giovedì 23 febbraio 2023

MODA & MODI

 "Scouting for Models", su SkyDocumentaries

stupri e abusi dietro le passerelle

 



 
Belle, acerbe, ingenue. Scorrono sullo schermo i volti acqua e sapone di modelle adolescenti, alcune appena quattordicenni. Bocche carnose, pelli incontaminate, capelli lunghissimi, un accenno di forme, arrivano da tutti gli Stati Uniti e dall’Europa. Inizio anni Novanta, sala trucco del concorso “The look of the year”, ideato da “Elite”, l’agenzia newyorkese di John Casablancas, il tycoon dell’industria delle passerelle. In giuria non solo esperti di portamento e immagine ma soprattutto amici potenti, ricchissimi imprenditori come Donald Trump, i cui occhi vediamo allungarsi e pesare le ragazzine sgambettanti in costume da bagno. Seguono feste in discoteca e fiumi di alcol (solo?), dove le giovani prede familiarizzano coi futuri predatori, del tutto ignare che il sogno che pare a portata di mano, la promessa di successo, soldi, copertine sta per trasformarsi in una condanna a vita, un incubo per sempre. Anni Novanta, il decennio della creazione e idealizzazione delle top model, dee inarrivabili del culto pagano della bellezza. Ma che cosa c’è dietro il business delle agenzie?


È impietoso “Scouting for models - Il volto oscuro della moda”, il documentario in tre parti su Sky Documentaries in cui alcune ex top - Carré Otis, Shawna Lee e Jill Dodd - raccontano davanti alla telecamera un dietro le quinte inimmaginabile: strupri, abusi sessuali, ricatti, maltrattamenti, cessioni di ragazze al miglior offerente in cambio di cifre da capogiro. Casablancas è morto nel 2013, ma il suo alter ego titolare dell’agenzia Elite di Parigi, Gérald Marie, ex marito di Linda Evangelista, è oggi un signore settantenne che sverna a Ibiza, accusato di anni di violenze sessuali ormai cadute in prescrizione. Carré Otis mostra la prima copertina su Elle, ottenuta proprio quando l’uomo, durante i viaggi della compagna Linda, abusava di lei più volte a settimana. Per merito della giornalista investigativa del Guardian Lucy Osborne, nel documentario sentiamo risuonare un nome che dà i brividi, quello di Jeffrey Epstein, il miliardario accusato di violenze su minorenni e traffico sessuale, morto suicida in cella a New York nell’agosto 2019. Epstein si sarebbe servito per i suoi piaceri dal direttore dell’agenzia parigina Karin Models, Jean-Luc Brunel, impiccatosi in prigione, che gli avrebbe procurato qualcosa come mille aspiranti modelle.

 

 

Carré Otis


 

Shawna Lee

 

Il #Metoo è ancora lontano. Molti collaboratori sanno del marcio, ma preferiscono andarsene che denunciare. Tra l’America e Parigi, poi Milano, le agenzie Elite si scambiano le ragazze. Dagli Usa arrivano in Europa giovanissime spaesate, manipolabili, cui gli agenti procurano casa, trasporti, sfilate, salvo poi presentare un conto salato. Le vergini sono ritenute “poco fotogeniche”, i responsabili dei casting provvedono a risolvere il problema. E dallo schermo si avverte il gelo dell’isolamento: le amicizie sono scoraggiate, ognuna gioca per sè in una spirale di ambizione e solitudine. Oggi le ex modelle, tutte intorno alla mezza età, sono tornate a Parigi e, dopo anni di trauma inconfessato, lanciano un appello alle vittime più giovani: farsi avanti, parlare. Forse gli abusi nei loro confronti non sono ancora prescritti e qualcuno dei responsabili può finalmente pagare. 

