martedì 31 maggio 2011

MODA & MODI

Giallo regina

La regina Elisabetta al matrimonio di William e Kate

Quando la regina Elisabetta scese dall'auto al matrimonio di William & Kate infilata in un legnoso soprabitino giallo maionese (impazzita), i commentatori del dress code sentenziarono: la sovrana è cromaticamente la più alla moda, ha addirittura anticipato quello che sarà il colore "rivelazione" dell'estate. Ovvero, il temibile, ingeneroso e poco arrendevole giallo, in tutte le sue sfumature, dal miele al limone, passando per l'acido, l'ocra e il flou.

Colore che, sotto gli occhi del mondo, poteva permettersi solo Elisabetta, i cui tradizionali pastelli, anche azzardati come il verde pisello o il canarino, hanno il pregio di congelarla nell'eterna vecchietta di biscuit, polverosa ma insospettabilmente coriacea. Non tutte hanno il regale lasciapassere estetico: ne sa qualcosa Jessica Chastain, la rossa attrice protagonista del film che ha trionfato a Cannes, "The tree of life", il cui abito giallo evidenziatore di Zac Posen, con cui ha passeggiato sul red carpet accanto a Sean Penn e Brad Pitt, ha avuto il perverso effetto di far risaltare molto più la signora Pitt, Angelina, chiusa in un monacale melanzana.
Jessica Chastain con Sean Penn e Brad Pitt sul red carpet di Cannes
L'una sembrava pronta per la pista del circo, l'altra una vestale. Non è andata meglio, un anno fa, a Sarah Jessica Parker, sulla passerella più pericolosa per il buon gusto, quella degli Oscar, in uno Chanel vaniglia pallido zavorrato da decori d'argento, che la faceva assomigliare a un capitello greco, pure un po' cadente. Perchè il giallo, antica perla di saggezza femminile, "sbatte" le bionde, involgarisce le rosse e "buca" sulle more, sarà per questo che gli stilisti si guardano bene dal proporlo troppo nelle collezioni. 


Quest'anno, però, nell'esplosione tropicale che accende l'estate per ricaricarci le pile, anche il giallo ha la sua parte. Gonne, bermuda, giacche, abitoni svolazzanti anni '70, addirittura ton sur ton, effetto capogiro. I negozi lo presentano in vestitucci fantasia per tutte le taglie, che si imprimeranno inevitabilmente nella memoria di tutti. Forte, gridato e "già visto". Il dorato, poi, è da evitare davvero: ci scivolò Michelle Obama, in soprabito color stagnola il giorno del giuramento del marito, firmato da una stilista dal gusto forte come la cubana Isabel Toledo. Anche nella appena archiviata campagna elettorale si è visto in versione pantaloni. Peccato che il faccia a faccia non raggiungesse neppure l'orario da cocktail.
@boria_a
Sarah Jessica Parker agli Oscar 2010


martedì 24 maggio 2011

IL LIBRO

Isabel Wolff, passione vintage

Smesso, di seconda mano, riciclato. E il termine più nuovo, anche se è un ossimoro, certo più chic: vintage. Da quando in Valentino d'antan, nero con profili bianchi, Julia Roberts conquistò la statuetta per la sua interpretazione di Erin Brockovich, notte degli Oscar 2001, ammettere di indossare un abito appartenuto ad altre è diventato non solo una moda, ma una tendenza. Da anni, oltreoceano, i "thrift shop", i negozi di seconda mano e i mercatini delle pulci sono ben frequentati come boutique, compresi quelli disarmanti dell'Esercito della Salvezza, dove con un po' di fortuna si possono recuperare autentici tesori dell'archeologia della moda italiana.
Oggi hanno preso piede anche da noi, spesso con una formula mista, adatta al palato di clienti non ancora del tutto abituate ai sapori d'annata. Così, accanto alla Vuitton della stagione prima, abbandonata da qualche signora satolla di griffe, chi ha l'occhio allenato trova pezzi che dalle "guide" del riciclo sono considerati capitali: uno chemisier di Ken Scott o una tunica di Pucci, proprio come quella di seta verde con cui Marilyn Monroe chiese di essere sepolta. O un abito di Madame Grès (1903-1993), la signora del drappeggio morta povera e dimenticata, alla quale Parigi dedica una splendida mostra antologica, fino al 24 luglio, al Museo intitolato allo scultore Antoine Bourdelle.

