lunedì 25 gennaio 2021

MODA & MODI

 Le Biden Girls, promosse sul campo influencer

 

 

 

 

Camelot evapora, benvenuti a Bridgerton. Bye bye Jackie, con le sue nuance pastello e il siderale bon ton, da decenni congelata nel ruolo di ineguagliabile icona di stile della Casa Bianca. Il suo fantasma scappa a gambe levate, cacciato dai colori vitaminici, travolto dalle Nike dell’allegra brigata delle nipotine Biden. Melania tentò di evocarla, la signora Kennedy, con quel tailleur azzurro polveroso indossato il giorno dell’insediamento del marito, per poi dismettere rapidamente i panni della first lady più chic, e prepararsi alla battaglia, dentro e fuori casa, in stiletto come pugnali e cappotti militari. Oggi si volta pagina, si dà aria di nuovo al guardaroba. Basta combattività, meglio colori e linee che trasmettono positività e fratellanza.


Dopo la cerimonia ufficiale in mondovisione, circonfusa dall’azzurro molto rassicurante e poco eccitante di Jill Biden, nuova Flotus, ecco il clan Biden immortalato davanti alla statua di Lincoln. Lo stile della generazione Z travolge il dress code al quale avevamo fatto l’occhio, i colori caraibici di Michelle e figlie, la perfezione da passerella di Melania, perfino i legnosi tailleur pantaloni della signora Clinton. Sono le Naomi, Maisy, Finnegan, Natalie, nipoti del nuovo presidente, con i nomi mediatici delle Gossip Girl (ci vorrà un po’ per orientarsi nel parentado) e un gusto per la palette delle aristocratiche Regency che spopolano su Netflix.

 

Nella foto di famiglia, due abiti da cocktail, uno giallo e l’altro arancione, entrambi sbrilluccicanti e issati su sandali e décolleté di assoluta ordinanza, suggeriscono almeno una bella energia cromatica di Natalie e Finnegan. L’ufficialità dell’occasione non consente troppe eccentricità, così, per non sbagliare, le ragazze si sono rifugiate in due innocui modelli della generazione “boomer”. Naomi in total purple, simbolo del nuovo corso, pare ispirata dai look castigati della principessa Diana prima che uscisse dal suo matrimonio troppo affollato e fa quasi sembrare trasgressivo il tuxedo nero di zia Ashley. Al centro svetta Maisy, che insacca il fisico da cestista in un vestito stampato midi, dalla taglia opinabile, portato su robuste Nike con lacci neri. Soft power dell’abito o solo confusione giovanile?


Le sezioni modaiole di siti e giornali prorompono in “adoro!” sulla fiducia e promuovono le nipotine sul campo, contando i follower dei rispettivi profili Instagram. Tutte già influencer, naturalmente. Le icone sono fantasmi del passato. 

giovedì 14 gennaio 2021

MODA & MODI

 Il vocabolario stravolto, che ha perso

la leggerezza




 

Non è passato molto tempo da quando indossare una tuta fuori dalla palestra era considerata una catastrofica caduta di stile. Ma lo scenario è cambiato e sarà impossibile ritornare alle abitudini di vita, e di acquisto, prepandemia. Stiamo familiarizzando nostro malgrado con un nuovo vocabolario della moda e codici diversi per abbinare vestiti e occasioni. Il leisurewear, appunto, i capi per il tempo libero, dilagano nell’armadio e le collezioni dei prossimi mesi, nate in cattività, pescano dalle sue caratteristiche: comodità, semplicità, linee pulite, materiali morbidi e confortevoli.


