mercoledì 25 marzo 2020

MODA & MODI

Tuta, power suit in tempi di smart working

Mai fuori dalla palestra, si diceva della tuta da ginnastica. Peccato massimo di sciatteria indossare l’abbigliamento da sport al di là dei perimetri deputati agli allenamenti. Non parliamo di mettersela in casa, l’equivalente di abdicare a ogni urbanità e desiderabilità. O in aereo, indizio da viaggiatore low cost.

A sdoganare la tuta è stata l’era della condivisione. Eccola sulle pubbliche bacheche dei colonizzatori di follower, purché raffinata, tecnica, glamour, accessoriabile come un qualsiasi altro capo del guardaroba, impeccabile per lo scatto da social. Frivola e spensierata, come altri tempi, piena di ammennicoli per contenere e dissimulare cellulare, rossetto, chiavi, tutto quello di cui abbiamo bisogno per muoverci con stile.


Ma oggi che non ci è concesso farlo? La tuta si ritira di nuovo al coperto e inevitabilmente cambia pelle. Confinati tra le pareti domestiche, la vogliamo confortevole, e confortante, più che performante. Morbida, calda, comoda, che non ci faccia sentire trascurati, legati o in prigione.


Non è il capo da convalescenza, da resa a una domesticità forzata, ma l’involucro più adatto a una nuova routine che per tutti è necessariamente costretta in spazi e contatti più limitati, senza che per questo si debba rinunciare a piacersi. Comfy–wear lo chiamano, vestire per sentirsi a proprio agio, prima di tutto con se stessi.


Togliamo il pigiama e infiliamo la tuta per affrontare la giornata, che vogliamo all’altezza della situazione. Le vendite online volano, boccata d’ossigeno per il settore, oltre che gratificazione per noi. La tuta ha sostituito i capi primaverili visti solo virtualmente o sulla carta (salvo qualche pezzo approdato nelle vetrine prima della serrata e ora quasi disorientato, smarrito tra i vecchi saldi invernali...) e che forse ritroveremo tra qualche mese già scontati, retaggio di una stagione perduta, di un pezzo di moda finito dalle passerelle al magazzino senza passare attraverso i nostri gusti e il nostro desiderio.


E allora la tuta non è un ripiego, è il nuovo power suit, in tempo di smart working

@boria_a

sabato 21 marzo 2020

IL PERSONAGGIO

I segreti femminili inediti di Roberto Arlt

 
Roberto Arlt (1900-1942, Buenos Aires)


Roberto Godofredo Christophersen Arlt, per brevità Roberto Arlt. Dietro quello che sembra il nome del personaggio di un romanzo di avventure, ambientato nel cuore della Mitteleuropa, si nasconde uno scrittore e un giornalista in carne e ossa, uno dei capostipiti della letteratura latinoamericana moderna, in particolare per quanto concerne la narrativa breve, il “cuento”, di cui ha gettato le basi insieme ad autori del calibro di Leopoldo Lugones e Horacio Quiroga. Un grande che influenzò anche Gabriel García Marquez, oggi sconosciuto ai più, nella sua stessa città per parte di madre: Trieste.

Siamo a Buenos Aires, ma la Mitteleuropa c’entra, eccome. Roberto Arlt, infatti, era figlio di una triestina di lingua italiana, Ekatherine Iobstraibitzer, e di un prussiano di Posen, Karl Arlt, immigrato in Argentina. Nato nel 1900, Roberto se ne andò di casa a sedici anni per contrasti con il padre e insofferenza nei confronti della rigida educazione impostagli in famiglia, dove si parlava tedesco. Fece mille mestieri manuali per sopravvivere e studiò da autodidatta. A ventisei anni debuttò con il primo dei suoi quattro romanzi, “El juguete rabioso”, racconto autobiografico di un ragazzino che scappa da scuola e affronta avventure di ogni tipo per emanciparsi nella scala sociale.



