mercoledì 28 settembre 2016

IL LIBRO




 Lungo il miglio dei profughi, tra Grecia e Macedonia




È un popolo in cammino quello che Luigi Ottani ha fotografato lungo i binari tra Idomeni, in Grecia, e la cadente stazione di Gevgelija, in Macedonia. Scatti in bianco e nero, potenti e fuori dal tempo, di un’umanità in marcia al passo delle traversine lungo il miglio che la separa dal confine tra i due paesi, realizzati tra il 20 e il 27 agosto 2015. Sono del popolo che ce l’ha fatta a proseguire verso il cuore dell’Europa, prima che un muro spinato interrompesse la rotta balcanica proprio qui e allontanasse all’infinito la tappa successiva, Preševo, al confine serbo, rovesciando su Idomeni l’urto di migliaia di disperati.

Queste foto, al contrario, trasmettono un’incrollabile determinazione, una serenità lacera ma inscalfibile, nei grandi e nei piccoli, nei vecchi e nei mutilati: ci sono uomini colti dall’obbiettivo nell’attimo di piegarsi sul tappeto della preghiera, davanti all’ossatura di un treno, famiglie che avanzano tra i binari con i neonati in braccio e il passato nei sacchi della spazzatura, occhi scuri di bambini impigliati nei gomitoli di filo spinato, stampelle appoggiate tra zaini e sporte, una marea accovacciata sotto i muri scrostati, quasi sospesa in uno spazio altro, in attesa di salire su uno dei due treni giornalieri, o su un pullman, un taxi, a seconda dei soldi salvati.



"Dal libro dell'esodo", foto di Luigi Ottani (Piemme)


Le immagini di Ottani sono state raccolte nel volume “Dal libro dell’esodo” (Piemme, euro 17,50), curato dall’attrice e documentarista Roberta Biagiarelli, che l’ha accompagnato sul confine greco-macedone, e con i contributi dello scrittore e giornalista Paolo Rumiz, di Cécile Kyenge, ministro per l’Integrazione sotto il governo Letta, e ancora di Michele Nardelli, Carlo Saletti e Ismail Fayad, amici incontrati dall’autrice in tempi diversi sullo stesso confine.


Biagiarelli e Ottani erano, in quella settimana di agosto 2015, gli unici italiani presenti nell’imbuto ferrato in cui i profughi dovevano per forza procedere a piedi, per dichiararsi alle autorità macedoni. «Senza alcuna esitazione - scrive la donna negli appunti presi sul tablet - siamo entrati nelle loro scarpe, chi le aveva ancora le scarpe, sbrindellate, sfondate, divorate dai chilometri percorsi, in tanti le avevano perse lungo il tragitto... Io sono diventata un orecchio, Luigi un occhio». E dalle parole dei profughi raccolte da Biagiarelli, dai loro visi riflessi nell’obbiettivo di Ottani, è nato questo libro, che è, al tempo stesso, testimonianza forte, documento e denuncia della cecità dell’Europa. Scrive Rumiz, nel saggio introduttivo: «La chiusura di fronte ai nuovi venuti può mandare in pezzi l’Europa assai più in fretta della spinta migratoria e di un’aggressione militare dall’esterno. Ma una parte di colpa in questa ostilità di fondo - destinata a crescere - sta nella mancanza di ascolto da parte della politica».


Il mondo è di chi cammina, avverte Rumiz. E l’esodo non si arresterà. L’Europa, al contrario, è stritolata in un paradosso. «Manifesta non la paura dell’Isis, ma delle sue vittime. Non sente i pericoli reali, ma le paranoie. Fa il gioco - conclude - di tagliagole che crede lontani, mentre sono prossimi a sbarcare a Marsiglia o in piazza San Marco».

martedì 27 settembre 2016

 MODA & MODI

La Barcolana si porta al polso 


IT'S WATCH BARCOLANA



La Barcolana 2016 si porta al polso. Se siete velisti-addicted, o marinai con un tocco glam, potrete avere sempre sott’occhio il campo di regata, su un cinturino blu dove si affollano i triangoli bianchi delle vele. L’idea è venuta a due imprenditori di Trieste, Giuseppe Taranto e Valentina Lesini, la coppia dietro la start-up di orologi al quarzo IT'S WATCH, giovane marchio in cui hanno concentrato molte delle loro passioni: il “cipollone” vintage dei nonni, il design, la ricerca di tessuti pregiati al posto di pelle, plastica o gomma dei cinturini tradizionali.