 

Jill Dodd

 

giovedì 9 febbraio 2023

MODA & MODI

 Il perizoma di ritorno, relitto

degli anni Duemila

 

 

Dua Lipa a Tulum


 

La Generazione Z lo scopre in passerella, uno dei tanti pezzi riesumati dalla confusione dai Duemila, gli anni che oggi chiamiamo come una formuletta miracolosa, Y2K. E siccome siamo nei dintorni di Sanremo, ecco la sua testimonial più dirompente, anno della vigilia del giro Millennio, 1999. Anna Oxa vince “Senza pietà” sfoggiando una canottiera nera crop, pantaloni luccicanti a vita bassa e l’oggetto dello scandalo e di fiumi di dissertazioni successive: il perizoma nero, con le sue stringhe laterali appese al bacino scolpito. Il tutto era firmato Tom Ford per Gucci, uno dei brand che, secondo le analisi di Lyst, oggi è in cima ai desideri dei più giovani.

L’intimo più controverso, torna dunque a far parlare di sè, anche se non è mai caduto definitivamente in disgrazia, nemmeno nelle palestre. Damiano dei Maneskin quest’estate l’ha esibito trionfando agli Mtv Video Music Awards con un sedere di marmo incorniciato dal triangolo di vernice nera. Christian De Sica ha rilanciato per celia: è sua la primogenitura sullo schermo, evocando la scena di “Compagni di scuola” di Verdone in cui Tony Brando, il cantante fallito che interpretava, resta in slip neri e generosa porzione di natiche a vista, per la verità più mutanda modello brasiliano che perizoma. Un’altra star della musica come Elodie rafforza la tendenza: quest’estate il trailer di lancio della hit “Tribale” proponeva il suo fondoschiena, fuoriuscito dai pantaloni a vita bassa, con perizoma-gioiello effetto tatuaggio tribale, proprio com’era in voga negli anni Duemila.
 

Senza andare troppo indietro, perché le origini dello slippino si perdono nella notte dei tempi, nè scomodare un’affezionata fruitrice come la Cher degli anni Ottanta e Novanta, concentriamoci sull’ultima decade del primo Millennio. Nel ’93 Alexander McQueen lancia i pantaloni a vita bassa, ispirati al “builder’s bum”, il fondoschiena del muratore, ovvero indossati a filo sedere. Nel 1997 Jean-Paul Gaultier manda in passerella la mutanda fuori dai pantaloni, poi Tom Ford per Gucci trasforma i bordi in striscioline che marchiano la pelle nuda tra gonna e top, suggerendo lo slip sottostante. Le celeb del momento, Britney Spears, Christina Aguilera e l’ubiqua Paris Hilton abbracciano la tendenza smutandata, ma è Gillian Anderson, star della serie tv X-Files nei panni dell’impenetrabile agente Scully, a dare una scossa al parterre del party di Vanity Fair post Oscar 2001, con un lungo abito nero monacalissimo sul davanti e aperto sulla schiena, al centro della quale svetta l’alto perizoma.

 

Gillian Anderson (Getty)


 

Con la vita bassa di nuovo in auge e i pantaloni cargo che ritornano di prepotenza, la tentazione dell’intimo a vista è nell’aria. Bella Hadid in passerella per Versace mostra un perizoma col logo della Medusa ai fianchi, altri brand piazzano il nome in cima al nonnulla che poi sprofonda nelle natiche. E mentre la pop star Dua Lipa in vacanza a Tulum (foto) o in jeans taglio muratore per le strade di New York si immortala in tanga per i social, le ricerche del pezzo su Lyst s’impennano.

