lunedì 4 ottobre 2021

MODA & MODI

 

Missoni ridotto all'osso per la Gen Z

 


 

 

Dopo molti anni di contenute e rassicuranti collezioni per signore borghesi innamorate dei grafismi di Missoni, registrate senza alcun clamore dalla stampa, l’ultima sfilata del brand, nei giorni scorsi alla settimana della moda di Milano, ha fatto notizia. La passerella più recente è anche la prima di un “estraneo” alla famiglia di Tai. A firmarla Alberto Caliri, nuovo direttore artistico, che ha preso il posto dell’ultimogenita Angela, ritiratasi a maggio, con cui ha collaborato per molti anni.

È Missoni quello che vediamo?, si sono chiesti in molti davanti a una proposta così dissimile dal dna del marchio. Microbikini all’uncinetto, abitucci inguinali o tagliati sulla schiena per mostrare gli slip coordinati, ombelichi a vista sopra top incrociati sul collo, guaine a rete trasparenti, vestiti lunghi con profondi tagli sul busto da cui sfuggono impercettibili reggiseni a triangolo. E l’uscita più spiazzante, niente più che una cintura con la scritta Missoni in nero e marrone che nasconde a malapena i seni dell’immusonita modella, su minigonna ugualmente brandizzata.


L’obiettivo è apparso subito chiaro: infondere nella sapiente e prevedibile trama dei Missoni una sferzata sexy, diretta alla cosiddetta Gen Z, il target dagli anni ‘95 al primo decennio dei Duemila, una fetta di mercato da aggredire ringiovanendo. Caliri ha detto di aver lavorato per sottrazione, di aver pescato nell’eredità Missoni asciugando e riducendo al minimo. E non si può che essere d’accordo con lui guardando i palestrati mucchietti d’ossa in passerella coperti da una remota citazione degli arazzi di Ottavio. Va superata l’idea del semplice sexy, ha precisato il designer, per affermare il concetto: “mi piaccio e va bene così”.


Caliri ha centrato un primo obiettivo: far parlare la stampa di Missoni. Suzy Menkes, guru delle giornaliste di moda, si sbilancia a definire quelle strisce di tessuto tra seno e sedere una sorta di provocazione al #metoo. Lisa Armstrong sul New York Times boccia la collezione come sfacciato voyeurismo. Sullo sfondo la domanda posta dalla confessione-shock dell’ex top model Linda Evangelista (quella che diceva di non alzarsi nemmeno dal letto per meno di diecimila dollari), oggi 56 anni, che su Instagram rivela di essere stata sfigurata dalla chirurgia estetica: fino a che punto si può rincorrere la giovinezza a tutti i costi? Nella moda l’ossessione di sedurre i giovani, i futuri consumatori, è storia vecchia. Ma nell’era dei video virali di TikTok, con quindicenni che si agitano in due pezzi nella cameretta di casa, basta togliere centimetri di tessuto per togliere anni a un marchio prestigioso ma sconosciuto ai post millennial?
 

Il #Metoo, con buona pace dell’autorevole Menkes, non c’entra niente. Ogni donna ha diritto a vestirsi o svestirsi quanto vuole senza che questo possa essere scambiato per un’allusione sessuale. Il punto è un altro. La Generazione Z è fatta di giovani che stanno concludendo gli studi, che si affacciano al lavoro o ci sono già da tempo inseriti, giovani che, nella pandemia, hanno vissuto per la prima volta un corto circuito nella socialità fisica, che stanno maturando il concetto di “inclusività” dei corpi e delle loro diverse bellezze. Per catturarli, una cintura sui capezzoli è sottrarre un po’ troppo.

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