martedì 26 luglio 2022

MODA & MODI

 

Brad Pitt senza gonna

la rivoluzione della normalità

 

Brad Pitt

 

Dalla balneizzazione alla balcanizzazione. Non solo l’abbigliamento del mare ha invaso la città, ma anche le regole minime di dignità urbana sono saltate. A costo di sfiorare il politically incorrect - argomento spesso tirato in ballo per accantonare qualsiasi possibile perplessità sul fatto che ognuno se ne vada in giro come gli pare, senza un pizzico di buon senso prima che buon gusto - va registrato un fenomeno solo acutizzato dal gran caldo di questi giorni. È sparita la distinzione tra quello che ci si mette nelle varie ore della giornata. 

I due pezzi da notte, canottiera e pantaloncini in cotone o misto “seta”, sono diventati a tutti gli effetti completini da passeggio. Li si indossa tranquillamente senza pensare che il taglio, la dimensione, il materiale sono concepiti per lasciare libertà di movimento durante il sonno, non per liberare ulteriore porzioni di pelle dal fastidio della stoffa mentre ci si aggira sotto il solleone. Metà degli shorts che transitano sono lingerie, o comunque copricostume. Tra pampers di jeans (per loro pochi anni fa era stato varato il neologismo “janties”, nessuno se ne ricorda più ma il capo è rimasto e nel tempo si è ancor più ritirato) e crop top, niente più che fuggevoli copriseno a fascia, una consistente parte della popolazione cammina in costume. Qualsiasi brandello si stoffa da campeggio è stato promosso a capo urbano per combattere la calura. 

Fenomeno generazionale? Niente affatto. L’inclusività sbandierata ovunque rende la confusione trasversale. E così il valore e rispetto per qualsiasi età, taglia, fisicità, la body positivity insomma, vengono interpretati come diritto-dovere (più quest’ultimo, per la verità) di esporsi, in qualsiasi luogo e circostanza, come se il rispetto preteso dalla “positività” non valesse per se stessi.


Ragazzi e uomini non sono esenti dalla deriva, anzi. Una camicia di lino sopra un paio di bermuda è diventata un’eccentricità da dandy d’altri tempi. Il caldo è un alibi perfetto per sdoganare canottiere da palestra, pantaloncini di lycra, boxer da bagno avvistati tra le corsie dei supermercati o negli agglomerati degli apericena, spesso con un bel borsello a bandoliera. L’abbigliamento “fluido”, senza distinzione di genere, rende uniforme l’imbarbarimento.

Con un filo di malinconia tornano in mente i trepidi appelli lanciati in passato da alcuni presidi per la scelta di un abbigliamento adeguato all’esame di maturità. Il minimo: niente flip-flop, pantaloni lunghi, evitare tagli abissali, sia sotto che sopra. All’epoca furono accusati di voler distruggere la libertà di espressione dei ragazzi. Oggi, dopo le limitazioni del lockdown, nessuno si azzarda a suggerire dress code. Saper distinguere che cosa mettersi quando, dove, per fare cosa, non è più questione di maturità, nè scolastica nè anagrafica.
 

Dalla passerella di celebrità che i siti ci propinano perchè prendiamo esempio su come vestire, salviamo Brad Pitt a Berlino per la prima del suo nuovo film “Bullet Train”. Giacca morbida, con bottoni o zip, pantaloni lunghi con coulisse in vita, t-shirt, il tutto di lino nei toni del rosa, melone, grigio. Peccato che poi si sia infilato quella gonna che ha scatenato siti e stampa.

Ma non era piuttosto il suo completo maschile la rivoluzione della normalità?

martedì 12 luglio 2022

MODA & MODI

 

Il "Calzetto Pride"

 


 

 Tra la Giornata mondiale del bacio e quella per la pulizia delle mani se n’è infilata una che celebra un binomio a lungo considerato impresentabile: il calzetto e il sandalo. Non è l’operazione simpatia di una qualche pro loco nei confronti di turisti pannonici.