What time is it? It’s.... Il nome è nato così, pensando alle prime lezioni di inglese, dove la “I” sta anche per made in Italy e il “Ts” identifica la città di produzione, Trieste.
Fatto il disegno del modello, con quadrante rotondo, vetro bombato e numeri che citano l’orologeria degli anni Quaranta e Cinquanta, dieci mesi fa i due imprenditori si sono messi in moto per realizzare il prototipo. La fortuna ci ha messo del suo e, a Feletto Umberto, sono incappati nel titolare di un laboratorio orologiaio d’alta gamma, dove hanno trovato, in un colpo solo, la stampante 3D e un partner del progetto. Il passo successivo l’ha suggerito lui: un produttore di cinturini per maison svizzere a Vicenza. E così l’impresa è partita.





 





A quasi un anno di distanza IT'S WATCH (www.itswatch.it) è diventato un brand e ora punta a fare il salto come orologio ufficiale della Barcolana, dopo essere già stato partner dell’ultimo ShorTS, il festival internazionale dei corti di Trieste. Mare e vele per l’“edition” da regata sostituiscono le fantasie più discrete, in cashmere, velluto, lana, alpaca, loden, cotone, lino o seta, tessuti cuciti e ribordati intorno all’anima di pelle, a seconda delle stagioni.

«La frase che ci piace è “Scegli una trama, parlerà di te”», dicono Taranto e Lesini. «Ogni vita è una trama. L’idea è che possiamo raccontarci a parole o con gli oggetti che indossiamo». Per confezionare un cinturino, assicurano, ci vogliono oltre quaranta passaggi manuali e tutto il processo si svolge in Italia.
Le immagini della campagna promozionale sono firmate da un altro triestino, Massimo Gardone, che si muove tra arte e fotografia: niente modelli, ma l’orologio in primo piano che esce dalle pezze di tessuto, legando l’accessorio all’idea della tela, della sartoria. Un passante rosso è il segno distintivo del marchio.






 










Ora si lavora alla distribuzione, guardando all’Europa. La Barcolana, con il suo pubblico internazionale di regatanti e ospiti, è una partnership e una vetrina importante. E se i gadget finiscono inevitabilmente per stancare, una volta passata la festa basterà farsi passare la fantasia. E cambiarla.
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lunedì 26 settembre 2016

MODA & MODI


La seconda vita di Studiocinque e altro, da un vecchio forno si vola in rete 


 
Da www.studiocinqueealtro.com Mariaondina, sarta e modella



Per dieci anni il loro atelier è stata un’enorme e scenografica ex tipografia in viale D’Annunzio a Trieste, riconvertita in un negozio di tende e tappezzeria che aveva bisogno di nuove energie. Dalla metà del prossimo ottobre 2016, sarà un ex forno poco distante, in via Leghissa 6, piastrelle verdi anni Cinquanta alle pareti e pavimenti di graniglia, con un sapore vintage che da sempre fa parte del loro dna.

Ines Paola Fontana e Roberta Debernardi, le artigiane che, nel 2006, hanno ripreso in mano l’attività di “Studiocinque”, aggiungendo nel nome un “e altro” (riempito, negli anni, da borse, accessori, gioielli di recupero, arredi per la casa, furoshiki e tessuti tinti a mano), cambiano sede. Ma non vanno lontano, si spostano di un centinaio di metri, a chilometro zero, com’è nella loro natura di artiste “slow” (“sartine”, insiste Roberta), appassionate di tessuti da riportare a nuova vita, bottoni ai quali ridare un’anima e una funzione diversa, con attenzione ai dettagli e uno stile inconfondibile, un po’ zen.

