martedì 19 ottobre 2021

MODA & MODI

Platform, sulla piattaforma per puntellarsi

 

La prima foto ufficiale di And Just Like That

 

 

Un vistoso plateau al posto dello stiletto. Niente è affidato al caso nella prima foto ufficiale di una serie che alimenta strategicamente l’attesa dei fan. Fissatevi sulle estremità. In And Just Like That, il Sex and The City della maturità, Carrie a passeggio con le amiche Miranda e Charlotte indossa un paio di Mary Jane pluristringate con un tacco quadrato e una solida e imponente piattaforma. Oibò. Dove sono finite quelle punte sfuggenti e quei tacchi filiformi con cui ha attraversato Manhattan, sei stagioni e molti amori, svolazzando sicura, trafiggendo tutto, marciapiedi e uomini, in punta di ago?


Sono passati vent’anni e nel frattempo il tempio delle Manolo, la boutique monomarca vicino al MoMa, ha chiuso i battenti, travolta da beghe finanziarie. Più che di equilibrismi e sventatezze e tempo di solidità sembrano dirci le costrittive calzature con cui la Carrie over cinquanta rientra nelle nostre vite televisive. E con lei i plateau, le piattaforme, le zeppe, ritornate in passerella e nelle vetrine anche loro a circa vent’anni dall’ultimo avvistamento. Dalle scarpe da ginnastica, agli stivali e stivaletti, dalle décolleté ai sandali ai sabot, le scarpe si mettono sotto la suola un numero variabile di centimetri. Che alzano, rimodellano l’intera figura, rendono il piede una sorta di arma contundente.


Da sempre divisivo, il corso e ricorso del plateau segna le epoche e i cambiamenti del costume. Le antenate “chopine”, nella Venezia del XVI secolo, raggiungevano anche il mezzo metro d’altezza e per issarvisi ci volevano almeno un paio di aiutanti. Le donne così calzate e poco deambulanti, piacevano molto ai mariti e alla chiesa per l’impossibilità di allontanarsi o indulgere in balli peccaminosi. Due secoli dopo il tacco sostituì i trampoli, ma la vertigine dell’altezza è rimasta nella moda: Carmen Miranda sulle platform negli anni Trenta, Ferragamo e la zeppa multicolore di sughero del 1937, diventata la sua scarpa iconica. Poi la stagione psichedelica degli anni Settanta, con i plateau glitterati degli artisti, da Elton John a Diana Ross, dagli Abba ai Kiss, infine le micidiali zeppe di Vivienne Westwood del ’93, da cui precipitò in passerella Naomi Campbell, doverosamente consacrate al Victoria&Albert di Londra.

 

Naomi Campbell sulla passerella di Vivienne Westwood nel '93

 


E il revival 2021? Concepite prima e rimaste congelate nel lockdown, le platform postpandemiche (alcune con tentazioni da chopina, vedi gli stivali dorati di Valentino) convivono con il loro opposto, le scarpe flat o il tacco kitten (“micetti” di pochi centimetri) in cui ci siamo rifugiate nei periodi di confino domestico, esattamente come gli abiti comodi, le lane e i maglioni ampi non escludono la ricomparsa di bustier, vite strizzate e guaine di pelle.


La riconquistata libertà moltiplica l’offerta, rimasta a lungo lontana dagli scaffali. Ferragamo inventò la zeppa per dare stabilità al tallone e oggi le fan si arrampicano sul plateau come su una base da cui svettare, guadagnando altezza senza smarrire l’equilibrio. Segno dei tempi. E Carrie? Fa un po’ tristezza vederla costipata in quelle scarpone (griffatissime, al solito: è Celine) così lontane dalle affilate Manolo bluette che furono il suo anello di fidanzamento. Ma è il Sex and The City della mezza età e di tanti post, virus compreso. Più che a correre forse anche lei pensa a puntellarsi.

lunedì 4 ottobre 2021

MODA & MODI

 

Missoni ridotto all'osso per la Gen Z

 


 

 

Dopo molti anni di contenute e rassicuranti collezioni per signore borghesi innamorate dei grafismi di Missoni, registrate senza alcun clamore dalla stampa, l’ultima sfilata del brand, nei giorni scorsi alla settimana della moda di Milano, ha fatto notizia. La passerella più recente è anche la prima di un “estraneo” alla famiglia di Tai. A firmarla Alberto Caliri, nuovo direttore artistico, che ha preso il posto dell’ultimogenita Angela, ritiratasi a maggio, con cui ha collaborato per molti anni.

È Missoni quello che vediamo?, si sono chiesti in molti davanti a una proposta così dissimile dal dna del marchio. Microbikini all’uncinetto, abitucci inguinali o tagliati sulla schiena per mostrare gli slip coordinati, ombelichi a vista sopra top incrociati sul collo, guaine a rete trasparenti, vestiti lunghi con profondi tagli sul busto da cui sfuggono impercettibili reggiseni a triangolo. E l’uscita più spiazzante, niente più che una cintura con la scritta Missoni in nero e marrone che nasconde a malapena i seni dell’immusonita modella, su minigonna ugualmente brandizzata.


L’obiettivo è apparso subito chiaro: infondere nella sapiente e prevedibile trama dei Missoni una sferzata sexy, diretta alla cosiddetta Gen Z, il target dagli anni ‘95 al primo decennio dei Duemila, una fetta di mercato da aggredire ringiovanendo. Caliri ha detto di aver lavorato per sottrazione, di aver pescato nell’eredità Missoni asciugando e riducendo al minimo. E non si può che essere d’accordo con lui guardando i palestrati mucchietti d’ossa in passerella coperti da una remota citazione degli arazzi di Ottavio. Va superata l’idea del semplice sexy, ha precisato il designer, per affermare il concetto: “mi piaccio e va bene così”.


Caliri ha centrato un primo obiettivo: far parlare la stampa di Missoni. Suzy Menkes, guru delle giornaliste di moda, si sbilancia a definire quelle strisce di tessuto tra seno e sedere una sorta di provocazione al #metoo. Lisa Armstrong sul New York Times boccia la collezione come sfacciato voyeurismo. Sullo sfondo la domanda posta dalla confessione-shock dell’ex top model Linda Evangelista (quella che diceva di non alzarsi nemmeno dal letto per meno di diecimila dollari), oggi 56 anni, che su Instagram rivela di essere stata sfigurata dalla chirurgia estetica: fino a che punto si può rincorrere la giovinezza a tutti i costi? Nella moda l’ossessione di sedurre i giovani, i futuri consumatori, è storia vecchia. Ma nell’era dei video virali di TikTok, con quindicenni che si agitano in due pezzi nella cameretta di casa, basta togliere centimetri di tessuto per togliere anni a un marchio prestigioso ma sconosciuto ai post millennial?
 

Il #Metoo, con buona pace dell’autorevole Menkes, non c’entra niente. Ogni donna ha diritto a vestirsi o svestirsi quanto vuole senza che questo possa essere scambiato per un’allusione sessuale. Il punto è un altro. La Generazione Z è fatta di giovani che stanno concludendo gli studi, che si affacciano al lavoro o ci sono già da tempo inseriti, giovani che, nella pandemia, hanno vissuto per la prima volta un corto circuito nella socialità fisica, che stanno maturando il concetto di “inclusività” dei corpi e delle loro diverse bellezze. Per catturarli, una cintura sui capezzoli è sottrarre un po’ troppo.