martedì 26 febbraio 2008

MODA & MODI: meglio strega, che fata buonista
Non tira una buona aria per le cattive ragazze. Riviste, pubblicità, vetrine ci dicono che è meglio cambiare registro. Via il nero sulfureo, i lacci, le cinturone da gladiatore, da archiviare i busti che strizzano il seno alla pin-up, le minigonne ascellari, gli short aggressivi, le borse spigolose del potere, ma anche il saio minimalista. Tempi duri per chi ama lo stile algido e cerebrale dei nord-europei, la moda intellettuale della scuola giapponese.
Gli stilisti, soprattutto di casa nostra, hanno deciso che sarà l'estate della donna angelo, della fatina del bosco, di candide creature vestite di tinte polverose e delicate, di trasparenze, di tessuti impalpabili nei colori della natura amica: azzurri cristallini, verde trifoglio, madreperla, sfumature argentee. Anche chi non ha mai fatto una passerella senza rinunciare alla pitonata, senza che da qualche parte sbuchi il terribile animalier, il boa di struzzo, la guaina incollata, si è convertito al clima buonista, ha riscoperto la leggerezza, la grazia, l'efebicità. Ci spiegano che Campanellino, la fata Turchina, la ninfa Ondina, sono il deterrente a un clima generale dominato dalla rozzezza, dalla volgarità, dalla competizione brutale. Così i sabot con la punta rifilata al temperamatite lasciano il posto a ciabattine con i fiocchi, di tessuto vichy, gli abiti striminziti a camicie romantiche di pizzo o organza, a gonne svolazzanti e leggerissime, rigonfiate dal tulle, a fronzoli e brandelli da elfo. Basta propaggini appuntite, pantaloni adesivi, seni e sederi a vista. Tutto diventa morbido, aereo, fluttuante. E i colori si annacquano, il rosa diventa cipria, o carne, il grigio si fa polvere, gli acidi si appannano e si inteneriscono.
Queste creature da Signore degli anelli trasmettono un messaggio preciso: l'arpia, la megera, non piace più, e neppure la fatalona. La nuova musa della moda è intimista e insondabile. Meno male che c'è Marc Jacobs, con i suoi metri e metri di tulle nero, le modelle con i capelli come matasse e gli occhi pesti, a ricordarci che la fata è sempre un po' strega e che anche le silfidi eteree possono paralizzare con uno sguardo. Che noia questi magici esserini sempre pronti a fare "bidibibodibibù", tutti caramello e dolcezza, perfino un po' lamentosi. Queste fate veltroniane che hanno in tasca l'incantesimo giusto per tutti. Meglio le fate-streghe, che quando si arrabbiano ti trasformano in un rospo con una sghignazzata. Ma che a volte, se hanno la giornata giusta, possono anche affrancare un rospo.
@boria_a

Marc Jacobs primavera-estate 2008 (ph. Richard Termine per il New York Times)


martedì 12 febbraio 2008

MODA & MODI: i pervestiti

Avete mai sentito dire di un uomo «è malvestito?». Mai. Mentre per una donna si sprecano espressioni del tipo «non si ricorda quanti anni ha», «sembra un travestito», «si mette cose da ragazzina», «si è dimenticata la gonna» «ma non si vede???», per l'abbigliamento di lui valgono perifrasi molto simili a quelle utilizzate per le valutazioni estetiche. In politica si direbbero dorotee. «E' interessante», pollice verso senza appello. Che, trasferito nel vestiario, equivale a un «ha uno stile tutto suo», ovvero non indovina un abbinamento, fa un'accozzaglia di colori, sbaglia i fondamentali - calze, intimo, cravatta - raccatta le prime cose che trova nell'armadio e crede che significhi essere casual.
Le sfilate della moda maschile ci ricordano che pure per lui valgono - giammai alcune regole - almeno dei suggerimenti. Non ci si illude di trovare in giro le tipologie che le riviste propongono (serissimi settimanali d'opinione, non patinati femminili...): il dandy (dovrebbe  vestirsi in total black con pashmina), il discreto (defilato ma dai dettagli raffinati), l'imperiale (colori classici e un qualcosa in più di molto prezioso, tipo un collo di zibellino), perfino un improbabile «mitteleuropeo», che - cito - dovrebbe sentirsi a suo agio in una mantella dal sapore asburgico, pantaloni antracite infilati negli stivali e avere con sè un trolley di cocco lucido.
Troppo, d'accordo. Ma la via di mezzo? Invece, quando si parla di uomini (uomini comuni, s'intende) si entra in una sorta di zona «grigia», dove l'approssimazione non è un problema e soprattutto è esente da riprovazione. Osare un timido «ma che si è messo addosso quello??» suscita di solito occhiate perplesse anche nelle donne, mentre l'apprezzamento per un uomo ben vestito viene accolto, da altri maschi, con sufficienza, come l'attestazione di un vizietto.
Tipologie frequenti? L'eterno sportivo, che sui cinquanta o più si aggira ancora in scarpe da ginnastica, felpa colorata (e non è Lapo...), pantalone di tinta aggressiva e zainetto ammiccante (ammicca alle coetanee dei figli, con alterne e sempre brevi fortune). Il nato vecchio, solitamente imbragato in completi topo o simil-azzurri, che ritiene la massima espressione del bon-ton da ufficio (nessuno gli ha mai detto che anche gli abiti da uomo passano di moda, perdono e aumentano tasche e bottoni, si sfilano, si ampliano, si «destrutturano»...). Il funzionario di partito: anonimo, senza colore, prevedibile. Il reduce sessantottino: tutto informe, spento, sbiadito e magari comprato dai cinesi, anche se è puro sintetico, per nulla «eco», e confezionato dai bambini lavorando quindici ore al giorno. Il conservatore: tanto velluto, velluto su velluto, tweed verdolini e camicie a quadretti, un'indigestione di «vintage» che appare solo quello che è: datato.
Chi dice mai di questi tipi: sono malvestiti? Sciatti? Senza gusto? Ma si vedono? Piuttosto si dice: sono simpatici, teneri, originali, poco fantasiosi, giocherelloni... casual. Il presidente del consiglio regionale Tesini, qualche mese fa, con una circolare più che opportuna, richiamava i colleghi a mantenere «un livello dignitoso» negli abiti indossati in aula. Ma lui pensava alla cravatta, la cui scomparsa da piazza Oberdan avrebbe favorito una caduta progressiva nel «decoro» dell'abbigliamento. Bastasse rimettere quella...
@boria_a
Giorgio Armani a Milano Moda Uomo