Dalla vecchia tipografia al forno, passando per un negozio da barbiere che è l’attuale vetrina che collega il negozio alla strada, il filo conduttore rimane lo stesso e sempre nel cuore di Barriera: il piacere di lavorare con le mani, restituendo un’identità (un’utilità e anche un’estetica) a vecchie pezze o oggetti altrimenti destinati all’eliminazione.




 

 






Tutto è cominciato, dieci anni fa, in quella prima sede “stabile” di viale d’Annunzio a Trieste, dove sono riemerse decine di campionari di splendidi tessuti d’arredamento, accatastati e dimenticati. Scampoli preziosi (ma, soprattutto per le dimensioni, apparentemente inutili) trasformati con pazienza in borse, cinture obi, collane, grembiuli, cuscini, stole, cappelli. Come l’inesauribile lascito di bottoni di una merceria chiusa, da cui sono usciti metri e metri di collane, di ogni lunghezza e colore, sempre con un pizzico di ironia nelle “manipolazioni”.

Prima del trasloco definitivo, il 30 settembre e il 1° ottobre 2016, “Studiocinque e altro” (www.studiocinqueealtro.com)mette in svendita quel che rimane delle passate collezioni, accanto a qualche mobile sottratto alla discarica e resuscitato da un restauro certosino. A breve, in via Leghissa, riprenderanno corsi e workshop, la produzione di oggetti d’arredo e accessori, e, per la prima volta, il marchio venderà online. Nella sua seconda vita “Studiocinque” sbarcherà in rete, da un laboratorio dismesso che ha custodito, e ora ritrova, il gusto del fare.

sabato 24 settembre 2016

 IL LIBRO

Delphine de Vigan prigioniera di una stalker



Delphine de Vigan

 Una scrittrice travolta (ed esaurita, tramortita, prosciugata) dal successo planetario del libro in cui ha messo a nudo se stessa e la sua famiglia, raccontando il suicidio della madre. Che cosa scriverà ora? I lettori e l’editore incalzano, con pressioni e domande frequenti, perchè già un po’ di tempo è passato: dopo un disvelamento così definitivo, così intimo e personale - che la famiglia d’origine naturalmente non le ha perdonato - sta lavorando a un nuovo romanzo? E di che parla?

In questo momento di fragilità, quando la pagina bianca sembra un muro invalicabile, le parole e le idee latitano e la svogliatezza ha il sopravvento, ecco che nella vita di Delphine entra una persona, una sconosciuta brillante e sicura di sè: L. Un incontro casuale a una festa, l’affinità che scatta immediata sul riconoscimento di gusti comuni e la donna diventa una presenza quotidiana e imprescindibile nella vita di Delphine


Sembra sapere tutto di lei, anticipare i suoi bisogni, spianare i problemi, organizzarle la giornata, fino a pungolarla nella scrittura, spingendola ad andare oltre nel rivelare di sè, perchè è quello - le dice, la convince - che il suo pubblico pretende.
L. è precisa, metodica, implacabile, laddove Delphine, nervosa ed esaurita, un compagno impegnato e i figli che stanno partendo per l’università, ha solo bisogno di ascolto. Basta una prima debolezza e nasce la dipendenza. Da un bicchiere di vino condiviso sul divano, da una fragilità esposta, si passa al controllo delle mail. Una metastasi  - almeno all'inizio asintomatica - dilaga nella sua vita.



