martedì 13 dicembre 2005

MODA & MODI: donne triangolo

Sei una donna «rettangolare»? O una donna «cucchiaio»? Niente paura, nessuna nuova classificazione inventata dagli esperti di marketing per corroborare le vendite in agonia. Uno studio americano su mezzo secolo di corpi femminili ha rilevato rivoluzionari cambiamenti nelle «misure». In archivio il tradizionale 90-60-90, magica terzina con cui maschi un po' demodè si ostinano a definire la perfezione nelle proporzioni femminili. Le curve a clessidra delle star del cinema degli anni Cinquanta e Sessanta, dalla Monroe alla Mangano, non esistono più. Addio maggiorate con il vitino di vespa, arrivano le donne geometriche, o, tutt'al più, a «pera» (coraggio, rientra in questo modello anche Jennifer Lopez, 

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Silvana Mangano
poco seno e tanto sedere). 
Addio girovita, concupito punto G della moda del dopoguerra. Oggi, secondo lo studio della North Carolina State University, appena otto donne su cento hanno fianchi e busto delle stesse misure. Tra noi, in sostanza, la Sophia Loren dei tempi d'oro sembrerebbe un'aliena. La popolazione femminile americana, come in tutto il resto del mondo industrializzato, è cresciuta in altezza e soprattutto nel peso rispetto a cinquant'anni fa. Abitudini alimentari e stili di vita hanno cancellato le sinuosità della clessidra, hanno piallato il seno, allungato le gambe, squadrato e allargato le spalle, asciugato il punto vita. 

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L'esplosiva Jessica Rabbit

Abbasso la sirena, le Jessica Rabbit, viva le femmine da disegnare anche col righello. 
Lo studio è stato condotto su diecimila donne americane, appartenenti a tutti i gruppi etnici e di varia estrazione sociale, divise per sei fasce d'età. Non pensate a cultori un po' feticisti con tanto di metro in mano, che abbiano graziosamente richiesto ai «campioni» di prestarsi a misurazioni equivoche. Scanner a tre dimensioni sono stati invece piazzati nei centri commerciali, con sensori collocati in quattro punti strategici, capaci di rilevare duecento obiettivi-chiave dei corpi femminili in meno di un minuto a soggetto. Ne è emerso che una donna su due, il 46 per cento del totale, è assimilabile a Uma Thurman, modello androgino, con la circonferenza che misura al massimo venti centimetri in meno rispetto ai fianchi o al seno. Poco più di due donne su dieci sono «pere» o «cucchiai», con i fianchi che eccedono di cinque o più centimetri la misura del petto (la Lopez, appunto, che del suo fondoschiena ha fatto un grimaldello). 
Uma Thurman

Il 14 per cento, per lo più sportive e palestrate, vengono definite «triangoli inversi», in cui il busto è di sette o più centimetri più grande dei fianchi.
Della nuova mappa del corpo femminile scaturita dalle ricerche antropometriche, la moda non sembra essersi accorta. Per questo continua a propinare abitucci disegnati per le forme di Barbie, giacchine da strizzare su un vitino sempre più immaginario, spallucce da collegiale un po' affamata, o pantaloni lunghissimi e striminziti sulle natiche.
Gli americani, of course, non si sono dati tanta pena per impedirci di trasecolare davanti allo specchio ogni volta che tentiamo di infilarci in una 44 troppo abbondante sul seno e col giro vita di un'anoressica. La ricerca è stata commissionata da Alva Products, un'azienda che realizza i manichini usati dagli stilisti per le loro creazioni, in modo che l'industria della moda si liberi finalmente da standard decisamente anacronistici. Più difficile sarà fare piazza pulita del 90-60-90, messaggio allusivo incomparabile rispetto a triangoli e affini, immediati ma irrimediabilmente prosaici.
@boria_a

martedì 29 novembre 2005

MODA & MODI: iniziali da maschio

Antonio Caprarica, autorevole testimonial delle iniziali sul colletto della camicia
C'è chi dice che è una delle nuove manie destinate a scongiurare l'identità del maschio sempre più in crisi. In passato erano un vezzo di professionisti e manager, rigorosamente ricamate sul lato sinistro del petto, unica fantasia concessa la scelta tra corsivo e stampatello. Oggi le cifre, le iniziali, si trovano nei posti più impensati, dai polsini al retro della cravatta, quanto più lontane dalla tradizionale collocazione, tanto più indice presunto dell'originalità del portatore.
Se pensate che le iniziali che Antonio Caprarica, corrispondente della Rai da Londra, porta impettite sui rigidi colletti delle sue camicie, siano una civetteria un po' fastidiosa, ricredetevi in fretta, almeno prima di scoprire che il vostro partner si è fatto tentare della calze cifrate, ultima trovata della moda maschile. Che un paio di calzini sbagliati possano far crollare l'eros è ormai patrimonio comune anche dei più riottosi, ma è ancora tutto da verificare l'impatto che la variante personalizzata avrà su mercato e compagne.
Un'azienda specializzata è tanto convinta che le calze cifrate rafforzeranno l'«ego» del maschio e non faranno ridere a crepapelle la sua signora, da aver messo in commercio una linea di alta qualità, non a caso chiamata «Initials». Filo di scozia, colori d'ordinanza, nero, blu e grigio scuro, con le letterine in azzurro da posizionare, a scelta, sul polpaccio o sulla caviglia, si trovano nei negozi più eleganti o si possono ordinare attraverso il sito internet (www.nigacalze.it), a un prezzo tutto sommato abbordabile, 15 euro al paio, se l'obiettivo è sentirsi più sicuri di sé.
Esagerato? Macchè. La cifra-mania contagia tutte le classi sociali, e scende verso il basso, pedalini e mutande compresi. Pare che non importi nemmeno che si notino, purchè ci «siano» da qualche parte, a dire al nostro uomo che non ha niente a che fare con i Costantini e gli Zequila che attraversano il piccolo schermo, con le loro camicie spalancate e i pettorali depilati.
Un vero maestro di eleganza, Gianni Battistoni della maison romana di via Condotti, assicura che i clienti di buon gusto si attengono al classico: cifre ricamate a mano, sotto il costato a sinistra, invariabilmente nero o blu. Il maschio urban-chic le porta anche sul taschino della camicia sportiva, button-down, il dandy sui polsini delle camicie da gemelli, qualche attore sul colletto.
Ultimo indumento disponibile per consegnargli la propria riconfortata identità sono i boxer, dove ci si può sbizzarrire con tinte meno convenzionali. Che siano l'equivalente maschile di reggicalze e lingerie di pizzo?
@boria_a

