martedì 27 dicembre 2022

MODA & MODI

Con "Emily in Paris", senza rimorsi

sull'orlo del kitsch

 


 
 

Nei pomeriggi postprandiali delle feste non c’è niente di malsano nell’abbandonarsi alla maratona Netflix della terza stagione di “Emily in Paris”. Inutile negare: poche, forse nessuna, possono dire di non averne mai sentito parlare, di non aver letto almeno un articolo o visto un trailer sull’entusiasta giovane americana, traboccante sorrisi e positività, che da Chicago vola a Parigi per occuparsi di pubbliche relazioni ad alto livello e rimane catturata dall’ineffabile allure d’oltralpe.

La storia non impegna i neuroni e non palpitiamo nemmeno un attimo per le traversie sentimentali e lavorative della protagonista, combattuta tra due uomini e due agenzie ugualmente glamour. La forza perversa, che vince ogni ragionevole resistenza alla suprema stupidità dell’intreccio, è il guardaroba di Emily, un caleidoscopio pirotecnico che cattura e trascina al binge-watching, alle puntate guardate senza sosta, solo per vedere come si vestirà da un episodio all’altro.

“Pomeriggio di Natale? C’è Emily in Paris”. L’affermazione di una giovane collega, di solito impegnata su temi più cerebrali, emessa candidamente e senza tema di giudizio, mi conforta: Emily non è un problema solo mio, che appartengo alla generazione suo malgrado un po’ orfana di Sex and The City. Emily è magra e attraente come Carrie, lavora in un ambiente diciamo affine (soprattutto quando si parla di “luxury”, dove il confine tra giornalismo e mera pubblicità è sempre fluido), e i suoi outfit nella serie sono creati da Marylin Fitoussi, nelle prime due stagioni assistente di Patricia Field, proprio la costumista geniale di Sex and The City.

E come Carrie, che viveva nel cuore chic di Manhattan scrivendo una rubrica, anche Emily riesce incredibilmente a disporre di un guardaroba sopraffino di pezzi firmati, vintage, di tendenza con lo stipendio da assistente in un’agenzia di comunicazione in una delle capitali più care della vecchia Europa. Bocciata senza pietà dalla critica per essere lo stereotipo dell’americana che cerca di imitare l’impalpabile eleganza francese, in questa nuova serie Emily ha imparato qualche parola della lingua ma non l’arte del “less is more” di Chanel (anzi, di Chanel le piace piuttosto “il lusso è una necessità che inizia quando la necessità finisce”).

Così siamo risucchiate con lei tra feste, bistrot, ristoranti stellati in stivaloni colorati e mini metallizzate, cappe bordate di piume e platform, top minimali e cappellini a secchiello, pois e stampe Vichy, in un luna park di colori e fantasie accostati senza pudore: viola, verdi, arancioni, rosa e gialli. L’attrice Lily Collins ha dichiarato in un’intervista che probabilmente la sua Emily molti capi e accessori li affitta, come fanno le griffe-aholic della Generazione Z, perlomeno sfiorate dalle preoccupazioni sull’ambiente.

Godiamoci allora senza rimorsi questa girandola vorticosa ed eccessiva, divertimento transgenerazionale che impegna solo gli occhi, sul filo del kitsch. Con un po’ di nostalgia da boomer per la stordita dissipatezza dell’antenata Carrie («Mi state dicendo che ho speso 40mila dollari in scarpe e non ho un posto dove vivere? Sarò ridotta letteralmente ad abitare nelle mie scarpe...»), i cui abiti/borse/scarpe li sognavi e non li trovavi subito in uno store online del colosso streaming.

mercoledì 21 dicembre 2022

 MODA

Renato Balestra, il dono a Trieste dei disegni

e l'omaggio postumo della sua città

 

Lo stilista triestino Renato Balestra, morto il 26 novembre 2022 a 98 anni

 

Una data speciale per ricordarlo potrebbe essere il prossimo 3 maggio 2023, quando avrebbe compiuto 99 anni. L’evento è già stato ideato e avrebbe dovuto tenersi al Politeama Rossetti il 4 gennaio. Lo stilista Renato Balestra l’aveva voluto appassionatamente come omaggio alla città dov’è nato: un concerto, con orchestra e coro, e una contestuale donazione di oltre cento bozzetti alle collezioni triestine, una summa speciale della sua straordinaria avventura nella moda. Per un singolare scherzo della sorte la relativa delibera era stata portata in giunta dall’assessore comunale alla Cultura Giorgio Rossi il 28 novembre scorso, proprio due giorni dopo la morte di Balestra, avvenuta in una clinica romana a 98 anni, dopo un breve ricovero. Fino all’ultimo il couturier aveva creduto di poter essere a Trieste, ad accompagnare il concerto per i suoi concittadini, all’insegna di quell’amore per la musica e il canto che, al pari degli abiti, ha riempito tutta la sua vita, fin da ragazzino.

