martedì 24 maggio 2011

IL LIBRO

Isabel Wolff, passione vintage

Smesso, di seconda mano, riciclato. E il termine più nuovo, anche se è un ossimoro, certo più chic: vintage. Da quando in Valentino d'antan, nero con profili bianchi, Julia Roberts conquistò la statuetta per la sua interpretazione di Erin Brockovich, notte degli Oscar 2001, ammettere di indossare un abito appartenuto ad altre è diventato non solo una moda, ma una tendenza. Da anni, oltreoceano, i "thrift shop", i negozi di seconda mano e i mercatini delle pulci sono ben frequentati come boutique, compresi quelli disarmanti dell'Esercito della Salvezza, dove con un po' di fortuna si possono recuperare autentici tesori dell'archeologia della moda italiana.
Oggi hanno preso piede anche da noi, spesso con una formula mista, adatta al palato di clienti non ancora del tutto abituate ai sapori d'annata. Così, accanto alla Vuitton della stagione prima, abbandonata da qualche signora satolla di griffe, chi ha l'occhio allenato trova pezzi che dalle "guide" del riciclo sono considerati capitali: uno chemisier di Ken Scott o una tunica di Pucci, proprio come quella di seta verde con cui Marilyn Monroe chiese di essere sepolta. O un abito di Madame Grès (1903-1993), la signora del drappeggio morta povera e dimenticata, alla quale Parigi dedica una splendida mostra antologica, fino al 24 luglio, al Museo intitolato allo scultore Antoine Bourdelle.

Tutta l'esposizione gioca sulla capacità sublime di modellare materia e stoffa, attività che la stessa Madame Grès considerava simili e senza tempo. E i suoi abiti, infatti, potrebbero uscire dai contenitori di gesso, stucco e vetro in cui sono custoditi, quasi fossero statue da trasportare attraverso le epoche, e scivolare su un qualsiasi tappeto rosso dei nostri giorni.
Il richiamo a Madame Grès non è casuale. È proprio intorno a uno dei suoi abiti da sera, in seta rosa ostrica, che ruotano i personaggi e le storie di "Passione vintage", il best seller della scrittrice inglese Isabel Wolff che esce in Italia pubblicato da Fanucci (pagg.390, euro 14,00), dopo aver scalato le classifiche in Francia e Inghilterra e aver venduto centomila copie negli Stati Uniti solo nella prima settimana in libreria.


Madame Grès (1903-1993) con una modella

Un romanzo leggero come una trina con tutti gli ingredienti della chick-lit, la "letteratura per gallinelle", una ragazza indipendente, una galleria di uomini orsi o poco commendevoli, amicizie spezzate, qualche lacrima e molti buoni sentimenti, la colpa e l'espiazione, dosati al grammo per incanalarsi se non nel proverbiale happy ending almeno verso una conclusione consolatoria, aperta alla soluzione che sentiamo più congeniale.
Tutto comincia e s'intreccia in "Passione vintage", come si chiama il negozio di abiti usati che Phoebe apre a Londra, nel quartiere di Greenwich. La "folgorazione" per le cose smesse risale ai suoi quattordici anni, quando scopre in un mercatino vicino a casa il primo tesoro, una camicia lavorata a guipure di Nina Ricci. Dal tocco di quella impalpabile "consistenza", la sua vita cambia per sempre, avvolgendosi in un turbillon di vestiti, giacche, borse, sciarpe e stole, dove ogni sogno, ogni desiderio, ogni distacco porta con sè il nome di uno stilista, una stagione, un taglio, un decennio.
Ci sono gli abiti "pasticcino", rosa petalo, giallo limone e turchese, con la vita stretta e la gonna gonfia di un ballo anni Quaranta, capaci ancora di far sospirare ragazzine non omologate, c'è un altro superbo Madame Grès, in jersey di seta color crema e busto impero, che le prosciuga il conto e le procura un uomo bello e incerto e c'è un cappottino di lana blu da bambina, cucito a mano in tempo di guerra, la cui proprietaria, l'anziana signora Bell, proprio come Phoebe deve dissipare un rimorso e riconciliarsi col suo passato.
Per lanciare il libro, Fanucci ha chiamato a raccolta tanti negozi vintage sparsi in Italia (di cui, in appendice, pubblica una "mappa") e, naturalmente, le fan dell'usato. Perchè non si tratta solo di vestiti vecchi, genericamente, ma di qualità, conservazione, materiali. E soprattutto di uno stile, di un modo di vedere la vita e di proporsi agli altri. Il vintage screma. Richiede curiosità, sensibilità, trasgressività, molto più che liberare centimetri di pelle o accorciare le misure.
Un abito usato, anche se firmato, non "rassicura". Vuole essere scelto, mai spinto dalla commessa, cerca attenzioni, capacità di spiazzare con gli abbinamenti, coraggio di mettersi addosso un po' della vita e delle scelte di altre donne e di considerare le proprie attraverso questo filtro.
Sono stoffe, colori, proporzioni che hanno a che fare con la memoria, anche se parlare di moda in questi termini sembra quasi cercare di conciliare diavolo e acqua santa. In fondo una vintage-addicted è l'inquieta Kate Moss, che ama i pantaloni a zampa e le giacche con le frange anni '70. Ma il tabù dell'usato è caduto anche alla Casa Bianca, quando Michelle Obama ha scelto un prezioso Norman Norell di pizzo nero per il concerto benefico "Christmas in Washington" dello scorso Natale, prima first lady americana in "riciclato" (seppure non proprio economico, perchè il pezzo del celebre stilista statunitense, che raggiunse l'apice a metà degli anni '40, era stato acquistato nell'esclusiva boutique di Chelsea, il New YorkVintage, a 2.500 dollari...).


Michelle Obama in un abito da sera vintage di Norman Norell a Natale 2010



L'unicità dei capi d'epoca oggi viaggia alla velocità della rete, dove i pezzi più pregiati si "bruciano" in poche ore. Un vestito di Ossie Clark - lo stilista della Swinging London, ce lo ricorda proprio Isabel Wolff del libro, che all'interno dei suoi abiti cuciva una microscopica tasca adatta a contenere cinque sterline e una chiave - può raggiungere quotazioni da bene-rifugio, come un Pierre Balmain simile a quello sfoggiato nel 2009 da un'altra vintagista, Penelope Cruz, per ritirare l'Oscar alla sua interpretazione in "Vicky Cristina Barcelona" e che l'attrice testimonia di aver comprato in una boutique "second hand" di Beverly Hills.
Scrive Maria Giuseppina Muzzarelli nel suo recentissimo "Breve storia della moda in Italia" (Il Mulino, pagg. 234, euro 17,00): «Oggi la scelta di un capo vintagemanifesta in chi lo esibisce il possesso dei codici della moda, ma anche una volontà di protesta nei confronti dell'omologazione e dei diktat della moda del presente. Esprime una voglia di bello senza tempo, di accuratezza in tempi di fretta e di "fatto in serie". Dà corpo in molti casi al gusto per il collezionismo e quasi mai corrisponde a intenti di risparmio. È un modo di rendere omaggio alla storia nel tempo dell'"adesso" e in un settore lanciato per definizione verso il futuro». Ma, come tutte le vere passioni, ha bisogno soprattutto di tempo, pazienza e molto amore.

twitter@boria_a

                                              Valentino vintage per Julia Roberts agli Oscar 2011


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