mercoledì 2 novembre 2005

L'INTERVISTA

Ottavio Missoni: "Per i miei 84 anni mi regalo uno stand all'Expo del Giappone"

 

Se gli chiedi quanti anni ha, ti risponde con una vecchia gag di Tino Scotti. «Una volta una gentile signorina in televisione, all'epoca in cui esistevano le vallette, gli ha domandato: "Signor Scotti, sia sincero, ma quanti anni ha?". Lui l'ha guardata e le ha risposto. "No ghe n'ho più".


Se la ride di gusto Ottavio Missoni, che oggi festeggia ottantaquattro anni, più di cinquanta dei quali passati a intrecciare, a combinare fili. «Put together» l'hanno chiamato gli americani, per descrivere quei suoi maglioni come tavolozze, che oggi sono esposti al MoMa di New York. Ma per Tai, stilista nato a Ragusa, olimpionico di atletica a Londra nel 1948, il put together è molto di più. Un'arte, ineffabile, di mescolare non soltanto la lana, ma l'amore, la famiglia, gli amici, gli incontri e un'azienda che oggi è sinomimo per eccellenza di maglieria italiana, di gusto italiano nel mondo.

Cinquant'anni e oltre, un punto dietro l'altro, sempre insieme a Rosita, la ragazzina sedicenne che s'innamorò di lui a Londra, vedendolo correre, e che da allora non l'ha lasciato più.
Buon compleanno allo stilista, dunque, ma anche a un meno conosciuto Missoni artista. A Villa Mazzucchelli, vicino a Brescia, è aperta infatti la mostra "Missoni e Tiziano. Colore e luce dal Rinascimento veneziano alla moda del '900", prorogata al 13 marzo 2006 per la grande affluenza di pubblico.


Il catalogo della mostra "Missoni e Tiziano" a Villa Mazzucchelli (Brescia)



Missoni adesso è anche pittore e grafico?  «I me ne fa far de tuti i colori... E' successo che questo signor Enrico Giustacchini, che è vice direttore del mensile d'arte "Stile", ha visto le mie agende annuali, sulle cui copertine ci sono alcuni miei disegni, dei miei progetti di lavoro. E ghe gà piasso 'sta roba... Così, insieme a una galleria d'arte, ha pensato di realizzare serigrafie e litografie. O che bel! se podarìa far, el me gà dito. E mi go dito: femo! Ma tutto nasce dalla mia agenda. Un privato aveva dei bei quadri, tra cui dei Tiziano, e così è nata l'idea di una mostra su "Tiziano e Missoni"...».


Non le fa un po' impressione questo accostamento?  «Onestamente devo dir che i me gà messo in bona compagnia. Tiziano no ghe xe più, no ghe posso domandar scusa. La mostra però è simpatica e gradevole da vedere».


Il colore rosso di Tiziano come il rosso di Missoni...  «Ah, queste son cose che s'inventano i critici, ne dicono veramente di tutti i colori. Se no ghe fossi i critici, mi no saverìa ben quel che fazo. Invece sono loro che dopo mi raccontano e mi spiegano...».


"La Violante" di Paris Bordon

"San Girolamo nella solitudine" di Tiziano Vecellio


E adesso ha firmato anche lo stand che il Friuli Venezia Giulia allestirà ad Aichi in Giappone, per l'Expo 2005... «E' un'iniziativa prestigiosa, in un paese che ammira e invidia il made in Italy. Sono particolarmente onorato di aver curato lo stand della regione che mi ha adottato. Ho pensato, insieme a mio figlio Luca, di vestire un gruppo di donne che conversano e che simboleggiano mondi diversi che si agganciano. Perchè sono le donne che portano avanti il mondo... Poi c'è l'azzurro del mare di Trieste e i patchwork che rappresentano la terra, le viti, le tinte di questa regione. Per noi il Giappone è uno dei mercati più importanti, dove siamo più conosciuti e apprezzati. Però qui non si trattava di presentare Missoni, ma un principio, un legame tra culture diverse».



"Armonia delle diversit", lo stand della Regione Friuli Venezia Giulia ad Aichi, firmato da Missoni


 
Come festeggerà questi suoi 84 anni?  «In casa. Mettiamo insieme un po' di amici, faremo un cin cin, un brindisi: insomma, se magna e se bevi. Mia moglie prepara pietanze molto nostrane, uno dei suoi piatti forti è la jota, leggerissima. La Rosita la gà imparà, conosce molto bene la nostra cucina, sia quella dalmata che quella triestina, che poi si sposano. La fa anche altre robe, ma sopratuto minestre...».


