martedì 24 settembre 2019

MODA & MODI

September (green) Issue




FridayForFuture a Torino



Settembre, il più crudele dei mesi. Sfilano le nuove collezioni alle settimane della moda di Parigi, Londra, Milano mentre i giovani di tutto il mondo scendono in piazza per la salvezza del pianeta. Le vetrine invernali sono lì, sfavillanti e seduttive, a risarcirci psicologicamente del magone del “back to school”. Ma oggi possiamo dirci fashionisti se non siamo anche sostenibili?

I dati martellano: in Gran Bretagna almeno 11mila capi, messi una volta sola, finiscono nella spazzatura ogni settimana. Il fascino perverso dell’una volta e via, dell’abituccio avvistato per strada e arraffato, come un partner occasionale, costa carissimo in termini d’inquinamento. La risposta inglese dell’associazione Oxam funziona come la disintossicazione dal sesso: astinenza. Trenta giorni, tutto il lussurioso settembre, senza comprare nemmeno un capo nuovo o spendendo, se proprio non se ne può fare a meno, solo in negozi di seconda mano.

Addio “September Issue”, quando Anna Wintour svelava i segreti dell’edizione patinata di Vogue d’autunno, con il compendio di tutto il sognabile dei mesi a venire. L’unica “issue” oggi è quella ecologica; il carpet è red di vergogna per l’agonia dell’ambiente. Il 28 settembre Parigi risponde col Circolar Fashion Summit, che invita tutti a condividere o donare l’usato con l’app Lablaco, per mettere in circolo 100mila capi in un anno, risparmiando 2mila tonnellate di Co2 e 3 milioni di litri d’acqua. Ogni capo devoluto alla causa verrà aggiunto a un contatore collettivo globale e il fashionista virtuoso riceverà uno sconto pari al calcolo personale delle emissioni nocive sventate, con cui comprarsi subito vestiti rigorosamente “eco”.

Drastica rinuncia o terapia scalare? Per gli shop-aholic settembre è ormai questione di rehab. 
@boria_a

sabato 21 settembre 2019

 IL LIBRO

Saskia Vogel debutta con "Consenso"
"Il sesso estremo per curare
le ferite del cuore"


Saskia Vogel






La perdita di un genitore e il ritorno alla vita, il superamento del dolore attraverso l’ascolto del proprio corpo e il riconoscimento dei suoi desideri. La comunità BDSM, tra dominatrici e sottomessi, dove la protagonista trova uno spazio di rispetto, accudimento e sollievo, al di là di ogni pregiudizio.

Saskia Vogel, traduttrice americana, debutta alla scrittura con “Consenso”, edito in italiano dalla pordenonese Safarà. La sua protagonista è Echo, giovane attrice dalla carriera già arenata, che assiste alla morte del padre tra le onde al largo della costa di Los Angeles. Incapace di ricevere sostegno nella madre, instabile e fredda, Echo incontra Orly, una dominatrice, e insieme a lei intraprende un percorso di guarigione che passa anche attraverso il sadomasochismo. Niente sfumature di grigio, nessuna morbosità, solo un incontro di anime e di corpi che liberamente stabiliscono i termini del loro rapporto.



"Sono una pornografa dalla più tenera età. Fin dall’infanzia, ho visto il sesso pervadere il mondo”. Perchè ha scelto questa citazione di Camille Paglia? «L’ho trovata in uno dei suoi saggi e mi ha suggerito un’atmosfera e una prospettiva che ho voluto attraversassero tutto il romanzo. Paglia racconta di come, da bambina, vedeva l’energia carnale della natura in ogni cosa, ma la chiesa, i suoi genitori e la società insistevano che non era lì. Anche Echo vede quest’energia carnale, ma la società cui appartiene ne è disturbata. In un certo senso, il mio libro racconta di come Echo si riconnetta a quella che Paglia chiama la “visione pagana”».