 

 

Gli abiti di haute couture e i disegni di Balestra alla Fondazione Zeffirelli di Firenze

 


Ma “Celeblueation”, come si intitola lo spettacolo, ovvero la celebrazione di quel blu speciale che ha reso noto Balestra nel mondo e che porta il suo nome, è stato solo rimandato. Si farà, probabilmente in primavera e sempre al Rossetti, assicurano l’assessore Rossi e il produttore dell’evento, Armando Fusco, con la sua società Be One Enjoy. «Ci confronteremo con la famiglia - dice quest’ultimo - con le figlie Fabiana e Federica e con la nipote, Sofia Bertolli Balestra, sue eredi, per trovare i tempi e le modalità più giuste per realizzare il grande desiderio di Renato Balestra: tornare a Trieste».


Protagonisti saranno la Grande orchestra sinfonica e il coro Art Voice diretti da Diego Basso, con la direzione musicale e la partecipazione del compositore Marco Falagiani (co-autore della colonna sonora del film premio Oscar “Mediterraneo”). Oltre un centinaio di elementi tra musicisti e cantanti, cui si affiancheranno alcuni solisti.

 


Copia dell'abito che Balestra realizzò per la regina Sirikit di Thailandia esposto nella Sala della Musica della Fondazione Zeffirelli di Firenze

 

Alla musica faranno da corredo le immagini, in anteprima, del docufilm prodotto dallo stesso Fusco sulla vita e la carriera di Balestra: cinquant’anni di una storia di invenzioni e di stile, che prenderà le mosse dalle prime prove pittoriche, dall’atelier romano, per poi seguire la costruzione di “Celeblueation”. Quest’evento, tra il 2018 e il 2019 ha toccato varie città italiane, con una mostra antologica di abiti, bozzetti e disegni di Balestra e una parte musicale, sempre diversa e studiata appositamente per ciascuna occasione. Anche Trieste era inserita nel calendario: era prevista un’esposizione al Castello di San Giusto e un concerto in Piazza Unità, ma la pandemia ha repentinamente bloccato l’appuntamento del 2020. Oggi la scomparsa di Balestra costringe a rimandare ancora “Celeblueation”, che idealmente rappresenterà la realizzazione dell’ultimo grande desiderio dello stilista.
«Renato Balestra era entusiasta come un bambino di tornare nella sua città. Fino all’ultimo abbiamo parlato e progettato l’evento», racconta Fusco. Conferma l’assessore Rossi: «Da un anno lavoravamo con lo staff di “Celeblueation”. Balestra era felicissimo, considerava Trieste la meta finale del suo straordinario percorso. In questo momento provo dolore e amarezza, ma l’evento che tanto voleva si farà».

 

Gli abiti alla Fondazione Zeffirelli di Firenze

 

I cento disegni che saranno donati al Comune di Trieste, probabilmente destinati al Museo teatrale Schmidl, fanno parte di una collezione di circa trecento opere di proprietà di Armando Fusco. «I cento della “special selection” di Celeblueation sono stati selezionati da Balestra stesso - racconta il produttore –. La collezione nasce da un meticoloso lavoro di acquisizione dal suo sconfinato archivio, che la Soprintendenza archivistica e bibliografica del Lazio ha dichiarato d'interesse storico particolarmente importante. Balestra ha lavorato con cura, scegliendo personalmente ogni singolo disegno e bozzetto a scandire le tappe salienti della sua carriera. Abbiamo poi proceduto alla stampa su carta hahnemühle - racconta Fusco - e a una rielaborazione a mano che lo stesso couturier con il suo ufficio stile ha impreziosito con l’aggiunta di vari elementi decorativi, creandone opere nuove e uniche». Ci saranno anche i disegni dei costumi per “La Cenerentola” di Rossini, “Il Cavaliere della Rosa” di Strauss (che aprì nel 1999 la stagione al Verdi di Trieste), la “Turandot” di Puccini e gli ultimi de “Il lago dei cigni”, disegnati per il Teatro dell’Opera di Belgrado nel 2019.


Insieme ai bozzetti, Balestra aveva in mente anche un altro regalo per Trieste: un suo busto in bronzo realizzato dallo scultore Ettore Marinelli, fuso delle Pontificie Fonderie Marinelli di Agnone, una delle più antiche fonderie di campane del mondo (i primi cenni storici rispetto a quest’azienda a conduzione familiare risalgono all’anno mille).