Tutta l'esposizione gioca sulla capacità sublime di modellare materia e stoffa, attività che la stessa Madame Grès considerava simili e senza tempo. E i suoi abiti, infatti, potrebbero uscire dai contenitori di gesso, stucco e vetro in cui sono custoditi, quasi fossero statue da trasportare attraverso le epoche, e scivolare su un qualsiasi tappeto rosso dei nostri giorni.
Il richiamo a Madame Grès non è casuale. È proprio intorno a uno dei suoi abiti da sera, in seta rosa ostrica, che ruotano i personaggi e le storie di "Passione vintage", il best seller della scrittrice inglese Isabel Wolff che esce in Italia pubblicato da Fanucci (pagg.390, euro 14,00), dopo aver scalato le classifiche in Francia e Inghilterra e aver venduto centomila copie negli Stati Uniti solo nella prima settimana in libreria.


Madame Grès (1903-1993) con una modella

Un romanzo leggero come una trina con tutti gli ingredienti della chick-lit, la "letteratura per gallinelle", una ragazza indipendente, una galleria di uomini orsi o poco commendevoli, amicizie spezzate, qualche lacrima e molti buoni sentimenti, la colpa e l'espiazione, dosati al grammo per incanalarsi se non nel proverbiale happy ending almeno verso una conclusione consolatoria, aperta alla soluzione che sentiamo più congeniale.
Tutto comincia e s'intreccia in "Passione vintage", come si chiama il negozio di abiti usati che Phoebe apre a Londra, nel quartiere di Greenwich. La "folgorazione" per le cose smesse risale ai suoi quattordici anni, quando scopre in un mercatino vicino a casa il primo tesoro, una camicia lavorata a guipure di Nina Ricci. Dal tocco di quella impalpabile "consistenza", la sua vita cambia per sempre, avvolgendosi in un turbillon di vestiti, giacche, borse, sciarpe e stole, dove ogni sogno, ogni desiderio, ogni distacco porta con sè il nome di uno stilista, una stagione, un taglio, un decennio.
Ci sono gli abiti "pasticcino", rosa petalo, giallo limone e turchese, con la vita stretta e la gonna gonfia di un ballo anni Quaranta, capaci ancora di far sospirare ragazzine non omologate, c'è un altro superbo Madame Grès, in jersey di seta color crema e busto impero, che le prosciuga il conto e le procura un uomo bello e incerto e c'è un cappottino di lana blu da bambina, cucito a mano in tempo di guerra, la cui proprietaria, l'anziana signora Bell, proprio come Phoebe deve dissipare un rimorso e riconciliarsi col suo passato.
Per lanciare il libro, Fanucci ha chiamato a raccolta tanti negozi vintage sparsi in Italia (di cui, in appendice, pubblica una "mappa") e, naturalmente, le fan dell'usato. Perchè non si tratta solo di vestiti vecchi, genericamente, ma di qualità, conservazione, materiali. E soprattutto di uno stile, di un modo di vedere la vita e di proporsi agli altri. Il vintage screma. Richiede curiosità, sensibilità, trasgressività, molto più che liberare centimetri di pelle o accorciare le misure.
Un abito usato, anche se firmato, non "rassicura". Vuole essere scelto, mai spinto dalla commessa, cerca attenzioni, capacità di spiazzare con gli abbinamenti, coraggio di mettersi addosso un po' della vita e delle scelte di altre donne e di considerare le proprie attraverso questo filtro.
Sono stoffe, colori, proporzioni che hanno a che fare con la memoria, anche se parlare di moda in questi termini sembra quasi cercare di conciliare diavolo e acqua santa. In fondo una vintage-addicted è l'inquieta Kate Moss, che ama i pantaloni a zampa e le giacche con le frange anni '70. Ma il tabù dell'usato è caduto anche alla Casa Bianca, quando Michelle Obama ha scelto un prezioso Norman Norell di pizzo nero per il concerto benefico "Christmas in Washington" dello scorso Natale, prima first lady americana in "riciclato" (seppure non proprio economico, perchè il pezzo del celebre stilista statunitense, che raggiunse l'apice a metà degli anni '40, era stato acquistato nell'esclusiva boutique di Chelsea, il New YorkVintage, a 2.500 dollari...).


