martedì 26 agosto 2008

MODA & MODI

Voglia di quadrettoni

Audrey Hepburn (ph. da Venette Waste)

Non c'è inverno senza tartan. Lo scozzese, declinato ormai in tutte le variabili cromatiche e in tutte le dimensioni, non rispetta più nemmeno la regola non scritta della moda, un'alternanza di almeno un paio d'anni prima del ritorno in passerella. Puntuale come gli allarmi sulla recessione dell'industria dell'abbigliamento, e forse per questo più rassicurante e confortevole che mai, il quadrettone dilaga anche nell'inverno 2008, senza grandi voli di fantasia, piuttosto scontato, prevedibile, ordinario, quasi a voler sottolineare una continuità con le stagioni precedenti, tessuto praticamente intramontabile, un placebo nel bombardamento di aumenti, ritocchi, percentuali che salgono e spese voluttuarie in caduta libera.


Chi non ha nell'armadio una giacchettina-plaid, un vecchio kilt di quelli che ti piange il cuore buttar via perché sembrano senza tempo, una camicia con un guizzo di volant, un gilet, forse un paio di pantaloni con una punta di rosso per vivacizzare cappottini grigi già un po' esangui? Bene, è ora di tirarli fuori senza troppi scrupoli.
Le origini del tartan sono antichissime, come dimostrano le citazioni nell'antica letteratura scozzese. Al 1471 risale uno dei primi documenti sul suo utilizzo regale, la registrazione contabile del tesoriere di re Giacomo III, che lo acquistò per la coppia sovrana. Oggi sfogliare un ideale album fotografico del tartan è ripercorrere la storia della moda degli ultimi decenni: negli anni Quaranta è materiale nobile da couture, come dimostrano le dive in abito da sera a quadrettoni fotografate sulle copertine delle riviste, poi tessuto da icone del bon ton come Audrey Hepburn, che negli anni Cinquanta lo porta in versione tailleurino, con camicia bianca e micropapillon.


Negli anni Settanta, minigonna per lei, pantaloni per lui, diventa il simbolo della Swinging London, quindici anni dopo, abbinato a giubbotti di pelle e aghi da balia, vive un'estemporanea  svolta punk. Poi, dagli anni Ottanta, adottato da stilisti come Yves Saint Laurent, Ralph Lauren, Vivienne Westwood, entra definitivamente nell'alta moda, utilizzato per gonne voluminose su corpetti di velluto nero, per abiti da sera di foggia settecentesca o per guaine incollate alla figura, da dive della prima Hollywood.

Ed eccoci al presente. D&G lo saccheggia, sembra quasi a corto di idee: cappottoni e cappottini, gonne e camicie quadro su quadro di colori diversi, il tutto abbinato addirittura a calze-tartan, con un (voluto?) effetto saturazione. Dsquared lo utilizza per il dorso di gilet di montone, Ralph Lauren, maestro assoluto del genere, per camicie di cachmere e cappotti con maxicolli. Al seguito, tutta una serie di stilisti e aziende le cui proposte già vediamo nelle vetrine invernali: soprabitini, soprattutto con il rosso dominante, giacche, vestiti con colli a fiocco, tailleur con gonne minuscole.


Quadri su quadri, piccoli e grandi, di colori diversi. Calze, scarpe, stivali, borse si adeguano, il total tartan non spaventa, anzi. Se in passato era d'obbligo depotenziare la pesantezza del disegno, adesso sembra un imperativo enfatizzarla. Che gli eccessi facciano da deterrente alle paure dell'austerity?
@boria_a
Audrey Hepburn (ph. da Venette Waste)

martedì 12 agosto 2008

MODA & MODI: l'etiquette dell'etichetta


L'abito firmato merita l'etichetta firmata. Anzi, non solo l'abito firmato. Basta con quei fastidiosi quadratini in poliestere, irritanti per la pelle, pungenti, indiscreti, che spuntano dalla schiena, si intravedono sui fianchi, sempre inopportuni ed eccessivi, soprattutto quando sono appiccicati con poco riguardo su quei nonnulla di pizzi e seta di reggiseni e slip, o agli abitucci sottoveste dell'estate, che richiederebbero etichette minimali e ugualmente eleganti. Perchè stilisti blasonatissimi cadono proprio sulla «firma», consegnandola a stoffe ordinarie e stampe poco raffinate? Vogue America ha dichiarato guerra a quelli che definisce gli orrendi tazebao degli abiti, pure plurimi: la label con il nome dello stilista, quella con il «made in...» (Cina e Corea, soprattutto) e quella con le indicazioni per la tintoria. La paura di incorrere in interminabili diatribe legali con le associazioni di tutela dei consumatori, oltreoceano all'ordine del giorno, spinge tutte le aziende a corredare i capi di veri e propri vademecum interni per il lavaggio, cura e conservazione, formato lavagna ma all'insegna del risparmio e dunque stampati su ruvidissime fibre sintetiche che si trasformano in armi di tortura ad ogni movimento, neppure dissimulate. Bastasse strapparle: sono cucite praticamente a fuoco e, per non tagliare il tessuto, si è costretti a lasciare sempre una strisciolina, pungente come una serie di spilli.
Innanzitutto l'«etiquette» dell'etichetta. Far notare che sporge, a qualcuno con cui non si ha troppa confidenza (è come togliere il classico capello, un gesto sempre un po' indelicato...)? Mi è capitato che una sconosciuta premurosa si alzasse dal tavolo di un bar e provvedesse personalmente a ricacciare all'interno del mio vestito una sinteticissima e indomabile label. La signora si è scusata, confessando di un aver potuto resistere. Al momento sono rimasta basita, poi ho condiviso senza riserve il suo fastidio estetico. Un breve sondaggio mi conforta: le ortodosse assicurano che l'etichetta in libera uscita va segnalata sempre e comunque, anche nel costume da bagno, perchè non c'è niente di peggio per rovinare un'abbronzatura perfetta...
Gli stilisti più sciccosi si sono già adeguati, come il rimpianto Romeo Gigli di molti anni fa, celebre per le sue striscioline color tortora, con l'indicazione di anno e stagione della collezione. Le fa così anche Alber Elbaz per Lanvin, mentre Giambattista Valli, italiano amatissimo in Francia, utilizza nastrini di seta, neri per l'inverno, molto gentili con l'epidermide. In fondo, quando si sborsano cifre considerevoli per una firma e un capo di qualità, infastidisce dover perdere tempo e rischiare di rovinare il tessuto eliminando strisce e strisce di stampigliature da quattro soldi.
Attenzione, c'è un'altra faccia della medaglia. A volte l'etichetta, per quanto importuna, può essere una preziosa alleata della fashion victim. Quante comprerebbero una camicetta i cui bottoni debbano essere certosinamente scuciti prima di ogni lavaggio in tintoria? L'avvertenza è per molte un deterrente, che permette di trovare capi concupiti, anche in taglie gettonate, nel pieno dei saldi...
@boria_a