Il romanzo è ambientato in una Los Angeles molto diversa da quella di plastica cui siamo abituati... «Quando ho letto per la prima volta “Questo libro ti salverà la vita” di A. M. Homes, da persona nata a Los Angeles mi sono sentita a casa nella sua particolare descrizione della città, così vera dal punto di vista della gente che in quella metropoli vive la vita di tutti i giorni. Volevo descrivere una Los Angeles che conosco, che poi è la Los Angeles che non vedo spesso rappresentata: il modo in cui ci si rapporta alla città spazialmente, le immense distanze, ma anche le comunità private. E siccome Echo è un’attrice, anche la strana relazione che puoi avere tra l’«idea» di Hollywood e il “posto” Hollywood».


Chi è Echo? «Echo è un’attrice, fallita dal punto di vista professionale. Il ruolo che interpreta meglio è quello di “donna”, ma in contrasto con l’idea che della donna hanno gli uomini nel suo ambiente. Questo è il ruolo che sa come giocare e, pensando a quanto è emerso col #metoo, Echo conosce le implicite dinamiche del potere, la particolare economia del sesso e del corpo e la natura commerciale delle relazioni. Quando entra nel mondo di Orly, si trova in una situazione simile eppure diversa. Anche qui ci sono fantasie e archetipi, ma i confini e la contrattazione sono chiari e tutte le parti in gioco partecipano nello stabilire le regole e le dinamiche del potere. Il copione è simile ma capovolto e in esso ciascuno ha un ruolo».


Echo vede morire suo padre. In fondo questa è la storia della “riparazione” di un dolore... «Ero interessata a esplorare il BDSM, e l’erotismo, come una pratica curativa, guardando al sesso come a un atto meditativo, uno spazio di esplorazione che va al di là di quello che succede nella camera da letto e nel resto delle nostre vite. Spesso il sesso è tenuto in una scatola, separato da altri aspetti dell’esistenza. Al contrario, io volevo un approccio olistico, guardando a come il sesso e l’erotismo influiscano su altre parti della nostra vita e viceversa. Quello di Echo è un viaggio attraverso il potere curativo dell’erotismo e l’erotismo è un modo di riconnettersi a se stessi».






Il corpo del padre morto non si trova, Echo lavora col corpo sia come cameriera che come attrice. La scoperta del piacere avviene attraverso il dolore fisico. Perchè il corpo è così centrale nel suo romanzo? «Il corpo influisce su come ciascuno interagisce col mondo e su come il mondo lo accetta. In un certo senso tutte le storie riguardano il corpo. Corpi più o meno privilegiati Corpi che sono in grado di attraversare il mondo senza commenti, corpi che non ci riescono. Corpi che sono considerati decenti o indecenti. Il corpo è centrale nella nostra esperienza individuale del mondo».



Ha conosciuto da vicino il mondo BDSM? Ne è attratta? «I primi club che conobbi quando ero una teenager avevano un elemento fetish. All’inizio, mi attrassero la musica e l’estetica dark. Mi sono fatta degli amici nella comunità ed è stata la prima volta che mi sono resa conto dell’esistenza di relazioni non eteronormate che funzionavano bene, gente che sceglieva i confini e i limiti dei suoi rapporti. Era una comunità rispettosa e accudente. Intorno ai vent’anni pensavo che avrei scritto un libro di non-fiction sulle storie legate a questi diversi modi di amare, ma poi ho abbandonato il progetto. Ma certe storie non hanno mai abbandonato me. Interviste, esperienze e idee si sono fuse e sono diventate fiction e mi hanno lasciato Echo, Orly e Piggy, il suo sottomesso».



Non c’è niente di pruriginoso nel suo libro, piuttosto il soddisfacimento di un bisogno d’amore...«Il libro riguarda soprattutto il dialogo che siamo o non siamo capaci di instaurare con noi stessi sul piacere e sull’oggetto dei nostri desideri. Ci sono molti modi in cui questo dialogo con noi stessi si può spezzare. Specialmente nel regno dell’erotismo, lottiamo per esprimere i nostri bisogni, lottiamo per esprimere cosa ci aspettiamo dai nostri partner e cosa abbiamo bisogno gli uni dagli altri. Quel dialogo comincia dal comprendere il nostro essere erotico».