E in giro per il mondo non ci va più? «Sto fermo già da tempo, mi muovo il meno possibile. Adesso, se il mondo el vol girar in giro a mi, che giri pur lui, se no me va ben lo stesso. Qualche volta vengo a Trieste a trovare gli amici, le scorse settimane sono stato a Udine a festeggiare la Nonino. Dovevo tornare a Trieste per il Giorno del ricordo, ma quest'anno l'hanno celebrato anche a Torino, un dopion, e per me Torino era più comodo».


Ma come, lei che è sindaco...? «Io sarei non "sindaco del Libero Comune di Zara in esilio", ma "libero sindaco del Comune"... Xe diverso».


Ottavio Missoni con uno dei suoi arazzi


  Che bilancio fa di questi suoi ottantaquattro anni?  «Veramente cerco di guardare indietro il meno possibile. Tutto sommato non mi posso lamentare. Ho fatto un buon lavoro, ho una bella famiglia, tre figli, nove nipoti, una brava sposa. Sarà stata fortuna, o forse casualità più che fortuna, perchè non si sa mai perchè succedono le cose, come succedono... Dopo si ricostruisce, ma mentre accadono non si capisce. Mi, conti zerco de farghene pochi, perchè se te fa i conti, no i torna mai. Meglio lasciar stare la contabilità».


Casualità, ma anche scelte importanti.  «Tutto è iniziato per caso. Ho cominciato a fare le maglie a Trieste, in via Rossetti, al quarto piano, con il mio amico Giorgio Oberweger, che aveva una macchina da maglieria. Ne ho preso una anch'io e abbiamo fatto una società, la "Veniulia". Ma eravamo due presidenti, mancava chi lavorava. E così abbiamo trovato il cugino di Giorgio, Livio Fabiani. Dopo mi sono trasferito da queste parti. La "Veniulia" andava bene, ma a Trieste era più facile fare una nave che fare una maglia. Per un ago, un filo, dipendevi tutto da altre parti».
E allora? «Ho chiuso la società e ne ho fatto un'altra con la mia sposa, la Rosita, sempre con due, tre macchine. Per mi no xe cambià niente: mi sempre presidente, e la Rosita che lavorava. Cussì xe andà».

 

"Caleidoscopio" (1985) di Ottavio Missoni


Mezzo secolo di azienda e mezzo secolo di matrimonio... «Più, più. Le maglie abbiamo cominciato a farle nel 1948, io invece mi sono sposato nel '53, quindi è da cinquanta e passa anni che abbiamo questa società, che ha funzionato sempre bene, perchè ela la xe assai brava, mi son stà de apogio. E' vero. Nel lavoro eravamo al cinquanta per cento, non si può dire chi era più creativo, chi portava più idee... Ma la mula aveva anche una casa da amministrare, poi tre figli, poi i nipoti. E dopo anche cinque cani. E come finale, carico de briscola, la gaveva anche un marì. Se te fa le some, meio no far bilanci».


"Orion", uno degli arazzi di Ottavio Missoni


  Ma c'è qualcosa che non è mai cambiato, l'estate in Dalmazia.  «La mia sposa non cambierebbe quel mare con nessun altro al mondo. I miei figli hanno imparato a nuotare, a pescare in quel mare. Da anni torniamo, andiamo su e giù per gli scogli della Dalmazia con la barca e qualche amico. Le mie origini sono lì, ma la Rosita l'ha scelto quel mare, per lei non ne esiste altro uguale».


E a Zara, dove ha vissuto da bambino, ritorna? «Zara non esiste più. Noi esuli non abbiamo più una città di ritorno. Eravamo in ventimila, tre-quattro mila sono morti, novecento sono stati affogati, la città è stata distrutta, rasa al suolo al settanta per cento.
Non abbiamo più un punto di riferimento, non siamo come l'emigrante che se ne va in giro per il mondo ma ha il suo paese dove può tornare, se vuole, e trova la sua osteria, i suoi amici, torna a bater carte. Per noi di Zara tutto questo non esiste più. Sì, ci sono gli stessi tramonti, lo stesso pesce, la stessa bora, gli stessi profumi, ma la città no. Per noi dalmati, Zara esiste solo nel ricordo e nel nostro amore».


Lei poi viene considerato da tutti un triestino... «Ormai non smentisco nemmeno più. All'epoca Trieste mi ha adottato, ero già a Trieste quando avevo diciassette, diciotto anni e fingevo di studiare allo Scientifico, ma a scuola non ci sono mai andato, neanche un giorno. In questa città ho cominciato a lavorare e la mia famiglia era qui quando me ne sono andato a Milano. In fondo, abbiamo lo stesso mare, la stessa cultura, Trieste è una città abbastanza "nostra". Nei primi dell'Ottocento qui c'erano friulani e qualche slavo, era un borgo de mar. Poi é diventata città di mare grazie ai dalmati e agli istriani. Anche le grandi compagnie di navigazione, le famiglie dei Cosulich, dei Tripcovich, dei Martinolli, sono tutte lussignane o di Cattaro. Lo stesso dialetto, questo veneto un poco imbastardito, lo hanno portato gli istriani e i dalmati».


Ottavio Missoni bambino nella casadi Zara



Che effetto le fa essere un po' un patriarca?  «L'unico effetto è nei confronti dei nipoti. I nipoti sono molto importanti, perchè ti danno la proiezione di quello che hai fatto anche per il futuro. Sono più importanti dei figli. E pensi di essere utile a loro, perchè tu ormai...».