Anche l’esperienza del rinnovare il guardaroba ha cambiato pelle e i negozi fisici sono costretti a reinventarsi per sopravvivere. L’assalto delle fashion-aholic che si strappano l’occasione di mano appartiene ormai a un’altra era. Comprare abiti, accessori, scarpe online non è un’opzione da giovani smanettatori, ma un’avventura sempre più transgenerazionale. Nascono formule miste, dove i commercianti integrano la frequentazione del proprio spazio al contatto virtuale con i clienti. Sulle pagine Instagram, Facebook presentano gli articoli, interagiscono con l’acquirente coinvolgendo a volte il designer di un accessorio o di una collezione, consigliano e scambiano opinioni in un processo che non per forza si conclude col passaggio “in presenza” in negozio.


Si rafforza il re-selling e il mercato virtuoso dei pezzi rimessi in circolazione, con siti e piattaforme dedicate dove convivono chicche vintage e articoli di cui semplicemente il proprietario vuole alleggerirsi. Riciclare, ovvero rivendere e acquistare l’usato (e non nel senso di principesse o future regine che indossano due volte un abito o un golfino a beneficio dei media) è una pratica che si diffonde, perché la pandemia ci ha obbligato a riflettere su quanto la moda, a tutti i livelli, sfrutti e inquini, la terra e le persone.
Questo vocabolario sovvertito è attraversato dal bisogno di rallentare. Chiusi tra le mura domestiche l’accaparramento ha perso valore, e non solo per l’impossibilità fisica di praticarlo. La corsa ai saldi nel 2021 è a singhiozzo, interrotta dai colori delle zone. Il virus continua a obbligarci a cambiare passo. E la vera sfida sarà, tra le parole della moda, fare di nuovo spazio anche alla leggerezza.

lunedì 11 gennaio 2021

IL LIBRO

Ilaria Tuti e l'indagine sulla rotta balcanica

che nasce da un lutto familiare

 


 

 

 

Una bambina che ha confidenza col buio, luci danzanti nella notte come presenze aliene, un sogno che nasconde una terribile verità. Teresa Battaglia, l’investigatrice creata dalla scrittrice di Gemona Ilaria Tuti, ritorna sul campo per districare una vicenda dove ancora una volta, come nel primo thriller della serie, “Fiori sopra l’inferno”, protagonisti sono i più piccoli. Bambini vittime di violenza e avidità, bambini emarginati dall’ignoranza degli adulti. Con una licenza autoriale, la nuova indagine si connette dunque cronologicamente alla prima, come se i fattacci, l’omicidio e le mutilazioni, che sconvolsero l’immaginario paese nelle Dolomiti friulane, Travenì, fossero appena accaduti, rivelando al lettore la capacità di Teresa di entrare in sintonia con gli interlocutori più fragili, piccole vittime di anafettività e indifferenza, e un colpevole adulto, a sua volta un bambino abusato e tradito.


Esce giovedì 14 gennaio “Luce della notte”, quarto romanzo di Ilaria Tuti per Longanesi (pagg. 280, euro 18), che riprende il filo giallo dopo il successo dell’anno scorso, “Fiore di roccia”, storia romanzata delle portatrici carniche. Il nuovo libro, che ha visto la luce in pochi mesi, ha una genesi dolorosa e particolare, nasce dall’urgenza di tornare alla scrittura come lenimento dopo un terribile lutto nella famiglia di Tuti, la perdita della nipotina Sarah, neanche nove anni, portata via dal sarcoma di Ewing. Per questo la scrittrice ha deciso di devolvere tutti i proventi del libro al Centro di riferimento oncologico di Aviano, per la ricerca su questo morbo terribile che colpisce in particolare bambini e adolescenti.

 

 

Ilaria Tuti, scrittrice di Gemona del Friuli

 


Anche Chiara, tutta gomiti e ginocchia, capelli lunghi e biondi e una passione per il rock di Stevie Nicks, è una bambina speciale, costretta da una malattia rara a proteggersi dalla luce del sole. La protagonista della nuova storia vive senza amici, isolata e guardata come un piccolo mostro dai coetanei, che la stupidità dei grandi trasforma in involontari aguzzini. Chiara ha sognato luci muoversi nella notte, ha visto un albero sulla cui corteccia una stella e una mezzaluna piangono una scia di lacrime rosse, ai suoi piedi ha immaginato di affondare le mani nel cuore di un bambino sepolto. Solo le fantasie di una piccola reclusa, condannata al buio? Sua mamma non la pensa così e contatta l’ispettrice Battaglia, diventata celebre per la sua empatia con i bambini dopo il caso Travenì, per scoprire se ci sia qualcosa di vero in quei sogni.