È un lucido e inesorabile viaggio dentro uno “stalkeraggio” che diventa, giorno dopo giorno, un’impalpabile prigionia, non una tela di ragno ma il tocco vischioso di una medusa, quello che Delphine De Vigan racconta nel suo nuovo libro “Da una storia vera” (Mondadori, pagg 302, euro 19,00). La protagonista si chiama Delphine, ma l’autobiografia non è dichiarata, perchè l’autrice sollecita il lettore a interrogarsi di continuo sul confine fluido e ingannevole tra verità e invenzione.


 Poco importa, però, che sia proprio de Vigan l’ostaggio volontario di L., perchè il processo di sovrapposizione delle due figure si completa man mano che l’accerchiamento dell’intrusa si fa più stringente: l’amica diventa segretaria, confidente, badante, infermiera, carceriera, in un processo sottile e crudele, che si spinge fino alla sostituzione di persona. Quanto più Delphine è depressa, frastornata, incapace di reagire, tanto più L. è decisa e impositiva.

La salvezza arriverà dalla scrittura, che non è però quella che L. ha imposto alla sua vittima. Davanti alla scoperta di essere lei l’oggetto di una nuova storia, non può che scattare la vendetta: dopo l’eliminazione identitaria e sociale di Delphine, anche quella fisica.

Ma ormai il gioco è ad armi pari: una delle due non ha altra scelta che sparire. Cancellando ogni traccia di sè, fuorchè un manoscritto che perpetua il dubbio. La crudeltà più sublime, nascosta nel cassetto di un editore.
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venerdì 16 settembre 2016

LA MOSTRA

Lifting e photoshop, le cover (le) girls di Toni Mazuranic


 
"Mind the gap" (2015) Toni Mazuranic



Volti senza un’ombra di ruga, colli svettanti spianati dal photoshop. Occhi spalancati innaturalmente, bocche che lievitano. Per non dire dei corpi: cosce e punto vita rifilati, seni addizionati. Ogni giorno, riviste, pubblicità stradali, immagini che si infilano nella nostra quotidianità attraverso la rete, ci bombardano con i canoni estetici di una bellezza “costruita” a tavolino. Una manipolazione costante e pericolosa, che condiziona inconsciamente tutte e, nelle donne più giovani, può innescare drammatici fenomeni emulativi, al punto che, di tanto in tanto, il mondo della moda si bacchetta con una buona dose di ipocrisia e promette di mettere in guardia il consumatore: un bollino rosso sotto le foto ritoccate. Come dire: questa non è un’immagine reale, ma dovresti essere comunque così per piacere.


 
"Full of Shimmer" (2015) di Toni Mazuranic



Intrusioni, trasformazioni, correzioni nel rapporto tra donne e riviste di moda. Ritocchi sulla carta e sul corpo. Sono questi i territori in cui si muove l’arte di Toni Mazuranic, ventottenne pittrice croata, che, dopo quasi dieci anni negli Stati Uniti, dove si è laureata in Belle Arti al Cleveland Institute of Art, è tornata a vivere e lavorare a Zagabria. Quattordici delle sue opere, il 17 settembre 2016 alle 19, apriranno la nuova stagione espositiva all’Atelier Home Gallery di Trieste (a palazzo Panfili in via della Geppa 2), alla presenza del console generale Nataša Degiuli Kos, che ha supportato questa “prima” italiana dell’artista.



"Cover  (THE) Girls" di Toni Mazuranic


Plastic Divas” s’intitola la mostra curata da Matilde Tiriticco, visitabile fino al 5 novembre 2016 (da giovedì a sabato, 18-20 o su appuntamento info@atelierhomegallery-org). Ritratti femminili di grandi dimensioni (quasi una doppia sfida per Mazuranic, che si misura con l’ampiezza importante delle opere e il genere del ritratto, di per sè impegnativo e “invasivo”) realizzati partendo da collage di immagini diverse, quindi da un primo intervento “manipolativo”, che poi la pittrice trasferisce su tela.


