martedì 30 ottobre 2007

MODA & MODI

Gambaletto crudele

Michela Vittoria Brambilla

 
 
Michela Vittoria Brambilla le ha inflazionate, d'accordo. Quelle autoreggenti esibite dalla prediletta del Cavaliere in tutte le occasioni utili, quel pizzo a vista d'ordinanza per ogni intervista televisiva, hanno tolto all'accessorio in questione parecchio allure. Triste ammetterlo, ma anche le fedelissime delle autoreggenti per motivi di pura praticità e comodità, oggi se le vedono consegnate a un gioco mediatico-seduttivo un po' furbesco e decisamente superato, che anche Berlusconi pare abbia consigliato alla sua scalpitante seguace di praticare con più moderazione.
 
L'alternativa non è delle più incoraggianti: archiviata l'autoreggente, (commento politicamente scorretto? Con chiome mesciate, botox qua e là e décolleté sempre in primo piano, alla faccia dell'anagrafe, fa parte del kit dell'osservante signora berlusconiana...) ecco resuscitato dagli stilisti un altro piccolo orrore: il gambaletto. Proprio lui, il fratello maggiore del fantasmino.

Quell'indecisa mezza calzetta che di solito si indossa insieme a una buona dose di autoconvincimento (è così pratico sotto i jeans...) e che segna implacabilmente il polpaccio, quel tatuaggio di elastico che si imprime nella carne e resiste a robusti massaggi, è stato sdoganato sulle passerelle. Anzi, da qualche stilista in vena di sadismo, proposto anche per la sera, in una versione che lascia il piede nudo e libero di trasformarsi in un bastoncino findus dopo pochi passi.
 
L'anno scorso era la parigina, la calza di lana che riesce a trascinarsi a mezza coscia ed evoca un piccolo erotismo da merlettaia. Quest'anno è il gambaletto nudo e crudo, che non fa nulla per nascondersi, ma si porta con la gonna in colori psichedelici - zucca, viola, giallo, verde - a disegnini spiritosi (teschi?), a righe, fiori, con il bordo alto di pizzo, o coprentissimo in tartan, spinato, verde militare, grigio ferro, opaco come una calza da uomo, obbligatorio per le microgonne e per i pantaloncini che sono la più temeraria tentazione estetica di quest'inverno.
 
Armani l'ha disegnato addirittura sul collant, con un incrocio di righe che mette a dura prova anche la silhouette più perfetta. Il calzettone con le ballerine è l'opzione più casta. Chi non ha problemi a strafare sceglierà il calzino da educanda su tacco altissimo, quello bicolore con bordo rovesciabile, avvistato perfino sui tronchetti, il che aumenta il margine di rischio.

Gambe osservate speciali, dunque. Perchè per farsi del male, quest'inverno non c'è che da scegliere. Oltre al gambaletto, ci si può sbizzarrire con un reperto degli anni Ottanta, quei leggings che fanno apparire goffa e lardellata perfino la disinvolta Luciana Littizzetto di «Che tempo che fa». I leggings si vedono in ogni vetrina, su manichini anoressici, cosce scolpite e polpacci steliformi. E nemmeno lì riescono a liberarsi da quell'aria da pantacollant domestico per fare le pulizie...