Strimpellando la chitarra su una versione stonatissima di “The Chain” di Stevie Nicks, Teresa comincia a costruire un timido rapporto con Chiara. Lo stesso, con trepidazione e cautela, fa con Andreas, l’assassino di Travenì, che visita nella struttura psichiatrica per leggergli “La strada” di Cormac McCarthy, storia di un padre e di un figlio che camminano insieme, come lui non ha potuto fare.
Quelle di Chiara non sono fantasie. Forse ha visto qualcosa o ha ascoltato parole di adulti. Una debole traccia, il disegno su un’acacia ispirato a una simbologia religiosa antichissima, mette Teresa e il suo vice Marini sulle tracce di un traffico legato all’attualità di questi giorni. Era il 31 ottobre 1995 quando una decina di profughi attraversava il Carso, in fuga dall’inferno dell’ex Jugoslavia. Da oltre vent’anni la rotta balcanica porta un mare di disperazione ai nostri confini, dove spesso si infrange contro un muro insormontabile. Perchè dell’undicesimo profugo fermato quella notte manca la fotografia? E di chi è il sangue con profilo genetico misto trovato sotto l’albero indicato da Chiara?
Teresa Battaglia comincia a indagare. E la comunità a poco a poco schiude i suoi segreti: la disavventura professionale del padre che ha portato la famiglia della bambina all’isolamento, un vecchio bracconiere che conosce i boschi e le piste, un poliziotto strangolato dai vizi, un romantico boss della mafia jugoslava animato dal senso di giustizia. 


Più che un’indagine, quella di “Luce della notte” sembra una favola di Natale. Che fa ritrovare chi era stato separato dalla brutalità degli uomini, che restituisce a una bambina “diversa” il diritto di vivere come gli altri. Le complicazioni dell’intreccio, cui Ilaria Tuti ci ha abituato, lasciano più spazio ai caratteri dei personaggi e alle loro interazioni: Teresa e Marini cominciano a conoscersi e a scoprire le proprio fragilità (poi, sappiamo, il rapporto maturerà nell’altro thriller già uscito, “Ninfa dormiente”), Teresa e Andreas, la poliziotta dalla lunga cicatrice, e l’assassino guerriero, si riconoscono “nel ventre caldo e buio dell’amore per un figlio”, che a entrambi è stato strappato.


Erano solo un sogno le luci danzanti? L’indagine si ferma sull’orlo del mistero più grande, quello che lega gli individui e li porta a riconoscersi nel dolore, nello spazio dove i cuori continuano a battere insieme, anche quelli di chi non c’è più.

sabato 9 gennaio 2021

IL LIBRO

 

 Matsumoto Seichō  e la donna morta

vicino a un albergo a ore





 

C’è una domanda che si insinua nelle prime pagine di “Un posto tranquillo”, il terzo noir di Matsumoto Seichō, finora inedito in Italia, pubblicato da Adelphi: perchè Eiko negli ultimi tempi appariva più “provocante”, come se “volesse attirare l’attenzione”? Perchè una delle amiche alla scuola di haiku l’aveva definita “sensuale” e un’altra signora si era informata se per caso facesse l’intrattenitrice nei locali?