Il “Socks and Sandals Day”, che ci siamo persi per pochi giorni - la prima edizione cadeva infatti l’8 luglio scorso - è stata lanciato nientemento che dall’English Heritage, l’istituto pubblico che in Gran Bretagna tutela i siti storici, in occasione delle celebrazioni per i 1900 anni dall’edificazione del Vallo di Adriano, avvenuta tra il 122 e il 128 d.C.

Chi in quella giornata si presentava in una serie di luoghi archeologici legati alla storia romana sfoggiando sandali e calzetti, poteva visitarli gratuitamente. E siccome siamo in anni di condivisione virtuale, scattando un selfie alle proprie estremità così abbigliate si riceveva in regalo un paio di calzetti griffati in tema con le gesta dell’imperatore.

La singolare campagna promozionale ha un fondamento tutt’altro che peregrino. Prima che i vituperati turisti tedeschi scendessero verso le coste italiane in pedalini e sandali, prima che Miuccia Prada lanciasse la sua estetica del brutto, anno 1996, erano stati i legionari romani ad adottare le calze per proteggere i piedi dai rigori del suolo britannico. Intrappolate nei resti dei calcei, i sandali, rinvenuti in un sito archeologico nel North Yorkshire, sono state trovate fibre riconducibili a un inequivocabile calzettone. E anche nel sud di Londra, a Southwark, il piede di quella che era stata una grande statua di epoca romana, riaffiorato da uno scavo, ha tradito l’utilizzo della calza, perchè non erano visibili i dettagli dell’unghia.


A riscattare il loro lontano passato di sottomissione alla grandezza dell’impero romano, i britannici insistono con dovizia di testimonianze nell’elencare l’uso del combo calzare-calzetto, citando anche le rappresentazioni dell’abbigliamento dei soldati sui manici di coltelli e rasoi o le tavolette con l’elenco degli indumenti, comprensivo di calzature e calze.

Altro che maestri di civiltà, insomma. Gli impavidi legionari di Adriano cedevano come i comuni mortali ai rigori della Britannia, alla faccia dello stile.


Dinnanzi a cotanto patrimonio storico, chi siamo noi per continuare a guardare con sospetto i sandali col tacco o le décolleté abbinate al calzettone, dai primi anni Novanta periodicamente riproposti dalle passerelle, o la calza a coste maschile, infilata nella ciabatta da piscina, con il logo bene in vista, ormai da tempo sdoganata da rapper e celebrità varie anche nelle passeggiate urbane?

Il “Socks and Sandals Day” degli inglesi vanta già un grande merito: seppellisce con la forza del rigore scientifico il famigerato “fantasmino”, quella mezza calzetta che arriva all’altezza del bordo del mocassino o della scarpa da ginnastica, con l’obiettivo, quasi sempre mancato, di simulare la nudità.

Riconsideriamo i tedeschi, con i loro teneri piedoni di spugna bianca dentro le Birkenstock, audaci anticipatori di uno stile.

È “Calzetto Pride”, almeno se ne va la preoccupazione della pedicure.

sabato 9 luglio 2022

IL RICORDO

Ciao Corrado Premuda, te ne vai dalla tua Trieste senza bora 

 


Corrado Premuda e una delle serate de "La testa per intrigo"


 

L’ultimo post su Facebook ricorda la sera di mercoledì scorso, alla presentazione del libro di un caro amico sulla terrazza del Museo Revoltella, tra risate e scambi di battute tra uomini che il teatro e il senso del ritmo ce l’hanno dentro. Avrebbe dovuto tornarci, su quella terrazza, il prossimo 3 agosto, questa volta a presentare il suo di libro, l’ultimo, “Trieste senza bora”, in cui aveva scelto di parlare della città da una prospettiva diversa: tre racconti in cui i protagonisti si trovano immersi in una dimensione immobile e lattiginosa, quasi d’attesa di qualcosa, di un evento, di un incontro. E nell’ultimo non poteva mancare la pittrice che l’aveva stregato, Leonor Fini, con la sua capigliatura furiosa e i suoi adoratori, di cui questa volta lui aveva scelto di immaginarsi figlio, anzi figlio-gatto, come a lei sarebbe piaciuto. I racconti della città senza il suo vento erano nati durante una residenza artistica alla Casa degli scrittori di Pisino e in uno di loro compariva anche Tadeusz Kantor, stranito per le strade di Trieste dal fantasma del padre. Lui, visceralmente triestino, che della sua città amava la lingua, i personaggi, le contraddizioni, il sole, il mare, il sapersi godere la vita, aveva scelto di rappresentarla nelle pieghe più inedite, mai da titolo di telegiornale.