twitter@boria_a
 
Parigina mon amour

martedì 16 ottobre 2007

MODA & MODI

Lessons of lingerie

Vivienne Westwood nel '92 a Buckingham Palace

La chiamano «infamous lingerie company», intimo per ragazzacce, misto tra erotismo lussuoso ed esibizionismo birbante. Finora, dall'Italia, si comprava solo on-line, visitando un sito ad alto contenuto voyeuristico, dove la burrosa Maggie Gyllenhaal, nuova testimonial subentrata quest'anno alla sbattuta Kate Moss, interpreta le avventure di Miss AP, insegnante piccante di «lessons of lingerie». Adesso Agent Provocateur è sbarcato anche da noi, con un corner alla Rinascente di Milano, primo punto vendita in Italia.
La griffe è di un dissacratore genetico, Joseph Corre - figlio della stilista inglese Vivienne Westwood - e della sua ex moglie, Serena Rees, che tredici anni fa hanno aperto la prima boutique londinese, a Soho. Lo slogan della campagna pubblicitaria era già tutto il programma: «La settimana delle moda è morta, questa è la settimana della passione». Luci soffuse, ambiente boudoir, divani rossi e strepitose commesse, opportunamente selezionate, che, da allora, indossano la severissima vestaglia rosa cipria disegnata dalla mamma-suocera, «Queen Viv», sotto la quale s'indovinano, senza un grande sforzo di fantasia, i pezzi bollenti della griffe. Abbinamenti di tinte shock, una linea estrema che rasenta il fetish, qualche giocattolo un po' perverso, una sezione premaman che fa dimenticare quegli orridi reggiseni contenitivi e mutandoni a panciera dentro cui sembra opportuno infilarsi quando già il corpo subisce trasformazioni naturalmente poco seduttive. E attenzione: non si tratta di intimo ridotto per esibire il pancione - abitudine ancora più disdicevole di quella della biancheria a vista, volgare piuttosto che trasgressiva - ma di capi discreti e sofisticatissimi. Come il completo che ha fatto un po' da simbolo alla collezione di quest'anno: reggiseno, mutande altissime e reggicalze, spartani e senza pudore, nell'apparentemente insulsa e brodosa tinta carne, che qui ha una virata torrida. Tra il nylon da quattro soldi e il pizzo acetato della lingerie made in Taiwan ha un effetto dirompente: dice tutto senza mostrare niente.
Non poteva esserci momento migliore per lo «sbarco» italiano di Agent Provocateur che l'anno che riscopre il burlesque, la confusione tra giorno e notte, il libertinaggio come gioco. Per l'intimo è un momento d'oro, basta sfogliare una qualsiasi rivista femminile, dove gli spazi pubblicitari se li contendono gli accessori e la biancheria, soprattutto quella delle catene cheap, tutta blandamente osè e con molte citazioni dal passato: sottovesti, reggicalze, guepiere, bustini.
Ap è tutt'altro che a buon mercato, ma la qualità dei materiali giustifica le cifre: chiffon, pizzo e seta per un intimo che, pur spinto, non cade nel volgare. Dice Serena Rees: «Nel cassetto di una donna non deve mai mancare biancheria nera e di pizzo. Ma le italiane, così ben vestite, non sanno scegliere i reggiseni. Ap ha un servizio "costumized" per ritoccarli su misura e offre sei diversi tipi di coppe, dalla A alla F. Senza il reggiseno giusto si rovina anche l'abito più sexy».
Tutta all'insegna della «famiglia» Westwood, dunque, la moda milanese, che festeggia «Viv» con la mostra antologica a Palazzo Reale, allestita qualche anno fa al Victoria & Albert Museum di Londra. Per la griffe dell'intimo del figlio, il corner milanese è un primo passo, in vista dell'espansione del marchio in Italia. Ap ha quaranta negozi monomarca nel mondo oltre a vari punti vendita e in progetto il lancio di una linea di scarpe fetish con i connotati dell'alta moda.
Non siete amanti del genere e preferite biancheria di cotone, sobria e sbrigativa? Farsi un giro nei negozi-alcova è comunque «inspirational». La consapevolezza di avere addosso lingerie ricercata, anche senza l'intenzione di condividerla, cambia il portamento, la sensualità dei gesti e influisce sulla sicurezza di sè. Unica eccezione l'incorreggibile Vivienne Westwood, che invitata dalla regina Elisabetta a Buckingham Palace, nel 1992, per il conferimento dell'Order of British Empire, si fece fotografare dai giornali di mezzo mondo mentre piroettava senza mutande.
twitter@boria_a

 Maggie Gyllengaal è Miss AP per Agent Provocateur (f. Alice Hawkins)


