martedì 27 giugno 2006

MODA & MODI: riprendiamoci il punto vita

Stefano Pilati per Yves Saint Laurent, primavera 2006

Riprendiamoci il punto vita. Uno slogan? Di più: una dichiarazione di guerra. Stefano Pilati, direttore creativo di Yves Saint Laurent, l'ha tradotto in un un imperativo: «Rivestitevi!». E sulla passerella, ormai da due stagioni, manda le sue donne-clessidra, con cinture alte mezza spanna che enfatizzano il punto vita. Ma non era scomparso? Appunto.
Chi se la ricorda più quella regione misteriosa, tra busto e fianchi, che una cinquantina di anni fa doveva puntare ai sessanta centimetri per aspirare alla perfezione? Quell'incavo magico che Christian Dior mise sull'altare quando, per reagire alle tristezze, psicologiche e soprattutto economiche della guerra appena finita, creò il «new look» e le gonne a corolla, da cui sgorgavano chilometri di tessuto?
Dolce&Gabbana, primavera 2006
Punto vita desaparecido, cancellato, piallato. Prima negli anni Ottanta, quelli delle città «da bere», con la loro invadenza e l'arroganza delle spalle imbottite, poi, una decina di anni fa, quando l'iconoclasta della moda ufficiale, Alexander McQueen, si inventò i pantaloni a vita bassa. Sembravano un capriccio di stagione, invece, con una durevolezza sorprendente e masochistica, i «bumsters» hanno resistito e resistono, reclutando non solo ragazzine informi, ma signore, per altro verso, ugualmente informi, e calando sempre più, fino a scoprire elastici, ombelichi, glutei. La porno-fashion è ormai invasiva e pervasiva, al punto che ci ha anestetizzati al peggio: dove ci si può voltare, dal supermercato alla scrivania più vicina, senza vedere una pancia all'aria?
Rivestiamoci, seguendo il consiglio di Pilati. Non solo. Tutte le griffe più importanti hanno rimesso il punto vita, Chanel segnandolo con un giro di perle nel costume da bagno intero, Dolce & Gabbana con fusciacche sui soprabitini couture o sulle camicie. Moschino disegna fiocchi rossi per togliere aggressività agli abiti maculati, Prada dissemina il suo prêt-à-porter di sottili cinture di pelle, l'irriducibile McQueen strizza tutto in un'alta cinta da gladiatore. Questa la couture, ma basta dare un'occhiata alle vetrine per scoprire che il punto vita si può coccolare anche con un delizioso golfino di cotone Stefanel, percorso da un nastro nero da annodare proprio lì.
Ma il punto è: abbiamo ancora un punto vita? Le statistiche dicono di no. Siamo la generazione tavola da surf, smussata dalle sedute di addominali, prosciugata dalla dieta, allungata e allargata rispetto alle nostre nonne, come ci documenta senza pietà uno studio dell'Università di Londra: il busto delle inglesi, in mezzo secolo, è cresciuto di sedici centimetri, da settanta a ottantasei.
Rimodellarsi a mandolino non sarà facile. Gli stilisti ci provano, ma la magica insenatura è andata irrimediabilmente assottigliandosi man mano che aumentava l'uguaglianza tra i sessi. E mentre noi lottiamo con i buchi della cintura, a sfoggiare il redivivo fisico da pin-up resta ormai solo la Barbie.
@boria_a
Prada, primavera 2006

martedì 13 giugno 2006

MODA & MODI: pericolo bianco

Alexander Mcqueen, primavera/estate 2006

L'estate alza bandiera bianca. Il colore più insidioso, problematico, narcisista, monopolizza le vetrine. Dalla borsa gigantesca, lucchettata, grondante ammenicoli da pigiare a terra una giraffa fino all'abitino svolazzante di sangallo, il biancos'insinua, invade, pervade.
Dopo i mesi invernali del nero, eccoci calamitate da questa irresistibile seduzione virginale. Perchè il bianco seduce, accalappia con la lusinga di un'apparente democrazia, un po' manipola. Sa di freschezza, di pulizia, di ingenuità, interpreta la nostra voglia di estate e di calore, il nostro bisogno di evadere dal tunnel del freddo e dalla crisi dell'abito, che aggiunge a strati piuttosto che inventare.
Ma il bianco di quest'estate 2006 è tutto fuorchè democratico, esattamente come la moda, che non è mai per tutti (ne abbiamo parlato: bermuda, stivali, colori). Intanto, non è un «unico» bianco, ma si moltiplica: quello mieloso, innocente e un po' ipocrita di pizzi e sangalli, alla country-girl di Dolce & Gabbana, quello energetico e sportivo delle canotte o delle t-shirt che corteggiano lo sport, quello abbacinante delle borse di finta pelle, pronte a raccogliere e trattenere nelle pieghe ogni granello di polvere, quello burroso e cerebrale delle giacchine alla «cinese», quello assoluto, imperativo, delle camicie importanti, tutte svolazzi e veli, trasparenze e plissè.
Questo bianco divide, seleziona, marca la differenza. E' un bianco "materiale", che pretende pelli curate, superfici levigate, imperfezioni trascurabili. Dicono gli esperti: colore sofisticato, pensato per valorizzare le sue trame, per portarle alla ribalta, fatto per corpi perfetti e un po' asettici. Un tempo perfezione e asetticità erano le prerogative del nero, oggi invece declassato a tinta «basic». Il bianco è da personalità decisa, da donna aggressiva che non teme giudizi o sguardi, paradossalmente quanto più lontana possibile dalle svenevolezze della
debuttante.
Bianco così angelico da diventare diabolico. A cominciare dai pantaloni, che rivelano proprio tutto, pelle a materasso, manigliette, cedevolezze, biancheria. Diventa volgare su chi ama l'abbronzatura brasiliana, il trucco accentuato, i gioielloni, su chi è negli «anta» ed espone ogni ruga al microscopio. Meglio miscelarlo col color sabbia, il grigio, moderatamente col nero per evitare gli accostamenti a pianoforte.
Il bianco preferisce le bionde, i colori diafani, neutri, i corpi androgini e un po' nervosi. E attenzione a volumi e proporzioni: sembrare una calla è un sogno, molto più facile finire per assomigliare a una meringa.
@boria_a