso a mani e piedi, è da anni facilissimo negli States, dove una donna con le mani non impeccabili suscita la stessa curiosità che se girasse nuda. Basta entrare in uno dei comuni e dilaganti «nail parlour», dove, senza l'appuntamento-capestro e a una cifra accettabile, in mezz'ora, massimo un'ora se ci sono anche i piedi, silenziose estetiste orientali tolgono la pelle in eccesso, incremano, massaggiano, ridanno forma a estremità spezzate o smozzicate e applicano smalti e decorazioni senza mai sbagliare.
Nella pausa pranzo è un rito. E non infrequente trovarsi accanto a qualche maschio (anche etero) che si fa curare e limare le unghie, ormai talmente allenato da riuscire, senza attorcigliarsi, a tenere le dita di una mano in ammollo, consegnare l'altra alla manicure e parlare al cellulare o leggere una rivista, il tutto in quei microscopici banchetti dove la nostra recente ossessione per la privacy fa sorridere.
Esagerate e colorate. Unghie come piacevano a Diana Vreeland, mitica direttrice di Vogue America e poi del Costume Institute del Metropolitan Museum di New York che per tutta la vita, fin dagli anni '30, le portò lunghissime e rosse. Di un rosso particolare, però, che aveva visto ancora bambina nel quartiere delle geishe di Kyoto, durante un viaggio in Giappone con la famiglia. E siccome l'incontentabile Diana, dopo anni di ricerche, non aveva trovato la «nuance» dei suoi ricordi, la commissionò direttamente ad Helena Rubinstein, aggiungendo che il nuovo smalto avrebbe dovuto pure asciugarsi subito e non dopo le proverbiali tre ore dei cosmetici anteguerra.
Sarà pure tendenza, ma le unghie lunghe, se non sono perfette, diventano un terribile boomerang estetico. Difficile immaginare che le decorazioni a fiori e frutta, o i minuscoli swarovski che quest'estate hanno spopolato nelle località marine, resistano a lungo agli attentati quotidiani, domestici e lavorativi. E un lui che tenta l'approccio con lo smalto bluastro? A meno che non sia Pacino, e purtroppo è raro, roba da ridere...
@boria_a

Le unghie blu di Al Pacino (stylosophy.it)

martedì 9 settembre 2008

MODA & MODI: il viola che non fa più paura

Ingrid Betancourt dal presidente Sarkozy e signora
Se è il colore preferito da Michelle Obama, possiamo stare tranquille: chi più di lei ha bisogno di togliere di mezzo la sfortuna? L'aspirante first lady americana indossa spesso nelle occasioni ufficiali la nuance «ciclamino», particolarmente delicata sulla pelle nera. E c'è un'altra presidentessa che lo ha eletto a suo colore preferito per gli appuntamenti pubblici, Carla Bruni Sarkozy, tutta Audrey in quei deliziosi tailleurini di Dior tinta melanzana, prugna, fiordaliso, glicine. Sfumature comunque soffici, che donano al suo incarnato bianchissimo, senza congelarlo in un pallore livido, un po' funebre. Ingrid Betancourt l'ha scelto per presentarsi al presidente francese dopo la sua liberazione: uno «sdoganamento» ai limiti dell'audacia.
Guardatevi in giro. Non c'è vetrina dove non dilaghi. Timido nella ricomparsa, un paio di stagioni fa, oggi quasi invadente. Il viola non si nasconde più. Borse, scaldacuore, cappelli, sciarpe, calze, ma anche cappotti, vestiti, piumini, chiodi, e ancora pigiami e lingerie raffinata.
Viola perfino nell'abbigliamento per bambini e per camicie e pullover maschili, stemperato in malva, lilla, mirtillo, più accettabili e adattabili anche in guardaroba ingessati dal grigio e nero. Bando alle sciocche credenze, dire che porta male, questo davvero non va più di moda. Se nel Medioevo era il colore dei paramenti sacri della Quaresima, quando il teatro era bandito e gli attori facevano la fame per quaranta giorni, oggi più di una star dello spettacolo lo sfoggia in palcoscenico polverizzando secoli di fama jettatoria e non c'è tappeto rosso o prima in cui non compaia, imperativo e invasivo. Poche ricordano che la divina Duse, la prima a sfidare la sorte e il luogo comune, morì su un palcoscenico di Pittsburgh, il 21 aprile, 1924, fulminata in un abito viola... Men che meno Madonna, in lucidissima vernice malva (e non solo: praticamente ha saccheggiato tutta la palette) nel tour di «Confessions on a Dance Floor», il suo decimo album. E tantomeno Patricia Field, costumista guru di «Sex and the City», che veste Carrie in un abito viola-paramento al secondo matrimonio della sua amica Charlotte, dove ben altri sono i segnali di una presunta sfortuna: il vino versato sull'abito da sposa, il bicchiere che non si rompe sotto i piedi dello sposo, il foglio con il discorso che prende fuoco.
Mila Schön, la stilista dalmata scomparsa pochi giorni fa, fu tra le prime a farne un colore «portabile», insieme ai grandi della moda, Saint Laurent, Dior, Givenchy, Ungaro. E in «Rara avis», la bella bella mostra che il Metropolitan di New York ha dedicato a Iris Apfel, icona della moda americana (difficilmente arriverà in Europa, ma è corredata da un catalogo di Thames & Hudson), ci si può ispirare con un irriverente modello da sera di Lanvin, anno 1983: full-viola cangiante, modello monsignore, con tanto di bijoux a croce. Mai prima delle sei del pomeriggio, come vogliono gli ortodossi del dress-code? Gli stilisti dicono di no. Il viola più discreto si porta a tutte le ore, combinandolo col nero, col grigio, col verde, perché a dispetto della sua apparente rigidità cromatica, è un colore che si sposa volentieri con gli altri, li galvanizza, li «muove», li ammorbidisce. L'unico rischio è cadere nell'estremo opposto: è comunque una tinta imperativa, ne basta un po'. Personalmente ho ceduto su tutta la linea e, in una miniera del vintage, ho trovato tre nuance perfette, datate e immeritatamente abbandonate: giaccone prugna Donna Karan per i primi freddi, gilet mirtillo Westwood, borsina francese da sera melanzana anni Quaranta, a prova di superstizione.
@boria_a
Madonna in "Confessions on a Dance Floor"