 


Quella presentazione non si farà. Corrado, il “nostro” Corrado Premuda, ci ha lasciato improvvisamente, a 48 anni, per un malore. Solo pochi giorni fa era a Cagliari, ancora una volta sulle tracce di Leonor. Un gruppo teatrale sta provando la messinscena di un suo testo dedicato alla pittrice e gli aveva chiesto di assistere alle prove. Era tornato pieno di entusiasmo da quella trasferta e nell’attesa di vedere la piéce in palcoscenico, il prossimo autunno, progettava una festa in maschera per il compleanno di Leonor, il 30 agosto, un’altra celebrazione dell’artista-trasformista di quelle che organizzava alla Stazione Rogers di Trieste, chiamando a raccolta amici, attori, esperti a sviscerare ogni aspetto della complessa, ingombrante, sfuggente figura femminile che l’aveva stregato. Al punto da raccontarla anche in una versione per bambini, nel libro “Un pittore di nome Leonor”.


Si era laureato in Scienze politiche, ma non è stata la politica la sua passione. Era scrittore, autore di testi teatrali, da anni collaboratore delle pagine culturali del Piccolo, appassionato di letteratura per l’infanzia. Oltre che di Leonor Fini, su cui da anni si confrontava con galleristi, collezionisti, biografi, estimatori. E insegnante di italiano all’Istituto alberghiero Ial Fvg di Trieste. Un insegnante amato al di là dei banchi, che sapeva convincere e trascinare i suoi studenti alle serate di lettura di testi e improvvisazione, organizzate prima in città poi sul mare a Grignano. Le aveva intitolate “La testa per intrigo”, con una di quelle frasi che si dicono ai più piccoli in famiglia, e ognuno era chiamato a parlare di sé in un’atmosfera che Corrado sapeva rendere intima e insieme gioiosa, spezzando l’ansia da microfono.


Amava l’arte figurativa, certo, ma mai per pure questioni estetiche. E le donne erano spesso protagoniste dei suoi libri e dei suoi spettacoli, donne celebri - quelle forti e determinate di inizio Novecento, oltre alla pittrice “Lolò” anche le sorelle Wulz, Felicita Frai, Delia Benco - e donne anonime alle quali dare una voce, come in “Guardiana dei sogni”, il testo andato in scena negli anni scorsi al Revoltella.


Ai suoi lettori più piccoli aveva dedicato “A bordo di un guscio di noce”, una storia scritta nel 2014 a Pisino, primo italiano invitato nella Casa degli Scrittori croata. Il testo era uscito in versione bilingue, la favola di un ragazzino capriccioso che si dimentica del suo pesce rosso e deve affrontare un’avventura per recuperarlo nella grande caverna carsica su cui è costruita la città.


Perché un ragazzino era rimasto anche lui. Molti lo ricorderanno in giro per il centro città, vitalissimo a cavallo della sua bicicletta, sempre sorridente e affabile. Magro, scattante, ironico, curioso, pieno di interessi e di progetti. Al punto da riuscire perfettamente a immedesimarsi nelle curiosità dei viaggiatori più giovani e a scrivere per loro una “guidina” alla scoperta di Trieste, questa volta sì prendendoli per mano e portandoli incontro al vento, nella città della bora. Come aveva fatto ne “La Barcolana dei bambini”. E ancora ne “Il vaso di Pandora”, avvicinando i miti, rendendoli comprensibili. Era un suo talento quello di riuscire a formulare una scrittura didattica leggera, mai pedante.


Di lui resta nella redazione del Piccolo il ricordo di un professionista colto e gentile e prima ancora di un amico. Se n’è andato anche lui in un giorno senza bora, senza una ragione.