martedì 12 agosto 2008

MODA & MODI: l'etiquette dell'etichetta


L'abito firmato merita l'etichetta firmata. Anzi, non solo l'abito firmato. Basta con quei fastidiosi quadratini in poliestere, irritanti per la pelle, pungenti, indiscreti, che spuntano dalla schiena, si intravedono sui fianchi, sempre inopportuni ed eccessivi, soprattutto quando sono appiccicati con poco riguardo su quei nonnulla di pizzi e seta di reggiseni e slip, o agli abitucci sottoveste dell'estate, che richiederebbero etichette minimali e ugualmente eleganti. Perchè stilisti blasonatissimi cadono proprio sulla «firma», consegnandola a stoffe ordinarie e stampe poco raffinate? Vogue America ha dichiarato guerra a quelli che definisce gli orrendi tazebao degli abiti, pure plurimi: la label con il nome dello stilista, quella con il «made in...» (Cina e Corea, soprattutto) e quella con le indicazioni per la tintoria. La paura di incorrere in interminabili diatribe legali con le associazioni di tutela dei consumatori, oltreoceano all'ordine del giorno, spinge tutte le aziende a corredare i capi di veri e propri vademecum interni per il lavaggio, cura e conservazione, formato lavagna ma all'insegna del risparmio e dunque stampati su ruvidissime fibre sintetiche che si trasformano in armi di tortura ad ogni movimento, neppure dissimulate. Bastasse strapparle: sono cucite praticamente a fuoco e, per non tagliare il tessuto, si è costretti a lasciare sempre una strisciolina, pungente come una serie di spilli.
Innanzitutto l'«etiquette» dell'etichetta. Far notare che sporge, a qualcuno con cui non si ha troppa confidenza (è come togliere il classico capello, un gesto sempre un po' indelicato...)? Mi è capitato che una sconosciuta premurosa si alzasse dal tavolo di un bar e provvedesse personalmente a ricacciare all'interno del mio vestito una sinteticissima e indomabile label. La signora si è scusata, confessando di un aver potuto resistere. Al momento sono rimasta basita, poi ho condiviso senza riserve il suo fastidio estetico. Un breve sondaggio mi conforta: le ortodosse assicurano che l'etichetta in libera uscita va segnalata sempre e comunque, anche nel costume da bagno, perchè non c'è niente di peggio per rovinare un'abbronzatura perfetta...
Gli stilisti più sciccosi si sono già adeguati, come il rimpianto Romeo Gigli di molti anni fa, celebre per le sue striscioline color tortora, con l'indicazione di anno e stagione della collezione. Le fa così anche Alber Elbaz per Lanvin, mentre Giambattista Valli, italiano amatissimo in Francia, utilizza nastrini di seta, neri per l'inverno, molto gentili con l'epidermide. In fondo, quando si sborsano cifre considerevoli per una firma e un capo di qualità, infastidisce dover perdere tempo e rischiare di rovinare il tessuto eliminando strisce e strisce di stampigliature da quattro soldi.
Attenzione, c'è un'altra faccia della medaglia. A volte l'etichetta, per quanto importuna, può essere una preziosa alleata della fashion victim. Quante comprerebbero una camicetta i cui bottoni debbano essere certosinamente scuciti prima di ogni lavaggio in tintoria? L'avvertenza è per molte un deterrente, che permette di trovare capi concupiti, anche in taglie gettonate, nel pieno dei saldi...
@boria_a

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