Roberto Arlt


Arlt scrisse romanzi, racconti, piéce teatrali. Ma è come giornalista di “El Mundo”, dove iniziò a sedici anni e collaborò intensamente tra il 1928 e il 1942, che conquistò fama e successo, firmando le sue celebri “aguafuertes”, brevi scritti da leggere in tram al mattino andando al lavoro, racchiusi in una colonna del quotidiano. Lui le definisce “notas”, termine che traduce sia gli appunti che gli articoli di giornale. Erano gli antesignani del “caffè” alla Gramellini o dell’“amaca” di Serra, schizzi di vita quotidiana che traevano spunto dall’osservazione dell’autore, o da una lettera arrivata in redazione, o da una conversazione tra amici. Perchè aguafuertes? Perchè il suo stile era satirico e graffiante, come la tecnica d’incisione del metallo che impiega materiali corrosivi, in particolare l’acido nitrico.


Le aguafuertes di Arlt ebbero un successo travolgente, tanto che il direttore del Mundo decise di non farle più uscire in un giorno fisso, ma di spingere il lettore a comprare il giornale, alimentandone l’attesa. Le vendite infatti aumentarono e Arlt ebbe la straordinaria libertà di campare della sua scrittura, utilizzando poi la formula dei fortunati “appunti” per le sue cronache di viaggio, le Aguafuertes cariocas e le Aguafuertes españolas, queste ultime edite in Italia nel 2019.
Le donne argentine sono spesso protagoniste dei suoi articoli. Donne che lavorano, che studiano, che cominciano a vedere riconosciuti i loro diritti, che decidono di rimanere single in una società in cui il matrimonio e l’aspirazione a conseguirlo rimangono comunque al centro.


È dedicata a loro “Segreti femminili” la selezione inedita di venti articoli di Arlt appena pubblicata da Elliot. «Le argentine - spiega il curatore del prezioso volumetto, Carlo Alberto Montalto - agli inizi del XX secolo hanno voglia di far rumore, sono le più permeanti ambasciatrici dei grandi cambiamenti storici e sociali che riguardano l’intero continente latinoamericano, soprattutto per quanto concerne le grandi città».





Arlt osserva, commenta, partecipa. E dà consigli del cuore: sulla purezza, sugli amori passeggeri, sul matrimonio e le sue conseguenze, come lo spiacevole e non infrequente triangolo lui-lei-suocera, su come ridurre alla ragione coniugale mariti allegri. Lui stesso si era sposato due volte, di faccende di cuore ne sapeva qualcosa. «Nelle acqueforti - prosegue Montalto - si respira sempre e comunque un’atmosfera sociale che ha bisogno di un ricambio d’aria, di aprire ogni finestra possibile. La scelta obbligata del matrimonio è esattamente quello che “le donne di Arlt” intendono combattere per realizzarsi socialmente e umanamente. Naturalmente c’è anche chi, tra di loro preferisce vederla con una mentalità all’antica, soprattutto riguardo al fatto di trovarsi un marito. E, nell’economia del geniale meccanismo di questi scritti, per fortuna che ci sono anche loro».

Esilaranti i ritratti delle poetesse, una figura su cui la corrosiva penna di Arlt si scatena. «Il che è del tutto inevitabile quando una novità genera scalpore rompendo con un passato convenzionale che relegava la donna a determinati ruoli e contesti - aggiunge il curatore -. D’altra parte è solo così che Arlt poteva denunciare in modo inequivocabile l’ormai insensato bigottismo di una società che non permetteva alle donne di accedere con le proprie gambe alla sfera culturale, tantomeno al diritto di voto e a quello all’istruzione».


Arlt definisce le poetesse “una specie di piaga nazionale”, presente in ogni “paesino di campagna, quotidiano di landa sperduta o bollettino parrocchiale”. Dame i cui componimenti vengono accettati dai giornali soltanto per non perdere un abbonato, di solito incorniciati da rampicanti di una qualsiasi specie botanica, impreziositi da amorini e colombelle, e firmati a piè di pagina da una Ester che inevitabilmente “il linotipista accorto, per ordine del direttore”, trasformerà in Esther con l’acca, “che fa più elegante e più signorile”. Poetesse che può redimere solo il matrimonio, “il sacramento - dice il Nostro - che ha salvato molte anime dalla perdizione”. 

Quello di Arlt è un linguaggio che non avverte il peso del tempo, anticipatore addirittura sulle questioni di genere. “Genia”, seppure ironicamente, definisce uno dei suoi bersagli preferiti, le presunte verseggiatrici. «Un anticipatore su tutta la linea - conferma Montalto - e lo dimostra proprio la femminilizzazione di un termine tipicamente usato al maschile per entrambi i generi, tant’è che oggi questa variante femminile viene impiega in modo comunissimo tanto in Spagna quanto in America Latina».


