lunedì 2 dicembre 2002

LA MOSTRA
 

Visconti e Tirelli, un'amicizia da film


Certe esistenze hanno un percorso di poesia, scriveva Guido Vergani nel 1993, nel catalogo della mostra «Vestire la scena», che alle Fruttiere di Palazzo Te celebrava per la prima volta la storia di un incontro magico, quello tra Luchino Visconti, regista maniacale nella ricostruzione degli abiti e degli ambienti, e Umberto Tirelli, il sarto che aveva deciso di vestire non gli uomini ma i loro sogni. Oggi questo straordinario sodalizio artistico viene ricordato in un'altra mostra, «La magia delle immagini» ospitata fino all'8 dicembre 2002 alla Mole Vanvitelliana di Ancona in occasione della riapertura del Teatro delle Muse, insieme a un percorso sulla storia del teatro e del suo restauro.
Sono costumi che raccontano trent'anni di cinema e di teatro, film, drammi, opere liriche dirette da Visconti e vestite da Tirelli, dall'abito disegnato da Salvador Dalì per la Rosalinda di Shakespeare, che debuttò il 26 novembre 1948, protagonista Rina Morelli, eseguito dalla Sartoria Palmer e ora raccolto nella collezione Tirelli Costumi, alla splendida toilette di raso nero per la sensuale Laura Antonelli de «L'innocente», anno 1976, realizzata da Tirelli, su disegno di Piero Tosi, nel suo stesso atelier. L'aveva aperto, nel 1964, dopo tanta gavetta, prima alla sartoria d'arte Finzi, poi alla Safas delle sorelle Maggioni, da cui erano usciti tanti costumi per altrettanti capolavori di Visconti: «Zio Vania», «Contessina Giulia», la riedizione della «Locandiera», «L'impresario delle Smirne», fino al ciclopico «Gattopardo».


L'abito di Laura Antonelli ne "L'innocente"

Al centro dell'allestimento di Ancona, il grande mantello bordeaux che, nel 1973, coprì l'ambiguo Helmut Berger nei panni di Ludwig. Fu un lavoro estenuante per entrambi, regista e sarto. La lavorazione lunghissima, attanagliata da un freddo polare, poi l'inizio del montaggio, in piena estate del '72, quando Visconti fu colpito da una trombosi cerebrale. Riemerse miracolosamente dall'ottundimento della malattia per concludere il lavoro, in carrozzina, con una moviola fatta installare apposta nelle scuderie di villa Erba, a Cernobbio, la casa delle sue estati di adolescente. Per il mantello di Ludwig, Tirelli spedì la costumista Gabriella Pescucci, all'epoca assistente di Piero Tosi, che lo aveva disegnato, a Monaco di Baviera perché riproducesse fedelmente l'originale: stoffa, taglio, ricami, tutto identico nella copia, salvo il colore che Visconti volle rosso per esigenze cinematografiche. Stesso tour de force per gli abiti di Elisabetta d'Austria, dilatati da immense crinoline nella prima parte del film e aderentissimi, spogli da ogni orpello, nella seconda.