Nell’appartamento al terzo piano di Palazzo Panfili, sede dell’Atelier Home Gallery (www.atelierhomegallery.org) e dello studio del pittore Roberto del Frate, gli oli di Mazuranic vengono incontro al visitatore con una forza impositiva: t
ra figurativo e pop art, i diversi strati di colore risucchiano lo sguardo sul passaggio da un tassello all’altro del collage originario. Le bocche sono gigantesche, coperte di rossetto pastoso, escono dal perimetro del viso quasi volessero fagocitare l’osservatore, come la pubblicità stessa con i suoi canoni di bellezza innaturali. Sono ritratti di donne decostruite e ricostruite, dove ogni fattezza presa singolarmente è perfetta, ma l’insieme, pur armonico, ha qualcosa di inquietante e grottesco. Al pari di un corpo sul quale si cambiano e si forzano le proporzioni.

 
"Cover (THE) Girls"


Accanto alle grandi tele più recenti, sono esposti alcuni lavori della serie “Cover (LA) Girls”. Mazuranic riproduce su tela le copertine di Cosmopolitan con i volti perfetti delle it-girl alla Jessica Alba e Mariah Carey e su di essi interviene parzialmente, coprendoli di vinile o glitter. Si crea così una sorta di maschera riflettente, dove l’osservatore può vedersi e, secondo le intenzioni dell’artista, riflettere sul suo atteggiamento verso le immagini photoshoppate.


A ottobre, infine, nell’ambito della mostra, saranno esposte le borse minimal chic della designer italo-croata Patrizia Donà (www.laboratoriodona.com) della collezione “Hommage à Remington”, con dettagli della macchina da scrivere vintage.



"Hommage à Remington" di Patrizia Donà (Laboratorio Donà)


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lunedì 12 settembre 2016

LA RASSEGNA

A Trieste Mille Occhi guardano il cinema da scoprire 





Quindici anni e, da sempre, gli stessi obiettivi: esplorare liberamente e trasversalmente il cinema, senza barriere di tempo, temi e generi. Andare alla ricerca di margini e zone d’ombra, di personaggi e opere dimenticati, non per lo snobismo della proposta di nicchia ma per leggere e interpretare il mondo contemporaneo attraverso il loro sguardo. Favorire il dialogo con le altre arti, dal teatro alla musica, dalla letteratura alle arti visive, e rispettare i formati in cui il cinema è nato, la pellicola prima del digitale. Il direttore Sergio M. Grmek Germani ha sintetizzato così l’essenza della sua creatura, “I Mille Occhi”: «Il coraggio di scelte nette e coraggiose», di intrecci e commistioni in controtendenza, che hanno ritagliato al festival una sua identità nazionale e internazionale, assicurandogli il sostegno triennale della Regione (www.imilleocchi.com).

Dal 16 al 22 settembre 2016 al teatro Miela di Trieste, con un’anteprima oggi e domani al Cinema Trevi di Roma insieme alla Cineteca Nazionale, la quindicesima edizione propone sette giorni serrati di proiezioni a ingresso libero. Con un omaggio al regista sloveno Vlado Škafar, al quale andrà il Premio Anno Uno e di cui sarà presentata la prima monografia completa al di fuori della Slovenia, curata dalla co-fondatrice del festival Mila Lazic, affiancandole la mostra della pittrice e musa del regista Joni Zakonišek. Nella serata di chiusura, dopo la premiazione alle 20.45, verrà proiettato l’ottavo e più recente film di Škafar, “Mama” (che l’autore stesso ha detto sarà l’ultimo...), prodotto dal goriziano Igor Princic e girato in italiano, sloveno e lingue locali. «Un’opera - ha sottolineato Germani - non amata adeguatamente da altre rassegne e proprio per questo presentata a Trieste in anteprima nazionale».



