martedì 18 novembre 2008

MODA & MODI

First red ladies

Il rosso? Colore più politico che mai. Avete presente quello indossato dall'ormai ex aspirante first lady americana, Cindy McCain, in campagna elettorale? Vivo, carissimo, reso ancora più sfacciato da quelle spillone patriottarde di strass.

La cinquantaquattrenne ereditiera della birra non ha mai fatto mistero di amare firme inarrivabili per la middle class americana, come Escada e Carolina Herrera, tant'è che le sue preferenze in fatto di abiti sono state paragonate a quelle di Nancy Reagan, anche lei, guarda caso, innamorata di un «rosso» da migliaia di dollari, quello di Valentino.

Cindy McCain col marito John (Getty Images)
Peccato che giacche e guaine color fuoco non abbiano giovato alla battaglia di Cindy, portando a galla un po' della sua anima da «rodeo girl» dell'Arizona fuori tempo massimo. Soprattutto se abbinati a quei perfetti «republican hair», mai un capello fuori posto, che alla fin fine l'hanno bollata come la Bree Van De Kamp della politica, la perfettissima casalinga disperata pronta a far fuori il marito con la massima nonchalance, ergo, alla Casa Bianca, un tipetto molto poco rassicurante.


Eppure la platinata Cindy aveva vinto proprio la prima sfida del rosso, quella con la sua diretta concorrente, Michelle Obama. Durante la maratona elettorale, strizzata in un abitino a manica corta con un taglio che sottolineava il busto importante, Miss McCain, broche inneggiante ai marine a parte, sembrava molto più seduttivamente disinvolta di Miss Obama, che aveva scelto, pressochè nella stessa tonalità lampone, un vestito con giacca ton sur ton, effetto pacco regalo sulla sua figura piantata.


Michelle è passata attraverso un guardaroba allegramente technicolor: rigati, pesca, verde pisello, spesso comprati in catene da pochi dollari come Gap, H&M e White House Black Market. Proprio in questo store si scatenò una corsa all'accaparramento del modello stampato della stilista Donna Ricco, costo «miseri» 148 dollari, indossato dall'allora aspirante first lady alla trasmissione tv «The View» della rete Abc.


Ultimo colpo di scena l'incredibile ciclamino senza maniche e con cintura nera in vita, disegnato da Maria Pinto e sfoggiato da Michelle sul palco di St. Paul, in Minnesota, quando il marito raggiunse la quota di delegati in grado di assicurargli la nomination democratica.

Ma il colore della vittoria e della rivincita è ancora il rosso. Non solo quella spruzzata diavolesca sull'abito di Narciso Rodriguez per la notte dell'incoronazione, ma il rosso totale, imperativo, potente della prima visita alla nuova residenza e quindi alla first family uscente.


Una guaina semplicissima «sfilava» la tornita Michelle, con una svirgolata di pieghe sul davanti che pareva proprio la «V» di vittoria. Ironia della sorte anche Laura Bush aveva scelto una nuance di rosso, lo spento e autunnale mattone e un modellino bon ton con cintura sulla vita abbandonante, che faceva proprio «mi sono vestita per il trasloco».

Il coraggio cromatico del trionfo e l'uscita di scena malinconicamente dignitosa, da upper class repubblicana che ha accusato il colpo.
twitter@boria_a
 Michelle Obama e Barack in visita al presidente in carica George Bush e alla moglie Laura, 10 novembre 2008

martedì 4 novembre 2008

MODA & MODI: recession chic

L'aver buttato all'aria 125 mila dollari, tra Neiman Marcus e Saks, per rinfrescare il guardaroba, ha fatto crollare le quotazioni di Sarah Palin, aspirante vicepresidente degli Stati Uniti. Nell'America annichilita dall'altalena delle borse, le ragazze spendaccione di «Sex and The City» sono mestamente over e anche le più incallite «fashioniste» si stanno riposizionando. Parola d'ordine: sottrarre. O adottare le versioni cheap di abiti e borse che scopiazzano le firme, la cosiddetta fast fashion di Zara ed H&M. Quelle paginette comparative adottate per prime sui magazine femminili americani che, facendoti sentire una perfetta cretina, ti dimostravano come potevi aver un'immagine del tutto simile a quella di Gucci-Dolce&Gabbana-Cavalli-Prada-Armani spendendo appena una terzo, non sono più trattate con sufficienza anche sulle bibbie modaiole italiane, sempre un po' snob. Millequattrocento euro per il tubino di pizzo, quintessenza della stagione? Ne bastano poco più di cento per avere lo stesso glamour, vedere da Banana Republic. E pazienza se i numeri dell'abito sono da collegio e le taglie vanno fino alla cinquanta, sarà l'accessorio a fare la differenza.
Benvenuto «recession chic», glamour ai tempi della crisi economica. Che, in rete, è già diventato il frequentatissimo blog di Mary Hall, marketing manager californiana riconvertita all'austerity, che condivide con noi il suo diario quotidiano su dove e cosa tagliare. Gli esperti di marketing più scafati hanno già fiutato l'affare. Bourjois, per esempio, una linea di makeup francese non particolarmente cara, lancia il mascara e il gloss più a buon mercato come «the Recessionista Collection». E perfino a Manhattan, dove Carrie e le sue amiche erano disposte a mentire e tradire pur di scavalcare la lista d'attesa per la borsa «Birkin» di Hermès, c'è un salone che manda in giro e-mail promuovendo la «Recessionista beauty», ovvero sconti sul taglio di capelli e la depilazione delle sopracciglie. Lo slogan è «be smart and thrifty», sii elegante e risparmiosa, rispolverato direttamente da un catalogo del 1930, in piena grande depressione.
Sottrazione, dunque. «Keep the lightness, but cut the sweetness»: mantieni la leggerezza, ma taglia la dolcezza, dice Suzy Menkes, guru delle giornaliste di moda, sulle colonne dell'«Herald Tribune». Via fiori, fiocchi, volants. Via quelle orribili marche esibite, quelle riconoscibilissime iniziali, quei loghi disseminati dappertutto, perfino sulla punta delle scarpe. Trionfa la linearità: il maxicardigan che fa da microabito, il tubino senza un bottone nè una cucitura di troppo, la tunica che non vuole neppure una cintura, il cappottino corto e sobrio. Dilagano i colori poco gridati: il grigio, il beige, il bianco, l'armaniano «greige». Lo chic «recessionista» fa tornare le donne d'affari a un'austera sartorialità, ammoniva già mesi fa Lisa Armstrong sul «Times» di Londra. Sarà per questo che va per la maggiore la defilata griffe Akris, maison svizzera che fa cappotti, maglie e pantaloni grigi, per niente trendy. Piace a Condoleezza Rice, al passo con la recessione molto più della Palin...
@boria_a
Akris, autunno-inverno 2007-2008