C'è qualcosa che è rimasto in sospeso, qualche filo che non ha allacciato?  «Mi no gò 'ssai rimpianti. Mi è andato tutto abbastanza bene. Ho avuto successo, ma non mi sono mai posto dei traguardi da raggiungere. Come diseva quel: "te sa el zogo? Mi al zogo no go mai perso, perchè no go mai zogà". Se ti poni delle mete e non le raggiungi magari resti deluso. Io invece, se ho fatto delle cose o se non le ho fatte, è stato sempre per scelte mie, o per caso. Non so cosa siano i rimpianti».


Quel che resiste, invece, sono i suoi record sportivi...  «C'è un signore che ne voleva scrivere, ma deve aspettare ancora due anni perchè caschi il settantesimo anniversario. Nel 1937, quando avevo sedici anni, ho corso a Milano, ho battuto gli italiani e anche un americano, e ho fatto un tempo sui 400 metri piani di 48 secondi e 8 decimi. Non si può parlare di record perchè allora non esistevano le categorie, ma questo tempo è ancora, a tutt'oggi, la miglior prestazione italiana di un sedicenne. Nello stesso anno, due mesi dopo, ho vestito la maglia azzurra a Parigi, ho battuto i francesi e sono stato la più giovane maglia azzurra dell'atletica leggera. Mi hanno messo anche nel Guinness dei primati... Insieme a un giapponese che ha mangiato un pianoforte in cinque ore e mezza, ma non era un pianoforte a coda. E insieme a quelli che hanno mangiato trenta angurie... Pensa, in mezo me gà messo anca mi...».


Che cosa le regalerà sua moglie? «Sarà una sorpresa. Di solito mi regala oggetti utili, qualche volta un quadro, un libro... Per un periodo mi ha regalato sempre sculture di sirene, non so perchè. Ne ho una bellissima, tipo portalampada, sulla scrivania. E sul biglietto mi ha scritto: "E se stanote pesco una sirena, mi te la voio domani a regalar", come la famosa canzone».


Che augurio vuole per il suo compleanno?  «Nessuno. Soltanto un "buona fortuna", come dicevamo noi a chi andava per mare. E in quello era racchiuso tutto. Ma mi raccomando una cosa: meti ben i agetivi. I agetivi xe importantissimi! Come, per mi, i colori».

martedì 1 novembre 2005

MODA & MODI: c'è una borsa per ogni bag-victim


 Grace Kelly con la borsa-icona che porta il suo nome
Il nome Bagonghi non vi dice niente? Pensate che la Baguette sia solo un filoncino d'oltralpe? Quando vi nominano la Birkin ricordate vagamente una cantante di fine anni '60, diventata famosa per un motivetto orgasmico? Se questi quiz vi lasciano disorientate, una cosa è certa: non siete una bag-victim. Probabilmente arraffate dall'armadio il primo contenitore con manici che vi capita a tiro e non avete mai considerato l'ipotesi di segnare il vostro nome in una lista d'attesa per assicurarvi il modello che sfoggia Gwyneth Paltrow (tanto meno l'idea di fare un salto dal più vicino cinese per comperare la sua fedele imitazione).
Eppure, nel capriccioso e instabile universo della moda, la borsa è l'accessorio di cui quasi nessuna donna, le piaccia o no, può fare a meno. Per le griffe un po' acciaccate dall'export in calo, è un vero e proprio Sacro Graal, perchè chi azzecca il modello della stagione, e riesce magari a infilarlo al braccio della celebrità del momento, ha la certezza di rimpolpare i bilanci e rilanciare il marchio su scala planetaria.
Siccome tra l'essere una borsa-dipendente e il potersi permettere il lusso di girare a mani libere (lo faceva Diana Vreeland, direttrice di Vogue America, grazie a un paio di fedeli assistenti riconvertite in sherpa, e lo fa l'attuale Miss Vogue, Anna Wintour, quella che si prende sempre le torte in faccia alle sfilate...), c'è un numero illimitato di utilizzatrici di borsette, ecco che vale la pena dare un'occhiata al divertente «Pazze per le borse» (Sperling & Kupfer, 14 euro) della giornalista Paola Jacobbi, manualetto semiserio per orientarsi tra nomi, modelli, codici di utilizzo e, perchè no, un pizzico di buone letture.
Alzi la mano chi ricorda che Anna Karenina, prima di gettarsi sotto il treno, lancia sui binari la borsetta di velluto rosso? Donna stanca della borsa, stanca della vita? Forse l'interpretazione è un po' irriverente, certo è che questi accessori, oggi considerati i nuovi gioielli (un modello di pelle di struzzo di Marc Jacobs costa più di un braccialetto con charm di Tiffany...) rivelano molti aspetti della personalità della proprietaria. Ci si può davvero fidare di una che va in giro con lo zainetto color rosa smalto passati gli anta? E scommettereste  ull'organizzazione della signora che sceglie un modello senza fondo come il secchiello e poi rinuncia a rispondere al cellulare perchè non lo trova?
Chi sono, invece, le donne-borsa, consegnate per sempre al mito? Jacqueline Kennedy e Grace Kelly, naturalmente, icone di stile alle quali Gucci ed Hermès hanno dedicato borse-icona come la «Jackie» e la «Kelly».
Jackie Kennedy
Meno nota, ma più divertente, la storia della «Birkin», nata da un incontro fortuito, sullo stesso aereo, tra la cantante inglese alla ricerca della borsa ideale, e il signor Jean-Louis Dumas Hermès, provvidenzialmente seduto accanto a lei e pronto a soddisfare le sue esigenze in fatto di contenitori.
Entrata in commercio nel 1984, la Birkin Bag è un oggetto inavvicinabile per i comuni mortali: ancor oggi costa duemila euro nei modelli basic e per averla bisogna pazientare in lista d'attesa, come ben sa la Samantha di «Sex and The City», che cerca di accorciare i tempi e perde per sempre il prezioso oggetto del desiderio.
Jane Birkin (da en.unifrance.org)