Le aguafuertes sono piccoli gioielli di osservazione, umorismo, sensibilità. Concentrati di empatia nei confronti dell’essere umano in genere, i cui comportamenti Arlt registra con un’acutezza esente da qualsiasi stupore, o giudizio, ben conscio che entrambi i sessi sono capaci di bene e male, tradimento e malizia, grandi gesti e piccolezze. Sui “segreti femminili” non si può dargli torto: “Di che cosa parlano le donne tra loro? Che cosa pensano degli uomini? A che genere di interrogatorio sottopongono un’amica fresca di matrimonio? Ciascuno di questi luoghi comuni rappresenta un mistero per il novanta per cento degli uomini, per i quali la donna è un essere talmente sconosciuto ed ermetico nella sua intimità psicologica come potrebbero esserlo il Polo Nord o il fondo del mare».

@boria_a

sabato 14 marzo 2020

IL LIBRO


Le amiche di Carmen Korn, sulle note
di Gershwin verso il nuovo Millennio




Il colpo d’occhio dei tre volumi, uno accanto all’altro, sintetizza con un’illustrazione felicissima la poderosa trilogia della tedesca Carmen Korn, appena arrivata a conclusione con la pubblicazione dell’ultimo volume, “Aria di novità” (Fazi, pagg. 527, euro 20): sulla prima copertina le protagoniste vestono gli abiti sciolti e comodi delle donne che escono dal perimetro domestico ed entrano nel mondo del lavoro: sono le “figlie di una nuova era”, nate all’indomani della Grande guerra, con un diverso peso e ruolo sociale. Sulla seconda, eccole negli anni Cinquanta, il punto vita ben segnato, le gonne a corolla e la voglia di guardare avanti: è “tempo di ricominciare”, lasciandosi alle spalle gli anni della morsa nazista e della denazificazione, per affrontare le sfide di una società che si modernizza, tra pregiudizi e contraddizioni. Sulla terza, infine, le ginocchia scoperte e il trucco le accompagnano, sulle note di Gershwin, al giro di boa del nuovo Millennio, attraverso la plumbea stagione del terrorismo fino al crollo del Muro e alla riunificazione tra le due Germanie.

Le quattro amiche di Amburgo da cui la saga ha preso avvio - Henny, Käthe, Ida e Lina - sono diventate nonne, alcune bisnonne, comunque matriarche di una famiglia allargata, fatta di parentele, adozioni, coppie di fatto etero ed omo, legami di elezione intensi quanto quelli di sangue, che Korn mette sempre al centro dell’intreccio, filtrando la grande storia nella quotidianità minuta dei suoi innumerevoli personaggi. Entriamo nelle “vite degli altri”, spiate dalla Stasi, per l’amore tra la fotoreporter Katja, nipote di Henny, e il fascinoso Jon, attore di Berlino Est, che rocambolescamente riuscirà a passare dall’altra parte del Muro insieme al fratello epilettico Stefan. Alla fuga collabora Alex, pianista omosessuale, sul cui rapporto ventennale con Klaus, conduttore radiofonico e fratello di Katja, si allunga il terrore dell’Aids, quando era ancora e soltanto la “peste” dei gay. Gli anni di piombo si abbattono sulla famiglia di Käthe e Rudi per la militanza della figlia adottiva Ruth, fiancheggiatrice della Raf più per amore che per intima adesione. E c’è anche il mondo glamour della moda, con le copertine e le riviste patinate, di cui è protagonista Florentine, figlia di Ida e del cinese Tian, esotica bellezza a suo modo coriacea e trasgressiva come la madre, con cui condivide scelte di vita controcorrente.


Quello della Korn è un romanzone corale - ed è la sua forza - dove snodi storici epocali si impastano nel flusso costante dei cambiamenti di società e mentalità, entrambi riflessi nelle vicende di tutti, personaggi di primo piano e comprimari: le donne sempre più indipendenti e in carriera, l’assetto familiare con un diretto coinvolgimento dei padri, l’omosessualità faticosamente dichiarata, l’istituto del matrimonio in discussione, il bisturi come deterrente al trascorrere del tempo. Sullo sfondo della nascente globalità, che, attraverso i viaggi e le professioni delle nuove generazioni, improvvisamente si riversa nelle strade e negli interni domestici di Amburgo, dove la saga è rimasta confinata nei primi libri.