Non ha paura che, in televisione, la sua storia diventi un prodotto solo commerciale, enfatizzando solo l’aspetto sessuale? «La produzione sembra aver capito a fondo la storia e ho fiducia in loro. Come traduttrice mi interessa vedere come trasportano il materiale sullo schermo. Non si parla mai di come gli scrittori si mantengano. Vendere i diritti è stato molto importante e se la serie vedrà la luce io potrò almeno per un po’ di mesi concentrarmi esclusivamente sul mio prossimo progetto. Sarebbe un regalo incredibile lavorare a un nuovo libro senza preoccupazioni economiche». 


L'inglese Permission, autorizzazione, è tradotto in italiano come Consenso, che non sono esattamente termini sovrapponibili. Perchè? La traduzione è un delicato lavoro di trasposizione non solo da una lingua, ma da un sistema culturale a un altro; alla luce di questo, spesso i traduttori sono chiamati a interpretare il testo, perchè una traduzione troppo letterale perderebbe di forza e significato nella propria lingua. Tradurre "Permesso" avrebbe comportato questo: utilizziamo questa espressione in molti altri contesti del tutto slegati dallo spirito dell'opera, dove invece questo concetto risuona potente; il termine consenso in italiano è invece inequivocabile, forte e immediatamente contestualizzato. Ed esiste anche un'altra, fondamentale ragione: non ci può essere alcun permesso, senza consenso, essendo l'uno il presupposto dell'altro. 
@boria_a

domenica 8 settembre 2019

MODA & MODI

Signore in bluette 



Teresa Bellanova



Devin DeVasquez e Ron Moss (LaPresse)


Due blu elettrici hanno solcato due diverse passerelle appena qualche giorno fa. Il primo, sul neoministro Teresa Bellanova, ex bracciante agricola e sindacalista di lungo corso, ha portato una sferzata di colore e di energia nella compìta foto di famiglia di ogni nuovo governo, in discontinuità anche cromatica rispetto al Conte Uno, dove tutte le elette si sono rifugiate nel rassicurante nero-bianco-blu scuro di circostanza. Il secondo bluette è quello indossato sul red carpet di Venezia 76, da un’altra veterana, l’ex modella e playmate di Playboy Devin DeVasquez, moglie di Ron Moss, il celebre Ridge di Beautiful, che ha sfilato al braccio del marito pittato.

Diversissimi i modelli, come le occasioni: il ministro Bellanova ha giurato in chiffon con maniche trasparenti di organza e volant applicati, sotto il ginocchio, con collo rotondo bordato di perline argentate e borsetta mignon in tinta, Devin ha scelto un’ampia tunica mospalla con pannello, lunga fino ai piedi, senza alcuna applicazione. 


Sessantun anni Teresa, cinquantacinque Devin, entrambe non silfidi (la coniglietta anche per prevedibili “addizioni” professionali) hanno riportato sotto i riflettori un colore ostico, difficile da abbinare, trasformandolo in un punto di forza per chi ha un fisico importante, senza limiti di età. In rete, il destino dei blu ha seguito strade opposte: gli odiatori si sono scatenati contro il ministro, per aver infranto un color code che vorrebbe le corpulente obbligate allo “snellente” e castigante nero, mentre hanno semplicemente ignorato la maestosa Devin a favore dell’immarcescibile Ridge, segnalato tra i bellissimi del festival.

Chi ricorderemo? #l’orgoglio bluette, contro i ministri #totalblack e i compagni #evergreen. —

sabato 7 settembre 2019

IL LIBRO

Bernard Minier ritorna con Servaz
e le sorelle ammazzate nell'abito
della prima comunione 






Due sorelle ventenni, fan di uno scrittore di bestseller morbosi, vengono trovate morte sulle rive della Garonna, vestite da prima comunione, legate a due tronchi d’albero. L’una, Ambre, ha il volto maciullato, irriconoscibile, e dalle indagini del medico legale risulterà essere vergine. L’altra, Alice, uccisa da un violento colpo alla nuca, ha intorno al collo il segno di una collana strappata, quasi un souvenir dell’orrore. La messinscena dell’abito bianco è mutuata da “La comunicanda”, il libro più celebre di Erik Lang, con cui le ragazze, quando erano appena adolescenti, hanno intrattenuto una fitta e ambigua corrispondenza (“Dove siete? Che cosa fate? Voglio sapere tutto - dei vostri sogni, delle vostre speranze, dei vostri desideri. Mi amate? Dite di sì anche se non è vero”, scriveva lui, ventinovenne, già autore celebrato), seguita da incontri, anche in luoghi appartati come quello del duplice omicidio.