E i falsi? Dice Frida Giannini, direttore creativo di Gucci, che chi li porta si svaluta da sola, meglio ben fatto e anonimo. Ma poi aggiunge: «Quando non vedo in giro falsi Gucci mi allarmo. Significa che dobbiamo applicarci di più. Invece se ce ne sono troppi vuol dire che è ora di inventare un nuovo modello».
@boria_a


martedì 27 settembre 2005

MODA & MODI: stile Karenina

I giornali ce lo dicono ormai da mesi, adesso ci prova anche qualche timida vetrina. I tormentoni dell'inverno, o almeno i principali, saranno tre: cappottini «ramage» o simil-broccato, lo stile russo e l'indomita resistenza del colore verde, pietosamente virato da baccello a salvia.
I primi, per le fedelissime di «Sex and the City», non sono certo una novità, anche se finora parevano confinati alle scorribande notturne della Carrie interpretata da Sarah Jessica Parker. Quante volte l'abbiamo vista uscire di casa allacciandosi di furia un paio di bottoni del minimale e striminzito paltoncino ricamato, prima di infilarsi in un taxi caracollando via sul suo paio di Jimmy Choo da dieci centimetri. Ma, per lei, attesa da un «Cosmo» (il cocktail) ben preparato e da un appuntamento al buio, entrambi corroboranti, il cappotto era certo un optional.
Corto e pennellato sulla figura, quasi una marsina, mono o doppiopetto, damascato, stampato a motivi floreali, in fantasie jacquard, in broccato. Persino su Sarah Jessica sembrava un po' estremo, ora però bisognerà farci l'occhio. Sulla carta promette di regalare una sofisticatissima aria da dandy settecentesco o da chitarrista di una band rock degli anni Ottanta, ma è più facile che l'effetto finale sia quello di un pezzo di tappezzeria riconvertito. Le grandi griffe lo propongono tutte, in colori decisi.
Moschino, poi, estrimizza come al solito e ne dà una versione che pare ricavata incollando quelle presine di lana multicolori, che nelle scuole medie di una volta segnavano dolorosamente le ore di «applicazioni tecniche»
di studentesse inabili all'uncinetto. Bello, insomma, ma a piccole dosi, e soprattutto per chi, di cappotti, ne ha più d'uno. Come lo stile «Karenina» che imperversa sulle riviste femminili, molto meno nei negozi, attenti più che mai a non riempirsi il magazzino di
capi che neppure le svendite di gennaio riusciranno a smaltire. Ci sono colbacchi, cappotti - ancora - con pesanti ricami folk, completi pantalone che sembrano divise da ussaro, stivali percorsi da fiori multicolori, profili di pelliccia da zarina e ricami all'uncinetto da contadina della steppa, matrioske dappertutto, perfino (vedere per credere, United colors of Benetton) sulla biancheria intima, con effetto-sorpresa vagamente kitsch.
E il verde baccello? Ebbene no, non ce ne siamo liberati con l'estate passata. Si è smorzato, annacquato, tenta di dissimularsi tra altre tinte meno invasive, ma subdolamente si insinua. Unica eccezione: la versione borsa di Coccinelle e Furla, quest'ultima virata sul «penicillina». Verdi, ma entrambe splendide per chi ama bucare il «total black».
@boria_a

martedì 13 settembre 2005

MODA & MODI: spose prémaman

Una volta si tentava ostinatamente di camuffare, anche quando l'evidenza fugava ogni possibile gossip. All'altare con un bebè in arrivo ci si affrettava a salire il più presto possibile, prima che gli arrotondamenti e le curve rinforzate alimentassero il sospetto. E che drammi dalla sarta per trovare il modello più discreto, che alla pancia, se era impossibile mascherarla del tutto, desse perlomeno l'apparenza di qualche ambiguo chiletto di troppo.
Cambiano i tempi e la gravidanza, meglio se avanzata, si esibisce allegramente, soprattutto il giorno del «sì». Che assume svariate e fantasiose connotazioni, ma non è certo più «riparatore».
Veline-letterine-vippine e stelline varie, arpionato il futuro consorte milionario, preferibilmente pallonaro, ci hanno deliziato tutta l'estate con le loro foto, pancione all'aria e bikini microscopico, intente a preparare l'abbronzatura per i servizi nuziali (o post-nuziali) da vendere alle riviste.
Gli stilisti intanto si fregano le mani, intuendo i possibili sviluppi commerciali dell'abito da sposa con acconcio spazio per il nascituro. Ci ha già pensato Gattinoni, con un linea di abiti bianchi che proprio nulla fanno per nascondere. Vita bassa e ben sottolineata, così da portare in primo piano il piccino in arrivo che, a posteriori, vedrà nel dettaglio a che punto di strada era quando mamma ha detto «sì».
Guillermo Mariotto, designer di Gattinoni, sintetizza: «Una volta quando una ragazza con bebè incorporato veniva a provare un abito da nozze, dovevamo fingere di non essercene accorti. Ora non vedono l'ora di raccontarlo».
Le nubende «blasonate», per coniugio o esposizione mediatica, hanno aperto la strada: Clotilde Coureau, impalmando Emanuele Filiberto di Savoia, sfoggiava un Valentino prémaman, Martina Colombari, al quinto mese di gravidanza, diceva sì a Billy Costacurta con il pancione griffato da Alberta Ferretti, Ilary Blasi, avviandosi a diventare la signora Totti, fasciava il bebè in un raffinato Armani.
In America è già moda: il negozio specializzato TeKai Designs (www.tk-designs.com) già dal 1998 propone una vera e propria linea per spose in attesa, che copre ormai il sessanta per cento delle vendite. Il motto: «incinta non significa priva di stile». Che le showgirl nostrane seguono alla lettera per il giorno delle nozze, un po' meno quando saltellano per le strade urbane con il famigerato ombelico a vista, lievitato, grazie alla prossima maternità, alle dimensioni di un marron glacé.
@boria_a