Michelle Obama in un abito da sera vintage di Norman Norell a Natale 2010



L'unicità dei capi d'epoca oggi viaggia alla velocità della rete, dove i pezzi più pregiati si "bruciano" in poche ore. Un vestito di Ossie Clark - lo stilista della Swinging London, ce lo ricorda proprio Isabel Wolff del libro, che all'interno dei suoi abiti cuciva una microscopica tasca adatta a contenere cinque sterline e una chiave - può raggiungere quotazioni da bene-rifugio, come un Pierre Balmain simile a quello sfoggiato nel 2009 da un'altra vintagista, Penelope Cruz, per ritirare l'Oscar alla sua interpretazione in "Vicky Cristina Barcelona" e che l'attrice testimonia di aver comprato in una boutique "second hand" di Beverly Hills.
Scrive Maria Giuseppina Muzzarelli nel suo recentissimo "Breve storia della moda in Italia" (Il Mulino, pagg. 234, euro 17,00): «Oggi la scelta di un capo vintagemanifesta in chi lo esibisce il possesso dei codici della moda, ma anche una volontà di protesta nei confronti dell'omologazione e dei diktat della moda del presente. Esprime una voglia di bello senza tempo, di accuratezza in tempi di fretta e di "fatto in serie". Dà corpo in molti casi al gusto per il collezionismo e quasi mai corrisponde a intenti di risparmio. È un modo di rendere omaggio alla storia nel tempo dell'"adesso" e in un settore lanciato per definizione verso il futuro». Ma, come tutte le vere passioni, ha bisogno soprattutto di tempo, pazienza e molto amore.

twitter@boria_a

                                              Valentino vintage per Julia Roberts agli Oscar 2011


martedì 17 maggio 2011

MODA & MODI

Bikini? Questione di età

Il bikini? Mai dopo i quarantasette anni. No, non è il solito sondaggio condotto tra maschi scioccherelli e poco autocritici. A stabilire questa fantasiosa deadline cronologica per infilarsi in un due pezzi sono proprio le signore, che, in prossimità di scadenze estive poco piacevoli come la prova specchio, prima ancora che costume, non perdono occasione per farsi del male da sole.

Le intervistate sono britanniche, duemila donne tra i 18 e i 65 anni, chiamate in causa, guarda un po', da Diet Chief, il più grande gruppo inglese di distribuzione di alimentari a casa. Il 44 per cento di loro si preoccupa un giorno sì e l'altro anche di essersi messa addosso qualcosa di non più adatto alla sua età, bikini, tacchi, gonne corte, legging. Non importa la forma fisica e le caratteristiche donate da madre natura, per le sondaggiate esistono scadenze insuperabili, per quanto contraddittorie.