mercoledì 10 ottobre 2007

IL LIBRO

Lisa Corva, neo-povere ma con glam

Glam Cheap di Lisa Corva (Sonzogno)
Lei, Stella: una colf dell'editoria, una giornalista super-precaria, a ore appunto, che le riviste chiamano quando sono sull'orlo della chiusura del numero, per lo più per riempire didascalie con il nome degli inserzionisti pubblicitari o per identificare marca e costo degli accessori delle «celeb». Lui, ex S-Manager, oggi marito S-Licenziato, sui quaranta, con pochissime speranze di ritornare nel circolo produttivo. In due hanno 999 euro da far bastare per un mese. Ovvero: dimenticare tutta una vita precedente da coppia MB, Milano bene, e inventarsi tutta una vita presente da Nuovi Poveri. Anzi, per dirla con Stella, da Nuova Povera Creativa, ben decisa a non soccombere all'eurostress a colpi di caccia selvaggia all'offerta promozionale e allo sconto last-minute.
E' «Glam cheap» (Sonzogno, pagg. 233) il nuovo libro di Lisa Corva, giornalista triestina (e molto, molto milanese d'adozione), che, un paio di anni fa, ha esordito come scrittrice con il delicato, coinvolgente, divertente «Confessioni di un'aspirante madre». Questa volta non c'è più Emma e la sua vita regolata dalle ovulazioni al centro della storia (anzi, Emma rimane come in un piccolo cameo, è la vicina di casa che vive in pigiama e aspetta la cicogna...), ma la protagonista è Stella, la Ragazza dall'occhio Prezzante, espertissima a riconoscere, in un batter di ciglia, che borsa e quante migliaia di euro portino appese al braccio le tante Victorie-Kate-Sienne-Paris che zavorrano le riviste femminili.
Sarà una Bouvier di Gucci, una Gaucho di Dior, una Kelly o una Birkin di Hermes? Per pochi euro al mese e la prospettiva remota di un'assunzione, Stella guarda, «prezza» l'accessorio e calcola il totale. Dà del tu all'introvabile Coco bag di Chanel, sa tutto su tutte le «limited edition», per cui c'è una vana, disperata, interminabile lista d'attesa, ma non ne ha mai vista una dal vivo. Nè può permettersi l'equivalente «povero» di Zara. Glam per far quadrare il bilancio, cheap per necessità.
Glam cheap, dunque, ovvero manuale di sopravvivenza per giovani adulti senza lavoro e reddito fisso, ma soprattutto sguardo divertito e impietoso sul «backstage» delle riviste femminili, tra direttore «tacchettanti», redattrici smutandate, pierre fameliche, precarie costrette a occuparsi di incredibili «servizi piliferi», ovvero della ceretta della signora Beckham e di tutte le sciampiste «celeb» del mondo.
Che fare per non prosciugare i 999 euro, e, se possibile, per farli arrampicare oltre il limite di povertà? Regola numero uno: tagliare senza pietà. La brioche al bar, il taxi, il sushi consolatorio. Regola numero due: far tesoro di ogni scoperta da Nuova Povera e trasformarla in 'opportunità. Ecco allora Stella addentrarsi nel misterioso e ingannevole mondo dei punti fedeltà (ma servirà davvero una macchina per il pane???), inventarsi una dieta dell'offerta speciale, dar fondo a ogni armadio, suo e altrui, per rivendere tutto al «cheap market», riconvertire la casa in «bed and breakfast», scoprire con orrore che una bottiglietta d'acqua, nella neo-Milano da bere, può costare 1 euro e quaranta, quindi pensare subito a un contenitore design dove occultare la «Sindaco's water», la triestinissima acqua «di spina».
Sophie Kinsella alla rovescia, allora. La sua Becky era una shopaholic, la Stella di Lisa Corva è una discount-aholic. E, a guardarsi bene in giro, anche dove tutto è glitterato, di vite cheap che aspirano ad essere glam ce n'è un sacco. Che dire della «direttora» (chissà se l'interessata - che esiste, eccome - si riconoscerà???) con la Balenciaga tarocca, della serie «Il diavolo veste Zara»? O del ristorante giapponese con i mobili brianzoli e il succedaneo di sushi che si spiaccica nel piatto? O delle ragazze sull'autobus, cheap finte glam, fiere delle loro autentiche Gucci senza più un euro da metterci, accanto alla coetanea glam finta cheap con una smagliante Louis Vuitton che imita le shopping bag di plastica?
Perchè i due mondi si intersecano, anche nella vita vera. I grandi magazzini chiamano star miliardarie come testimonial, le star miliardarie si sollazzano a disegnare linee per chi divora le riviste femminili con le loro foto.


La collezione di Kate Moss per Topshop
 

Le catene «low cost» si rifanno un look stiloso, come l'Oviesse che ha appena aperto, in galleria Passerella a Milano, l'elegante Ovs Industry. Madonna e Kate Moss diventano stiliste per i magazzini H&M e Topshop e la star glam per eccellenza, Sarah Jessica Parker, che a maggio sarà sugli schermi americani con lo strepitoso guardaroba della versione cinematografica di «Sex&The City», lancia la sua linea «Bitten», con abitucci che non costano più di quindici dollari.
Sarah Jessica Parker con "Bitten" (fonte Just Jared)