Clotilde Coureau ed Emanuele Filiberto il giorno delle nozze


martedì 30 agosto 2005

MODA & MODI: Sissi dominatrice

Un outfit firmato Sisi Wasabi

Culotte bordate di pelle rossa. Hotpants neri con lacci maliziosi sul polpaccio e un top a tendina che lascia abbondantemente scoperta la pancia. Abitino ad altezza inguinale con calzari vertiginosi.
Certamente sussulterebbe la principessa Sissi a frugare nel guardaroba ispirato al suo nome, molto più adatto a una Diana rediviva che all'immagine frusciante tra pizzi, corpetti, giacchine avvitate da amazzone consegnataci dall'iconografia e, soprattutto dalla cinematografia.
Ma anche il mito si evolve e si stravolge. Così, dopo gli stucchevoli film con Romy Schneider, i cartoni animati, i fumetti, ecco che l'immortale Elisabetta d'Austria diventa una griffe con capi da dominatrice. Si chiama Disi Wasabi, curioso mix austro-giapponese, e la disegnano due giovani stiliste tedesche, Zerlina von dem Busche e Carolin Sinemus, offrendo alle emule contemporanee dell'inquieta Sissi una collezione molto più grintosa e provocante.
Basta un'occhiata in rete per avere un assaggio di come sia possibile reinventare il legnoso e ingoffante «austrian style». L'immarcescibile cappottone color muschio lascia il posto a un soprabito leggero di raso a motivi floreali, i pantaloncini con pettorina di camoscio, in cui generazioni di mamme hanno costretto bimbetti riottosi, si trasformano in shorts roventi per adolescenti con gamba chilometrica, la giacchetta di lana cotta cambia pelle, si allunga, diventa croccante e dipinta sulla schiena da un gioco di lacci. I top si aprono sulla schiena, i vestiti si riducono a mini-abiti rosso lacca e delle leziosità di Sissi rimane solo qualche fiocco, disseminato con buona dose di malizia.
Sisi Wasabi» ha già convinto gli esperti di moda tedeschi. Ora sbarca a Los Angeles e a Cortina. Ce la faranno, le due giovani designer, a insidiare la «roccaforte» dell'ortodossia dell'abito bavarese e a mandare a riposo dirndl e dintorni? Tifiamo per loro.
@boria_a

martedì 19 luglio 2005

MODA & MODI: Valeria's secret 
Reggiseno-gioiello di Valeria Marini (Epa/Virginia Farneti)

Guêpière con autoreggenti incorporate, balconcini con bretelle di cristalli, reggiseni in strass, perizomi intarsiati di pizzi preziosi e decorati con ciondoli di swarovski a cuore e a stella, slip piumati.
Ebbene sì, finalmente. Ecco la biancheria intima che tutte aspettavamo, quella che trasformerà legioni di desperate housewives in panterate assatanate. Valeria Marini ha pensato a noi e ha voluto regalarci, parole sue, «un sogno di seduzione». Basta con l'intimo non coordinato, via quei reggiseni tristanzuoli e magari un po' grigetti per la promiscuità delle lavatrici, bandita qualsiasi tipo di mutanda la cui area superi i cinque centimetri, riscoperto il comodo e praticissimo reggicalze, che ci aiuterà a sentirci femmine desiderabili anche mentre passeggiamo alla SuperCoop.
La nuova linea di lingerie-gioiello si chiama per l'appunto «Seduzioni» ed è stata presentata nei giorni scorsi alle sfilate di AltaRoma, dopo un penoso tira-e-molla con gli organizzatori che ritenevano la collezione - ma perchè mai? - troppo osè. In un'atmosfera che l'attrice, nel suo comunicato stampa, ha detto ispirata al «boudoir» del film «Eyes wide shut» di Kubrick, e che il regista-coreografo della sfilata, Luca Tommassini, ha ribattezzato (subito corretto), «bordello», diciotto indossatrici hanno mimato i balli d'amore del grande cinema. Illustrando, alle future acquirenti, pose e corretto utilizzo degli ineffabili pezzi.
Ma lo sapevate che la guêpière si può indossare anche come sotto-giacca? Questo è l'uso preferito che suggerisce Valeria, consapevole che le signore che potranno permettersi il suo prezioso bustier, avranno preventivamente provveduto a risollevare e rivitalizzare il décolleté. E i cuoricini e le perle che penzolano dai reggiseni? Niente paura, si staccano prima del lavaggio (nel caso, ovvio, noi li aveste prima dati in pegno all'amante).
Pure le stecche dei balconcini sono capolavori di vestibilità, studiate per evitare che si squaglino nella bacinella. Quanto ai ninnoli che pendono dagli slip sono fatti apposta per i jeans a vita bassa, per noi, Ombelico-Generation.
@boria_a

lunedì 18 luglio 2005

E' ITS FOUR A TRIESTE
 

Marcus Lereng Wilmont, uomini-samurai dalla Danimarca, vince la quarta edizione del fashion contest