Il mantello di Helmut Berger in "Ludwig" (1973) 
«Ho voluto molto bene a Visconti. Prima fu venerazione, poi fu sentimento più adulto, più riconoscente per l'uomo che straordinariamente si dava, per il suo esempio professionale... Vidi la sua fatica, la sua passione, il suo rigore nel prestare attenzione anche ai minimi particolari di una regia, di una messa in scena, anche al divenire di un costume dal bozzetto, anche al giro, alla piombatura di una manica...», scrive Tirelli, che aveva conosciuto il perfezionismo del maestro ai suoi esordi alla sartoria Finzi, lavorando per i costumi di «Come le foglie», messo in scena da Visconti con la compagnia di Lilla Brignone e Salvo Randone. Di lì a poco l'apprendista sarto teatrale avrebbe partecipato a un altro allestimento storico, quella dissacrante, rivoluzionaria «Traviata» che andò in scena il 28 maggio 1955, con le scarpe di Violetta lanciate spudoratamente verso il proscenio a liberare i piedi gonfi di mondanità e balli. La critica la osannò, celebrando Visconti come il creatore del melodramma in senso moderno, finalmente ripulito dalle croste delle convenzioni.
Uno dietro l'altro scorrono i costumi disegnati da Marcel Escoffier per le «Tre sorelle» di Cechov (un cast straordinario: Rina Morelli, Marcello Mastroianni, Rossella Falk, Sarah Ferrati, Gianrico Tedeschi, anno 1952), per Maria Callas protagonista de «La sonnambula» di Bellini nel '55, direttore d'orchestra Leonard Bernstein, per l'Anna Magnani di «Bellissima» nel '51 e l'Alida Valli di «Senso» nel '54, per «La caduta degli dei», «Morte a Venezia».
Alida Valli in "Senso", 1954
Imponente, s'intuisce, il lavoro per «Il Gattopardo», interamente realizzato dalla sartoria Safas: sette mesi di lavoro, duemila costumi, quattrocento soltanto per il ballo, di cui centocinquanta da gran sera. Un'opera di ricostruzione da far spavento. La nobiltà di Palermo non era usa ai provincialismi, vestiva alla parigina, con abiti e crinoline di Worth. Tirelli setacciò l'Italia alla ricerca di taffetà scozzesi e di pizzi antichi. Per mesi i suoi sogni furono occupati da Tancredi e da Angelica, dalle masse dei contadini, dalle toilette da ballo, dalle trecento camicie dei garibaldini, ognuna cucita da una sarta diversa perchè le divise dovevano sembrare fatte in casa, raffazzonate con gli avanzi di stoffa da mogli, mamme, fidanzate. Visconti era pignolo alla follia, proprio come Piero Tosi, autore dei disegni. Per ottenere i rossi «usati» e i pantaloni grigio-azzurri le stoffe vennero seppellite sotto terra e scolorite a furia di varechina versata con l'innaffiatoio.

Anna Magnani in "Bellissima", 1951
Leggendaria la tirannia di Tirelli, almeno quanto la sua fedeltà alle atmosfere storiche. La sperimentò Angelica-Claudia Cardinale, costretta a infilarsi in una «mise» da ballo mozzafiato, con il suo punto vita ridotto di quattordici centimetri.

Claudia Cardinale ne "Il gattopardo" (1963) con Alain Delon
 L'aveva sperimentata ancor prima, nel '55, Marcello Mastroianni che, invano, si ribellò ai pantaloni primo Novecento realizzati per il suo personaggio in «Zio Vania». Quando vide quel taglio col sedere segnato e il sesso portato in primo piano, ai limiti della decenza, Mastroianni fece il diavolo a quattro. Ma Visconti non sentì ragioni e il cavallo attillato cucito da Tirelli inguainò il pudico Michail Lvovic Astrov.
L'amicizia tra il sarto e il regista ha attraversato interi capitoli della storia dello spettacolo. Tirelli, ancora apprendista da «Finzi», sbirciava il maestro mentre preparava la «Vestale» alla Scala, protagonista la Callas. Alle prove ci andava con Danilo Donati, allora assistente scenografo, trent'anni dopo premio Oscar. «Fu il mio - racconterà più tardi Tirelli - un amore inconscio, nascosto: una cotta artistica che, poco più in là, si trasformò nell'amicizia determinante della mia vita e del mio lavoro, nella devozione dell'artigiano verso un  narrivabile maestro».
Luchino Visconti moriva il 17 marzo 1976, dopo aver dolorosamente rinunciato a due suoi grandi progetti, la Tetralogia di Wagner e la Recherche di Proust e aver tenuto duro fino alla fine per riuscire a concludere «Gruppo di famiglia in un interno» e «L'innocente». L'ultima volta di Tirelli in teatro fu nel maggio 1990, fra le quinte a faticare sui costumi di un'altra «Traviata» scaligera, esattamente trentacinque anni da quella storica, moderna Violetta che Visconti aveva diretto e che lui, agli esordi, aveva vestito. Certe vite, appunto, hanno un percorso di poesia. 

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