Ce la farà Stella a salvare dalla bancarotta il suo matrimonio in una città dove accanto al panificio-gioielleria di Princi, con i fornai che lavorano in vetrina ventiquattro ore su ventiquattro per sfornare michette dagli ingredienti esotici, c'è il panificio che vende pane e brioche «last minute», ovvero la produzione semi-rafferma del giorno prima al cinquanta per cento in meno? Dove le macchinette aziendali offrono tristi carotine in busta per giornaliste (con contratto regolare) magre e arrabbiate, mentre nel mercato rionale si vende non solo la verdura che rimane a prezzi stracciati, ma anche abiti a dieci euro senza etichetta (sarà per attaccarci sopra un'autentica D&G?) e un'ineffabile Chen numero 6, versione cinese di Chanel n.5?
E si salverà stella dalla «direttora» che, in un rigurgito giornalistico, vuole «stare sull'attualità» e occuparsi finalmente delle donne nelle stanze dei bottoni, di Condoleezza, di Hillary...: «Per il loro tailleur avranno scelto Donna Karan o Gap? E quel cappottino bianco di Ségolène di chi sarà?...».
Stella si salva, un po' come Emma, l'aspirante mamma che aspetta ancora. Con l'ironia, con la fantasia, abbandonando lo sguardo «prezzante» e ricominciando a guardare il cielo e non più che cosa sta appeso a braccia e gambe delle «celeb». Ricordandosi che non è stata educata per mettere un cartellino su ogni cosa e che basta un anello fatto delle vecchie, care cinque e dieci lire, delle monetine di una volta spazzate via dall'eurostress, per ricominciare a inventarsi il futuro. Magari, proprio come l'autrice in persona, dall'alto dei suoi sandali Caovilla, che entrambe, Stella e Lisa, seppur ridotte alla fame, difenderebbero con i denti da ogni tentazione altrui. Perchè in fondo, a dispetto di tutto, anche una vita neo-cheap va attraversata sui tacchi. E con un tocco di glam.
twitter@boria_a


Lisa Corva fotografata da Melina Mulas

martedì 2 ottobre 2007

MODA & MODI: istruzioni per tronchetti

Tronchetti. Già il nome non rassicura e dovrebbe mettere in guardia da entusiastici acquisti. Quantomeno fa venire in mente qualcosa di tozzo, incompiuto, squadrato, poco flessuoso. Non illudiamoci, è un po' di tutto questo. Eppure le riviste femminili ci dicono che sono tra i «must have» di quest'inverno, insieme alle calze fluorescenti, ai golfoni di lana, ai guanti fino al gomito e alla cintura-bustier.
Tronchetti, dunque, in inglese «booties», che suona meglio. Né una scarpa né uno stivale, una calzatura incompiuta, appunto, che avvolge il piede un po' feticisticamente e si ferma appena sotto la caviglia oppure, nella versione allungata, si spinge quasi a metà polpaccio, troncandolo senza pietà. Il tacco è sempre altissimo, a matita o a cono, altro particolare che segna questa stagione. Per chi non si fida ad arrampicarsi su quegli otto-dieci centimetri micidiali che, se non allenati, possono distruggere una credibilità, c'è la versione con plateau, quella piattaforma che ammorbidisce l'altezza pur lasciando la sgradevole sensazione di un supporto ortopedico.
La caratteristica dei tronchetti è appunto questa: essere ortopedici, costrittivi, con lacci castiganti, per questo gli stilisti ce li propongono spesso abbinati a tailleur, scamiciati e chignon legnosi, da zitella inaccessibile che suscita fantasie. Piede pudicamente nascosto, represso, e tacco da dominatrice: quale contrasto più stuzzicante?, spiega Berarda Del Vecchio nel suo illuminante «L'adorazione del piede» (Castelvecchi). Lo sapeva bene Rétif de la Bretonne (1784-1806), da cui lo sconosciuto nome di «retifismo», ossia l'amore verso le estremità podaliche e i loro accessori: è la scarpa che lascia immaginare quello che nasconde a scatenare le passioni più accese.
Con una collega consultiamo scientificamente i modelli di tronchetto a disposizione. Bellissimi, anche per chi ha molte perplessità, sono i Jimmy Choo bicolori, con fascia di vernice e l'inconveniente di costare metà stipendio. Ma ce n'è davvero per tutti i gusti e prezzi: di camoscio, vernice, satin, pelle, con inserti metallici, con profili dorati, un'unica o tante stringhe, fascia elastica centrale, fibbie, zip laterali, fiocchi, di tartan, bianchi e neri (perchè sono cinquant'anni dalla celebre scarpa bicolore inventata da Chanel), persino una versione perversissima col tacco a cono irto di borchiette (che, sadomaso a parte, fa venire in mente un sacco di pratiche utilizzazioni, anche nella quotidiana vita lavorativa...).
Ma i «booties» non accettano le mezze misure, non si può «camuffarli» con i pantaloni: amano i contrasti - abitini optical e cappotti striminziti o completi gessati e imbustanti - purchè le gambe sino a vista, meglio se con la calza fosforescente o velatissima. Polpaccio lungo e nervoso sarebbe dunque preferibile, ma c'è un pre-requisito su cui proprio non si può transigere: tronchetto è la scarpa, non la caviglia.
@boria_a

 Kate Moss in ankle booties