TRIESTE Hanno vinto gli uomini, gli uomini con le gonne. Trasgressivi e classici, moderni e antichi, statuari e un po' remoti come i samurai ai quali si ispirano. Mai così tante collezioni maschili, ben sei, presentate sabato sera sulla passerella di  ITS, il concorso per stilisti emergenti, e mai così curate, sartoriali, innovative. Il premio più importante è andato proprio agli scolpiti guerrieri del Terzo Millennio disegnati dal danese Marcus Lereng Wilmont, allievo del Royal College di Londra, che, per una volta, ha messo d'accordo giuria e umori del pubblico reinventando una moda da uomo che anche lei ha voglia di indossare: alte cinture, allacciate dietro come bustier, gilet di pelle intrecciata, camicie costruite, giacche di pelle che sembrano dipinte sul corpo, da cui spuntano lunghe code di cavallo. E poi quelle gonne a pieghe, perfette, color torrone e torba, paradossalmente un inno alla mascolinità.
La collezione maschile del vincitore, Marcus Lereng Wilmont (foto Claudio Tommasini per Il Piccolo)
Uomini protagonisti, dunque. Spiritosamente metropolitani, come li ha voluti l'allampanato tedesco Christoph Froehlich, vincitore del succoso «Diesel Award», che ha portato in passerella efebi percorsi da brividi di giallo acido, con i pantaloni a vita bassa sostenuti da fantasiose bretelle ispirate ai tasti del pianoforte. O uomini-creature notturne, tutti imbozzolati in giubbotti neri, secondo la visione della coppia danese Caroline Hansen e Mie Albaek Nielsen, premiata con l'«Ingeo Award» per le proposte più rispettose dell'eco-sostenibilità.
Menzione a parte, infine, per il vincitore dell'anno scorso, il georgiano Demna Gvasalia, laurea in relazioni economiche a Tblisi accantonata per un futuro glamour, tornato a Trieste con una collezione tutta maschile da applauso: maglioni lunghissimi, verde salvia, con guanti incorporati, camicie a quadretti le cui maniche si arrotolano in vita, pantaloni ampi, quasi clowneschi, che però sanno materializzare un uomo sicuro di sè, eccessivo ma mai dolciastro.
Gli urban boy del tedesco Christoph Froelich
Al confronto di questi maschi dal guardaroba ineffabile, le collezioni femminili sono sembrate spesso ripetitive, eccessive, pasticciate (quante noiose fatine o simili uscite dalla Melevisione...), come se fossero le donne, una volta tanto, ad aver perso la bussola dell'abito.
Portovecchio, per una notte, succursale di New York, Londra, Milano. Per il quarto anno consecutivo nell'orbita vuota dell'enorme ex magazzino Pacorini, affacciato sul mare, si è calata la cittadella della moda internazionale, con il popolo multietnico che «Its» (sigla non digeribile, International Talent Support, letteralmente «una mano al talento internazionale») richiama dalle scuole e accademie di moda di tutto il mondo. Settecento concorrenti per l'edizione 2005, ventun finalisti, i più lontani da India, Australia, Giappone, nessun italiano. Quest'anno pure un premio fotografico, ancora in rodaggio, andato all'inglese Danielle Mourning.
 Ancora uomini, disegnati da Caroline Hansen e Mie Albaek Nielsen
Nel parterre del capannone, tirato a lucido, il rutilante carrozzone della moda, arrivato in quest'angolo a nordest che normalmente lo snobba. Vip e finti vip, bacini bacini distribuiti a tutti e soprattutto agli estranei, modelle irritabili e top-model di una volta che non si rassegnano agli anni, gli ospiti dei generosi sponsor, così tanti da lasciare - che peccato! - solo un pugno di posti ai locali.

In prima fila Renzo Rosso, il re di quel casual che continua a lievitare a dispetto dei cinesi e della recessione, tutto intento a prendere appunti e a selezionare per il suo staff i talenti emergenti con cui continuerà a disegnare jeans cari come un weekend in mezza pensione.
Davanti alla passerella lo stilista Antonio Marras, punta di diamante della giuria di ITS, l'inventore di quella griffe italiana che ha trasformato l'etnico in alta moda e il direttore creativo di Kenzo, un cuore e una cultura sarda per una firma storica del Sol Levante. Accanto a loro, ormai abituato alle bizzarrie della passerella triestina, l'assessore comunale Bucci, apprendista dandy della giunta Dipiazza e fedelissimo sostenitore di ITS, quest'anno per la prima volta affiancato dal presidente della Camera di commercio Paoletti, che di moda forse un po' ne mastica.
Sfilata a ritmo incalzante, condotta con verve da Victoria Cabello. E organizzazione inappuntabile, gestita con precisione poco modaiola e molto asburgica da Barbara Franchin, l'ideatrice di «Its». A Trieste, tagliata fuori da qualsiasi latitudine della moda, un gruppetto di giovani ha dimostrato che si può mettere in piedi un premio proprio come a New York e a Londra. Sarà per questo che la città li guarda ancora con diffidenza. E che a New York e a Londra ITS vuol dire qualcosa, da queste parti poco o niente.