"Mama" del regista sloveno Vlado Škafar


Il festival si apre col botto, venerdì alle 21, quando, ad accompagnare “Nostra Signora dei Turchi” (1968), il lungometraggio d’esordio di Carmelo Bene restaurato dalla Cineteca Nazionale, arriverà a Trieste la protagonista e musa del regista Lydia Mancinelli. Primo giorno e primi rimandi: nel film compare infatti, nel piccolo e conclusivo ruolo della sua carriera, quel Ruggero Ruggeri di cui, alle 18, viene proiettato in anteprima assoluta “Il documento” (1939), opera considerata perduta da decenni e restaurata dalla Cineteca del Friuli, alla cui proiezione sarà presente da figlia del regista, Manitta Camerini, di recente entrata nel direttivo dei Mille Occhi presieduto da Michele Zanetti.



Carmelo Bene e Lydia Mancinelli in "Nostra Signora dei Turchi"


È stato il critico tedesco Olaf Möller a illustrare, affiancando Germani alla “Lovat” di Trieste, il programma da lui curato e collegato alla retrospettiva già proposta al festival di Locarno. S’intitola “Beloved and Rejected” e si concentra sul tema dei migranti e degli esuli affrontato attraverso la visione di film tedeschi dell’era Adenauer, dal 1949 al 1963. «Per Trieste, in considerazione della sua storia e del suo pubblico molto preparato, ho selezionato qualcosa di speciale», ha detto Möller. «Non mostriamo vecchi film, vogliamo considerare la storia e trovare qualcosa che ci dica del domani».


Tra gli omaggi si contano quelli al drammaturgo palermitano Franco Scaldati, con un trittico di opere firmate da Franco Maresco, e al friulano Siro Angeli, poeta, drammaturgo e sceneggiatore. Di quest’ultimo, domenica alle 18, sarà presentato il Fondo, costituito alla Cineteca del Friuli e curato da Germani, in una serata in cui, nel ricordo del 40° del terremoto, si ricorderà anche il giornalista Guido Botteri: tra film e documentari di Angeli, passerà il programma radiofonico «55” come secoli» con la voce di Omero Antonutti, ospite in sala.


Molte le chicche del cartellone, a partire dal capolavoro muto di Elvira Giallanella “Umanità” (1919), sullo schermo lunedì 19 alle 20.45 con l’accompagnamento musicale di Francesca Bergamasco e Alessandro Fogar, per finire con “Teheran”, il film codiretto dal triestino Giacomo Gentilomo recuperato da decenni di oblio dal collezionista Simone Starace, la cui proiezione (sabato 17, alle 16) sarà introdotta dal critico Maurizio Cabona. Una sezione ulteriore è dedicata alla prima parte di una riscoperta dei registi veneti Renato Dall’Ara e Walter Santesso (il Paparazzo de La dolce vita), autori ignorati da qualsiasi storia del cinema e che il festival pensa meritino attenzione e critica.



"Mobby Jackson" di Renato Dall'Ara


Infine, una nota di orgoglio. Alla presentazione dei Mille Occhi a Venezia nel 2007 - ha ricordato Germani - partecipò l’allora sconosciuto Lav Diaz, il fluviale regista che sabato notte ha vinto il Leone D’oro.

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domenica 11 settembre 2016

MODA & MODI

L'ipocrisia dell'intimo salva-pudore




Body segreto, C-string, slip Shibue. Dopo la mostra del cinema di Venezia la lingerie da red carpet non ha segreti per nessuno. Giulia Salemi e Dayane Mello, modelle in cerca d’autore, hanno ottenuto molto di più di quello che sognavano: far dissertare tutto il paese, oltre che sulla loro identità, anche su che cosa non indossassero al posto dell’intimo regolamentare.

Un perizoma? Roba quasi catalogabile tra le mutande di Bridget Jones, passate alla storia come le madri di tutta la biancheria oscurantista. Il più scientifico contributo al dibattito è venuto però dal britannico Daily Mail che, facendo onore al giornalismo inglese, si è lanciato in una disamina precisa di tutti i fantasiosi (e fastidiosi) ammenicoli che si possono scegliere per non lasciare niente all’immaginazione di chi guarda, fingendo di voler coprire qualcosa. Perchè il segreto, se così si può dire, sta tutto lì: il nudo integrale avrebbe provocato meno sensazione di quelle lingue di tessuto posizionate tra peli mal rasati, perimetri di abbronzature e inequivocabili contorni anatomici.