A porsi questi interrogativi è suo marito Asai, funzionario del ministero dell’Agricoltura, cercando di ricostruire, a ritroso, che cosa gli sia sfuggito nei sette anni di matrimonio con quella ragazza, “non una bellezza, ma attraente”, che fuori dalle pareti domestiche sembrava rinascere, mentre in casa, con lui, quasi non apriva bocca e tra le lenzuola era quantomeno tiepida e sfuggente? I colleghi di lavoro gli avevano messo la pulce nell’orecchio: l’ammorbidirsi delle forme in una donna intorno ai trent’anni non è solo un naturale sviluppo fisiologico, ma il risultato di un percorso, qualcosa di acquisito con l’«esperienza».


Comincia da qui il tarlo di Asai, prima ancora che l’evento scatenante si sia compiuto. Perchè nei tesi e perfetti thriller psicologici di Seichō, il Simenon giapponese (Adelphi ha già curato l’edizione di “Tokyo Express” e de “La ragazza del Kyūshū”, tutti tradotti elegantemente da Gala Maria Follaco), c’è sempre una qualche ossessione a muovere l’intreccio, la percezione di un elemento incongruo nel mosaico dei fatti, che nella mente del protagonista diventa un quesito martellante, ineludibile.
Eiko, che soffriva di cuore (due anni prima aveva avuto un leggero infarto, la scusa addotta per gli sporadici contatti sessuali col marito...), è morta in una zona di Tokyo lontano da casa, nel quartiere residenziale di San’ya a Yoyogi, all’interno di una profumeria posta su una strada in salita, accanto a un albergo a ore. 

Asai si trovava a Kōbe, dove aveva accompagnato il suo nuovo capo di gabinetto, e fa rientro in tutta fretta a Tokyo quando la moglie è già morta da ore. Che ci faceva in quel quartiere? Perchè aveva affrontato una salita, lei, così cagionevole? C’era forse un altro uomo dietro il suo fisico addolcito, che le aveva infiammato il cuore al punto da rompere la sua corazza e farle dimenticare la salute? Era con l’amante in albergo al momento del malore e lui l’aveva scaricata vicino al negozio per salvare le apparenze?


Comincia l’indagine. Meticolosa, paziente, fatta di sopralluoghi, di interrogatori a cameriere e governanti, di rapporti di investigatori. Gli haiku della moglie, cui Asai non ha mai prestato attenzione, rivelano indizi. “Lanterna dorata di Yamaga, fioritura di luci”. Lei non era mai stata in quella località termale, dov’è consuetudine costruire lanterne di carta molto elaborate, riproduzioni fedeli di palazzi, castelli e residenze famose, per offrirle al santuario locale. Dove poteva averle viste? Nella ricostruzione dell’ultima giornata di Eiko rientra anche un terremoto, verificatosi appena una mezz’ora prima della morte della donna, di intensità significativa ma non al punto da scatenare il panico tra gli abitanti di Tokyo abituati ai sismi. L’evento imprevedibile che fa saltare uno schema collaudato.


Eiko, incolore in casa, socievole fuori, due vite parallele. Come parallele sono le vite di Asai, funzionario ligio e preparatissimo, rispettoso delle regole, sensibile alle opportunità di carriera, e uomo alla ricerca della verità che non ha saputo vedere. Quando questi due profili collideranno, ancora una volta per un imprevedibile scarto del destino, il “posto tranquillo” cui aspira Asai, dove rispettabilità, onorabilità, decoro sono preservati, si sbriciolerà davanti ai suoi occhi. Il funzionario in carriera non ama la defunta moglie al punto da volerla vendicare, quello che cerca è ricostituire, con la vendetta, un ordine violato, sanare un sovvertimento che mina gerarchia e valori sociali.


Uscito in Giappone per la prima volta nel 1975, questo noir restituisce tutti i temi che hanno reso popolare e amato Matsumoto Seichō nel mondo: l’approfondimento psicologico e d’ambiente, il cambio incalzante di registro, la critica ai meccanismi anacronistici della società nipponica. La corsa scomposta che chiude il libro e fa saltare ogni disciplina, quasi come uno sberleffo, li sintetizza tutti.