martedì 7 giugno 2005




MODA & MODI

Un'estate sui trampoli



La zeppa di Ferragamo, 1938


Bellissime non sono, anzi. E se non sei adeguatamente allenata danno pure un'andatura caracollante che cancella all'istante l'unico vantaggio conclamato: allungare di una decina di centimetri l'altezza.
Rassegnatevi. L'estate sale sulle zeppe. Sì, proprio quelle ripescate dagli anni Settanta e già all'epoca foriere di divisioni manichee, per taluni ordinarie e volgarotte, per altri oggetti di culto, quasi «fetish». Coloratissimi, di sughero, corda, paglia, in tessuto fiorato, i dibattuti zatteroni invadono le vetrine, siano carissimi e concupiti, come quelli della linea flora di Gucci, o d'effetto grafico, firmati Anna Molinari, oppure abbordabilissimi e scopiazzati, in qualsiasi negozio di scarpe.
Non ci sono mezze misure. L'estate o ciabatta in mule rasoterra, o si issa ad altezza ragguardevoli. Ma se il giudizio sull'estetica delle zeppe è quantomai opinabile, la loro storia è antica e altrettanto controversa. Intorno al 1400 le signore timorate le indossavano per non schizzarsi col fango delle strade, ma erano soprattutto le cortigiane a sottoporsi alla fatica dei trampoli per svettare sulle altre donne e attrarre gli sguardi dei gentiluomini paganti.
Negli anni Quaranta è Salvatore Ferragamo a rilanciare la zeppa multicolore, con quella scarpa che ancora oggi è simbolo della maison e del glamour italiano nel mondo. Allora, in tempi di austerity, l'acciaio serviva alla guerra e non a creare tacchi resistenti, così Ferragamo impiegò il sughero sardo, autarchico come voleva il regime ma rivestito di camoscio, per disegnare una calzatura stuzzicante e sensuale, con caviglie e dita sottolineate dal capretto dorato.
Negli anni '70 la zeppa di corda è appannaggio delle figlie dei fiori, quelle di strass e paillettes di star come Elton John o il bellissimo - e altissimo, che se le metteva a fare? - David Bowie. Negli anni '90 le ripesca, ancora una volta, la Madonna di «Evita», ma stilisti trasgressivi come Gaultier, Vivienne Westwood (che ne ha fatto delle vere e proprie piattaforme di legno), Galliano e McQueen non le hanno mai abbandonate.
In quest'estate che si piange addosso per idee e vendite che latitano, la moda si rifugia ancora una volta nelle citazioni del passato aureo. Cercando consolazioni, speriamo transitorie.

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martedì 29 marzo 2005

IL LIBRO

Michel Pastoureau:  dagli Oscar alle rivoluzioni, tutte le sfumature del Blu

Hilary Swank vestita da Guy Laroche alla cerimonia degli Oscar 2005

Blu l'abito della vincitrice dell'Oscar, Hilary Swank, blu quello della bionda Cate Blanchett e di Imelda Staunton, pluriosannata per la sua interpretazione di Vera Drake, che nella Londra degli anni '50 aiuta le donne ad abortire. Quest'anno sul tappeto rosso di Los Angeles è ricomparso il colore meno gettonato dalle star, quel blu, bluette, avio, malva, che gli stilisti di solito snobbano per le creazioni di haute-couture. Anche le sfilate per l'autunno-inverno 2006 lo rispolverano alla grande e alcuni assaggi per la primavera appena iniziata sono già nelle vetrine: tailleur pantaloni in gessato carta carbone, gonne di seta cruda, spolverini in puro navy-mood. Da alcune stagioni - e in coincidenza con l'accorciarsi di quelle «di mezzo» (mai luogo comune è stato più opportuno) - il blu era scivolato nel dimenticatoio: scomparsi i tailleur in fresco di lana, i trench, gli abbinamenti col bianco, che facevano tanto marinaretto-look, al suo posto l'onnipresente nero o molti sdolcinati pastello (quest'anno è già invasivo l'orribile verde pisello...).
Sembra difficile credere che il blu, al contrario, sia il colore più sfruttato per l'abbigliamento nel mondo occidentale, perchè - come si legge nell'interessantissimo excursus su questo colore di Michel Pastoureau («Blu - Storia di un colore», edizioni Ponte alle Grazie) - le sue connotazioni nè violente nè trasgressive ma in prevalenza «neutre», lo hanno fatto preferire al rosso, al verde, al bianco e persino al nero, indipendentemente dal sesso e dalla posizione sociale.
La storia di questo colore attraverso i secoli è affascinante. Per i romani era la tinta che connotava i barbari e, in età repubblicana e agli inizi dell'impero, quella scelta dagli eccentrici o da chi era in lutto. Il riscatto del blu comincia nel XII secolo, quando entra nel sistema dei colori liturgici, viene utilizzato per il manto della Madonna e, dalla fine del XII secolo, anche dal re di Francia, entrando a pieno diritto nella palette delle tinte aristocratiche, inserito in buona parte degli stemmi della nobiltà francese. Nel corso della Riforma protestante, percorsa da un'insistente cromofobia, viene assimilato al nero, colore per eccellenza solenne e virtuoso. Al suo trionfo si assiste nel romanticismo: nessun libro sembra aver avuto sull'abbigliamento un impatto paragonabile a «I dolori del giovane Werther» e per decenni i giovani dell'intera Europa sfoggiarono l'abito blu e i pantaloni gialli che il protagonista indossa la prima volta che incontra Charlotte...
Blu «politico» nella Francia rivoluzionaria, blu dei jeans dei cercatori d'oro, nella California di metà '800, blu della ribellione negli anni '60, ma anche segno di voglia di evasione e di migrazione verso approdi lontani.
Che connotazione avrà questo e il prossimo anno? Forse, complice la crisi economica e la contrazione dei consumi, quella della calma, della distanza, quasi di una sorta di anestesia?

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Imelda Staunton al party di Vanity Fair per la cerimonia degli Oscar