Ritornerà a Sanremo 2023 quasi un quarto di secolo dopo, ormai derubricato da armamentario di seduzione a pezzo gender fluid? Logo e sedere in vista: c’è il binomio perfetto per conquistare la Generazione Z, la provocazione, quella sì, è ormai fuori moda.

domenica 5 febbraio 2023

IL LIBRO

 

Berta e Marta, eredi acerbe di Petra Delicado 



 

 

Ce la faranno le giovani ispettrici Berta e Marta Miralles, fresche di diploma all’accademia di polizia, a sostituire nel cuore dei lettori l’amatissima collega Petra Delicado, che in Italia ha avuto anche una fortunata trasposizione televisiva con Paola Cortellesi e Andrea Pennacchi nei panni del fido Fermín? La scrittrice Alicia Giménez-Bartlett lancia una nuova serie gialla e raddoppia le protagoniste per compensare il vuoto lasciato dall’esuberante, scorretta, vitalissima Petra, che attraverso le sue indagini ha raccontato tante pieghe e piaghe della Spagna contemporanea. “La presidente” (Sellerio, pagg. 409, euro 16, traduzione di Maria Nicola) è subito balzata nella top ten delle vendite, con un attestato di fiducia non indifferente nei confronti dell’autrice, da sempre premiata dai lettori italiani.

 


Alicia Giménez-Bartlett (Foto Ana Jiménez/Archivio La Vanguardia)

 


Diciamolo subito: Petra ci manca. E tanto. Il suo intuito, la sua predisposizione ad aggirare le regole, la sua fame di cibo, uomini, incontri, la sua interazione con Fermín, la singolare famiglia allargata che finalmente, dopo matrimoni e relazioni sbilanciate, sembra averle regalato la stabilità e il senno della mezza età, fanno scomparire le volenterose sorelle Miralles, al paragone delle simpatiche sciacquette. Piene di entusiasmo e con una certa dose trasgressiva che fa ben sperare per il prosieguo del nuovo filone, ma ancora troppo acerbe per raccogliere un testimone così impegnativo. Per una singolare (o voluta) circostanza, peraltro, il cognome Miralles per gli spagnoli equivale a dire “indagine”, perchè è lo stesso della celeberrima commissaria Claudia di “Servir y Proteger”, serie televisiva quotidiana ambientata nel Distrito Sur della polizia madrilena, e appena conclusasi su Rtve, dopo sette stagioni e la bellezza di quasi milletrecento episodi.

Le Miralles di Giménez-Bartlett sono molto diverse tra loro: Berta, disciplinata e riflessiva, poliziotta per precoce vocazione, Marta irruente, entusiasta, diretta, forse più somigliante a una scalpitante Petra. Fresche di studi, quindi considerate inesperte e manovrabili, vengono incaricate di seguire un’indagine che i loro superiori, su su fino allo stesso ministro dell’Interno, vorrebbero al più presto affossare, liquidandola con una versione edulcorata.

Al centro del plot la strana morte di un personaggio scomodo. In un lussuoso hotel di Madrid viene trovata cadavere Vita Castellá, ex presidente della Comunità Valenciana, dispotica dispensatrice di favori e tessitrice di una rete di malaffare che ha pervaso comunità e regione. Un caffè al cianuro, sorbito in piena notte, la toglie di mezzo proprio alla vigilia della sua testimonianza nel processo per corruzione che porta alla sbarra uomini del suo partito. Per liquidare il decesso come un “naturale” infarto, l’indagine passa dalla capitale a Valencia e finisce sulle scrivanie delle novelline Miralles, fintamente incoraggiate a darsi da fare. Le due ispettrici, però, a dispetto della loro provenienza campagnola, sono tutt’altro che sprovvedute e, con testardaggine e tignosità, mettono in fila una serie di indizi e di legami che porta diretta a un crimine ancora più odioso del malaffare nella cosa pubblica. A far loro da spalla interviene “Boro” Badía, ex addetto stampa della defunta, messo ai margini dal partito per le sue scelte sessuali.


Tra fantasiosi resoconti al giudice, una libertà di manovra e orari davvero poco verosimili, le due neofite finiscono per sbattere in faccia ai superiori una scomoda verità. E la loro prima indagine va in archivio veloce e leggera, in attesa della prova di resistenza.