Siamo nel 1993 e Martin Servaz, il protagonista dei fortunati gialli del francese Bernard Minier, che si muove in una Tolosa livida e sinistra, all’epoca è un ragazzo appena uscito dalla scuola di polizia, quasi un coetaneo delle vittime. L’attenzione degli investigatori si concentra sulla figura di Ambre, di cui l’assassino ha voluto cancellare i connotati, svuotarla di ogni riconoscibilità. È il cuore del thriller, l’identità: ogni personaggio ne ha più d’una, fisica e psicologica, che si sovrappongono lungo tutto l’intreccio, in cortocircuiti dove verità e menzogna si confondono.


Perché cancellare un volto? Perchè privarlo della sua riconoscibilità? Un vilipendio o un atto estremo di possesso? Per vendetta potrebbe averlo fatto Cédric, il compagno di corso di Ambre alla facoltà di Medicina, che la ragazza ha rovinato con accuse di necrofilia. Per umiliazione Luc, il fidanzato gentile e sfigato, che dorme accanto a lei senza toccarla. Per desiderio insoddisfatto Lang, lo scrittore adorato che cela un ripugnante problema fisico. Perchè Ambre, la vergine, è un’arrapatrice di uomini. Secondo l’amica Karen li cerca, li stuzzica, li porta al limite e poi si sottrae. “Piccola viziosa”, “bomba a orologeria”, la inchioda Lang davanti agli investigatori.



Bernard Minier


Anno 2018. Martin Servaz è quello che conosciamo dalla saga di Minier, giunta con questo “Sorelle”, al quinto, poderoso thriller, il terzo per La nave di Teseo, che si è trasferita con successo anche in una serie per Netflix: è l’investigatore ferito, disincantato, la vita personale intrecciata drammaticamente a quella professionale.
Una telefonata all’alba e Martin è richiamato su una scena del crimine che è un macabro déjà vu: la moglie di Erik Lang, Amalia, viene ammazzata nella casa della coppia, mentre lo scrittore è a sua volta messo fuori gioco. Un colpo alla testa e la donna piomba a terra in mezzo ai rettili velenosi custoditi nei terrari al pianterreno, trovati aperti. Amalia è avvolta in un abito bianco da comunicanda, una citazione dal libro del marito e dal duplice omicidio di Ambre e Alice di venticinque anni prima.


Cos’è che non è stato indagato a fondo nel cold case delle due sorelle, chiuso all’epoca con una soluzione di comodo? Martin rivede se stesso ragazzo, nella sala interrogatori, colpito dalla brutalità dei colleghi. Ora è lui in prima linea, a dover riallacciare i fili, a frugare nelle implicazioni trascurate, ignorate: la celebrità e le sue pretese, i suoi egoismi ed egotismi, uno strano rapporto di sorellanza sbilanciato sulla personalità inquieta e spregiudicata di Ambre, le strategie implacabili di una vendetta covata a lungo e messa in atto col sacrificio più alto di sè: avvicinarsi alla preda, ingannarla per anni con metodo e pazienza, vincere l’avversione, e poi darle il morso finale, come un serpente snidato, senza lasciare alla vittima la possibilità di riconoscere il giustiziere.


“Viziosa”, “svitata”, aveva detto Lang di Ambre. Era il lato oscuro che lo attizzava di lei, fin da quando era poco più di una bambina precoce, che con la sorella scriveva al suo autore preferito, il lato oscuro in cui si specchiavano le sue stesse fantasie. Lo avrebbe sempre “riconosciuto” quel lato, anche in un volto irriconoscibile. E ne sarebbe stato mortalmente sedotto.

@boria_a