Dopo i 35 mai più la minigonna, bontà loro un limite molto più generoso di quello già fissato dal nostro Valentino, che ritiene disdicevole mostrare dalle ginocchia in su dopo i venti. Per i pericolosissimi legging, invece, il margine che si concedono è molto più ampio, si arriva sconsideratamente ai 45 anni, età in cui è probabile che il sedere e il punto coscia siano leggermente franati e che la buccia d'arancia cominci a far capolino. Nessun dramma, ma mettersi addosso una calzamaglia da ballerina è quantomeno masochistico. Viene da chiedersi se chi ha risposto ha mai visto le orde di adolescenti insalsicciate in queste impietosi pantacollant, che consiglierebbero di lasciar cadere il criterio dell'età e puntare tutto sull'autostima, parola che nelle discussioni al femminile va tanto di moda.


Stessa considerazione per gli orridi Ugg, i calzari da Puffo che riescono a far apparire sgraziata perfino Kate Moss: bene, anche in questo caso se non avete superato i 45, saltateci dentro senza pensieri. Per i tacchi dodici delle Louboutin il muro sono i 51 anni: una volta raggiunti è meglio scendere e assestarsi in un più confortevole mezzo tacco, così come dare una sforbiciata decisa alle chiome alla Kate Middleton. In pratica: ancora pochi mesi e la Santanchè dovrebbe raparsi e piroettare in ballerine.

La bestia nera, però, rimane il bikini: sulla carta non è concesso nemmeno a Jerry Hall che, a 54 anni e dopo quattro figli, fa concorrenza a Pippa. Si consoli con un intero, ma, ahimè, per le inglesi ancora solo sette anni: a 61 anche quello rimane nel cassetto.
@boria_a

Jerry Hall in bikini (bigpicturesphoto.com)

martedì 3 maggio 2011

MODA & MODI: vegetali da scrivania

Che sarà un'estate cromaticamente vitaminica ormai è noto. Da settimane giornali e vetrine ci rimandano assemblaggi bollenti di tinte che sovvertono qualsiasi regola accettata, qualsiasi codice delle combinazioni: mai rosso con giallo, mai blu e marrone, mai tre colori a bandiera, attenzione al ton sur ton, che non deve sbavare o dar l'impressione di un insieme arraffato alla cieca dall'armadio senza dimestichezza con le nuance. Per scacciare i fantasmi di un inverno interminabile per meteo e tasche, l'abbigliamento dei mesi caldi ci propone una palette da scossa ad alto voltaggio: gialli elettrici, arancioni tropicali, bluette torridi, verdi che più acido non si può. Niente di strano: i ricorsi della moda riscoprono periodicamente alcune tinte e ce le propinano a forte dosaggio, lasciando al gusto dell'acquirente stabilire il fatidico "qb" delle ricette, il quanto basta, il confine oltre il quale c'è l'abisso del ridicolo. Ma l'orgia colorifera di questi mesi ha una sua stranezza: l'hanno abbracciata prima i maschi che le signore e, meno abituati a dosare il fattore "qb", danno vita a una singolare flora urbana. Il verde è il colore che firma la stagione, con tutta la sua carica di modernità e progressista ecosostenibilità. Ma è possibile che, incuranti del rischio, insospettabili professionisti ci si calino dalla testa ai piedi, polo e simil jeans, total look tutto bio, vivificando grigi ambienti di lavoro con l'apparizione del baccello gigante? O che qualche maschietto si lasci catturare così tanto dal glicine, altra tinta da prendere a pizzichi, da sfidare con ardimento l'effetto mucca "milka"? O che si trovi a proprio agio in pantaloni e maglione arancio, un carotone ogm da pugno nello stomaco, quasi quanto il ministro Calderoli in braghe rosse e pochette verde padania? Frastornati da donne che si propongono, disorientati da differenze di genere sempre più labili, gli uomini si trincerano dietro grandi, assertive e rassicuranti, manate di colore. Capita così di trovarsi a dividere l'ufficio con "wonderful pistachios", come si chiama la squadra ciclistica americana che ama l'insidiosissimo verde gemma, e di scoprire che di wonderful questi strani vegetali hanno solo il coraggio...
@boria_a

The Wonderful Pistachios Professional Cycling Team