 

Il celebre Blu Balestra nella Sala della Meridiana del Museo e Certosa di San Martino a Napoli. L'abito corto a sinistra è il primo firmato Balestra, anno 1959

 

La mostra antologica “Celeblueation” ha debuttato nel Museo civico di Palazzo San Francesco a Domodossola nel settembre 2018, una sorta di anteprima con i soli disegni per il teatro. Un mese dopo venne allestita, integrale, alla Villa Reale di Monza, quindi alla Certosa e Museo di San Martino di Napoli da maggio a giugno 2019, dove fu inaugurata con una serata di gala e concerto degli orchestrali del Teatro San Carlo. La tappa successiva fu a Forte dei Marmi con un’altra colonna sonora d’eccezione, il concerto nel Giardino d’Inverno di Villa Bertelli dell’Orchestra Scarlatti, guidata dal magistrato-direttore Gianluigi Dettori, solista al piano l’enfant prodige quattordicenne Edoardo Riganti Fulginei. Quindi a Firenze, alla Fondazione Franco Zeffirelli, che fu grande amico di Balestra e con il quale lo stilista collaborò per i costumi di “Così è se vi pare” di Pirandello.


Prima di volare a Bangkok (Balestra ha vestito la regina Sirikit di Thailandia, a suo tempo definita la Jackie Kennedy dell’Asia, scomparsa nel 2016), la mostra avrebbe dovuto approdare al Castello di San Giusto. La pandemia ha fatto il resto e ora il concerto al Rossetti sarà solo un tributo postumo allo stilista, sperabilmente non il solo.

lunedì 12 dicembre 2022

MODA & MODI

Il recupero d'autore come una seduta psicanalitica

 


 

 

Un tavolino. Un’artigiana artista e una cliente. In mezzo a loro una collana mai o poco messa, magari rovinata, dimenticata in fondo a un armadio, passata di moda, un regalo poco gradito, un acquisto incauto. Recuperarla e trasformarla di nuovo in un accessorio indossabile è una piccola sfida all’insegna del recupero. Ma c’è molto di più nei tre laboratori tenuti sabato 10 dicembre al Cavò di via San Rocco a Trieste, protagonista Ines Paola Fontana, pioniera dell’economia circolare e del riciclo intelligente e creativo quando l’anima verde era molto poco in voga, prima come sarta e designer di borse e accessori con Studiocinque insieme a Roberta Debernardi, poi con una sua linea di gioielli “poveri”, nati da materiali di scarto restituiti a un’inedita identità decorativa. Molto di più di una semplice operazione di “rimessaggio”, dunque, perché consegnare un proprio oggetto, con una storia e un passato, in altre mani che lo ripensino e lo ricreino, mettendoci a loro volta un’altra storia, un altro passato e altre esperienze, è prima di tutto un atto di fiducia e complicità. 


Al banchetto di Ines Paola Fontana sabato si sono radunate palline di avorio, quadrati di plexiglas e perline colorate e cilindriche in pasta di vetro, prezioso acquisto da un bancarellaro che le aveva scambiate per plastica: tre collane da re-inventare, la prima con una componente etnica troppo accentuata per il gusto della proprietaria, l’altra acciaccata in alcuni punti, la terza semplicemente mai indossata, nonostante i bei colori e la regolarità del vetro alla base dell’acquisto.

 


 

 I laboratori - registrati per una prossima versione online - erano ospitati nell’ambito dell’iniziativa “Ponterosso memorie”, ideata da Massimiliano Schiozzi e Silvia Vatta e dedicata all’epoca d’oro dei jeansinari. La parola chiave in questo caso era proprio “memoria”. Perchè, intorno al tavolino, mentre gli spaghi che reggevano le collane venivano tagliati senza ripensamenti, le palline, i quadretti e le perle allineati e i fili da tendaggi o ricamo cominciavano a disegnare e assemblare un nuovo oggetto, artista e “committente” chiacchieravano sulla provenienza del pezzo, sui motivi del suo abbandono, sulla curiosità o le diffidenze nell’affidarlo a qualcuno per cambiarlo senza snaturarlo.

 


 


“Tra seduta psicoanalitica e buttacarte” scherzava Schiozzi. Una battuta, ma neanche poi tanto. La collana recuperata la metterò davvero? Non mi pentirò di averla disfatta? Non cancellerò il ricordo che porta con sè? Insomma, un laboratorio non soltanto di manualità.
Alla fine il monile etnico è stata alleggerito e le palline d’avorio rimontate su fili color borgogna lasciati cadere come lunghe frange, i ritagli di plexiglas si sono trasformati nel pendente di una collana di tessuto lavorato con il metodo shibori, i cilindri di vetro sono stati ricomposti su fili da ricamo verde intenso e sigillati da vecchi pezzi geometrici di legno. 

 


 


Una scatola di carta nera firmata dall’artista e il recupero è diventato un regalo d’autore (a se stesse), in una circolarità leggera e utile per gli oggetti e gli umani.