Il “bodysuit” sfoggiato dalle due starlettine è cucito all’interno dell’abito e regala l’effetto bretellona in mezzo all’inguine, simile a quello di Sacha Baron Cohen in "Borat". Sul tappeto rosso l’aveva già mostrato la modella Bella Hadid allo scorso Festival di Cannes, ma la carnagione lattea e la silhouette da calla, ne avevano depotenziato la volgarità che, al contrario, ha deflagrato sull’abbronzatura non integrale, la depilazione approssimativa, le coscione palestrate e la inarrivabile tamarraggine delle due emule di Venezia.


Il C-string non richiede sforzi di fantasia, in tutti i sensi. Ha le caratteristiche scritte nel nome: crudele e castigante. L’aletta copri-pube, infatti, si assottiglia sul lato B e termina in un filo metallico da infilare tra i glutei, così che la schermatura non si sposti camminando. Troppo cattivo e foriero di contorsionismi fastidiosi? Allora non resta che affidarsi all’invisibile Shibue, al quale, tra gli altri meriti, dobbiamo l’ineffabile scoperta della farfallina di Belen. È un triangolino giusto per coprire quello che Courbet chiama l’origine del mondo, fissato in loco con una striscia di silicone. Dal pube gira l’inevitabile stringa intragluteo che termina in una sorta di cuoricino adesivo all’altezza dell’osso sacro.


Lo scandaletto di Venezia? Ipocrita, come questi francobolli di intimo “salva-pudore”. Che è fatto per esaltare aderenze, trasparenze, spacchi, ma deve restare invisibile. Soprattutto quando lo scopo è solo la visibilità di chi lo porta.

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martedì 6 settembre 2016

 IL TEATRO

Cin cin di Capodanno con Bolle a Trieste 




Roberto Bolle and friends a Trieste dal 29 al 31 gennaio 2016




 Due presidenti, l’uscente Miloš Budin, e l’entrante, Sergio Pacor, seduti allo stesso tavolo. Un’assessora ai teatri, Serena Tonel, alla sua prima volta (come carica, stagione e anche “delega”, invenzione autentica della giunta Dipiazza). Una presidente, Maria Teresa Bassa Poropat, che invece si congeda, e perfino insieme al suo ente, la Provincia, ormai agli sgoccioli. Insomma, un via vai da vaudeville, con al centro, punto ancora fermo nell’avvicendamento istituzionale, l’assessore regionale alla Cultura Torrenti.


Non poteva esserci presentazione più “teatrale” per la nuova stagione dello Stabile del Friuli Venezia Giulia, illustrata ieri, in una torrenziale conferenza stampa aperta al pubblico, dal direttore Franco Però insieme al direttore organizzativo Stefano Curti. Tempi commisurati alla consistenza del cartellone: 50 spettacoli, distribuiti tra prosa, “altri percorsi” (sezione dedicata ai linguaggi diversi e più contemporanei), danza e musical, con tredici produzioni proprie del Politeama, nove nuove e quattro ora in tournée nazionale. E alcune star di grande richiamo: da Roberto Bolle (29-31 dicembre) a Malika Ayane in “Evita” (18-22 gennaio), da Luca Zingaretti che in “The pride” parla di omosessualità (14-18 dicembre) a Eros Pagni, applauditissimo sindaco del rione sanità dell’anno scorso, quest’anno in scena con “Minetti” di Thomas Bernhard. A un affabulatore sportivo che ha conquistato i giovani, il giornalista Federico Buffa, telecronista di Sky, che racconterà sul palco le Olimpiadi del 1936 (15-16 novembre). 