Come nelle lunghe serie televisive, l’autrice sfuma con gradualità alcuni dei caratteri più vecchi, per far posto a nuovi personaggi e sviluppi, anche se le quattro amiche si passano il testimone e restano a governare l’intreccio fino alle pagine finali. Al centro dell’ultimo libro sono soprattutto le vicende delle loro figlie e nipoti Florentine, Ruth e Katja: la top model divisa tra due uomini e con un figlio dalla paternità incerta, la terrorista, che espierà il suo pesante passato prendendosi cura di un compagno fragile, infine la fotoreporter, capace di rischiare la vita per amore e poi di conciliare professione e maternità. Ognuna di loro dà voce ai temi cari a Carmen Korn: l’amicizia, la genitorialità, il mutamento della coppia, il rapporto tra le generazioni, la solidarietà.





Con questo filo rosso, sviluppato in dialoghi serrati e incessanti cambi di inquadratura, che scoraggiano cali di attenzione lungo le oltre millecinquecento pagine della trilogia, l’autrice conclude la sua cavalcata nel Novecento all’alba del nuovo millennio. E se il paragone con la maestosa epica al femminile di Elena Ferrante non convince - l’affinità del tema non basta, perchè ritmo e registro sono agli antipodi - Carmen Korn ci tiene avvinti fino all’ultima pagina, col desiderio di vedere anche le sue ragazze approdare sul piccolo schermo, per cui sembrano avere tutti i requisiti.

@boria_a

martedì 10 marzo 2020

MODA & MODI


Sfilate in streaming e senza mascherina

 
Billie Eilish ai Grammy, mascherina logata Gucci




Sfilate in streaming? Fino a pochi giorni fa erano solo l’annullamento di un privilegio a lungo difeso con laccatissime unghie e denti da squalo. Oggi un collegamento alla Rete permette a chiunque di monitorare in tempo reale la griffe preferita e sentirsi parte dell’elitario circolo della moda. Con un account Instagram, Twitter, Facebook si cancellano distanze e differenze e il divano di casa diventa un posto nella front row, virtualmente accanto ad Anna Wintour.

Ma in questi giorni il linguaggio e i riti della moda hanno subito uno scossone pesante. Il Coronavirus ha confinato dietro uno schermo, con le legioni di fedelissimi follower, anche molti tra gli addetti ai lavori, soprattutto dai paesi asiatici. Così la virtualità, da straordinario veicolo di messaggi e filosofie, per alimentare il desiderio e conquistare nuovi mercati, è diventata una necessità, l’unico strumento per salvare il salvabile di un’annata che denuncia già perdite spaventose.

La moda si è scoperta caduca e vulnerabile. Un nemico ancora sconosciuto le è arrivato in casa dalla stessa piazza planetaria che ha moltiplicato il suo business. Non resta che sfilare a porte chiuse, contraddizione in termini per eccellenza, e assistere da remoto, al riparo dai pericolosissimi baci della pantofola a stilisti e amici.


Ma ancor prima del virus, un’altra emergenza assoluta si è rovesciata sulle passerelle. I timori per la salute del pianeta hanno messo all’indice la fast fashion, che produce a ritmi forsennati per le catene low cost ed inquina massivamente con pesticidi ed emissioni.


Oggi come non mai la comunicazione dei brand, compresi quelli del lusso, si è riscoperta etica, compatibile, sostenibile, attenta al riciclo e allo spreco zero. H&M fa mea culpa in una patinata pubblicità e lancia la collezione “Conscious Exclusive” con “materiali per il nostro futuro”. La scelta è green prima che glamour, nel rispetto della terra e dei fedelissimi di Greta. 

 Momento di riflessione per tutti, dunque, da qualsiasi parte del mercato - e dello schermo - si stia. Magari senza la mascherina griffata, prodotta da vari brand a prezzi da capogiro, prima dell’epidemia. Un’assoluta inutilità, di quelle di cui la moda deve ancora liberarsi. 
@boria_a