Malik Ayane nella parte di Evita (18-22 gennaio 2016 a Trieste)



 

 
Luca Zingaretti in "The pride" (14-18 dicembre 2016 a Trieste)





Molta attenzione ai temi d’attualità, come all’attualità di queste ore si lega lo spettacolo che anticipa l’apertura ufficiale, “Genius Loci” di Andrea Collavino con Omero Antonutti, Maria Grazia Plos e Riccardo Maranzana, il 23 settembre al Rossetti: nato per ricordare i 40 anni del terremoto in Friuli, vuol essere ora un gesto di solidarietà per le popolazioni del centro Italia, alle quali andrà l’intero incasso.

Impossibile citare tutte le piéce, gli eventi e i protagonisti in cartellone. Seguiamo, allora, lo slogan scelto per la stagione, “liberi di sognare”, suggerendo alcuni appuntamenti e personaggi che calcheranno il Rossetti (ma anche il Miela e lo Sloveno, in virtù di collaborazioni sempre più oliate). Taglio del nastro il 25 ottobre con “Play Strindberg” di Dürrenmatt, “match” familiare in undici round che riporta a Trieste Franco Castellano (ora in tour con “Scandalo”) insieme a Maria Paiato e Maurizio Donadoni, per la regia di Però. Dal 1° novembre “Das Kaffeehaus”, il Goldoni della bottega del caffè riletto a tinte fosche da Fassbinder, con cui si misurerà la compagnia dello Stabile diretta da Veronica Cruciani. Terza produzione del Rossetti (a partire dalla commissione del testo), “La domanda della regina”, firmata a quattro mani dal drammaturgo Giuseppe Manfridi e dallo scienziato Guido Chiarotti, è una commedia sul rapporto tra economia, finanza e società, che prende spunto dalla domanda posta da Elisabetta ai suoi consulenti: perchè non hanno saputo prevedere la crisi?


L’attualità porta a Trieste volti di piccolo e grande schermo: oltre a Zingaretti e Pagni, Fabrizio Bentivoglio, per la prima volta in città come insegnante in una banlieue parigina ne ”L’ora di ricevimento” di Massini (1-5 marzo), Luca Barbareschi con “L’anatra all’arancia” (30 novembre), Massimo Ghini nell’esilarante “Un’ora di tranquillità”, insieme a Galatea Ranzi e Massimo Ciavarro (8-12 febbraio), Luigi Lo Cascio, nel delicato omaggio a Pasolini de “Il sole e gli sguardi” (22-27 novembre), Piera degli Esposti con “Wikipiera” (9-11 marzo) e, solo come regista, Alessandro Gassmann e la sua versione di “Qualcuno volò sul nido del cuculo (9-13 novembre).



Fabrizio Bentivoglio in "L'ora di ricevimento" di Stefano Massini (-5 marzo 2016 a Trieste)


Ricca l’offerta dei classici, da Macbeth a Faust (in ricordo di Tomaž Pandur, il regista morto l’anno scorso a 53 anni), dall’Arlecchino di Goldoni al “commesso viaggiatore” e “Il prezzo” di Arthur Miller, con due maestri del teatro come Umberto Orsini e Massimo Popolizio. Per gli amanti del musical c’è da scegliere tra Cabaret e Sister Act (nel cast suor Cristina di X Factor), il ritorno del Rocky Horror Show ed Evita, mentre la danza, oltre a Bolle, vede in cartellone anche Carolyn Carlson e la Parsons Company.


Infine, Stabile italiano e Sloveno, allestiranno, nel teatro di via Petronio e in due lingue, il nuovo testo di Marko Sosic “Paurosa bellezza”, sull’epopea dell’alpinismo, quello triestino di Comici, Cozzolino e Tiziana Weiss e quello dei grandi arrampicatori sloveni.

Biglietti e abbonamenti dal 7 settembre 2016: tel. 040-3593511, www.ilrossetti.it
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