mercoledì 28 settembre 2016

IL LIBRO




 Lungo il miglio dei profughi, tra Grecia e Macedonia




È un popolo in cammino quello che Luigi Ottani ha fotografato lungo i binari tra Idomeni, in Grecia, e la cadente stazione di Gevgelija, in Macedonia. Scatti in bianco e nero, potenti e fuori dal tempo, di un’umanità in marcia al passo delle traversine lungo il miglio che la separa dal confine tra i due paesi, realizzati tra il 20 e il 27 agosto 2015. Sono del popolo che ce l’ha fatta a proseguire verso il cuore dell’Europa, prima che un muro spinato interrompesse la rotta balcanica proprio qui e allontanasse all’infinito la tappa successiva, Preševo, al confine serbo, rovesciando su Idomeni l’urto di migliaia di disperati.

Queste foto, al contrario, trasmettono un’incrollabile determinazione, una serenità lacera ma inscalfibile, nei grandi e nei piccoli, nei vecchi e nei mutilati: ci sono uomini colti dall’obbiettivo nell’attimo di piegarsi sul tappeto della preghiera, davanti all’ossatura di un treno, famiglie che avanzano tra i binari con i neonati in braccio e il passato nei sacchi della spazzatura, occhi scuri di bambini impigliati nei gomitoli di filo spinato, stampelle appoggiate tra zaini e sporte, una marea accovacciata sotto i muri scrostati, quasi sospesa in uno spazio altro, in attesa di salire su uno dei due treni giornalieri, o su un pullman, un taxi, a seconda dei soldi salvati.



"Dal libro dell'esodo", foto di Luigi Ottani (Piemme)


Le immagini di Ottani sono state raccolte nel volume “Dal libro dell’esodo” (Piemme, euro 17,50), curato dall’attrice e documentarista Roberta Biagiarelli, che l’ha accompagnato sul confine greco-macedone, e con i contributi dello scrittore e giornalista Paolo Rumiz, di Cécile Kyenge, ministro per l’Integrazione sotto il governo Letta, e ancora di Michele Nardelli, Carlo Saletti e Ismail Fayad, amici incontrati dall’autrice in tempi diversi sullo stesso confine.


Biagiarelli e Ottani erano, in quella settimana di agosto 2015, gli unici italiani presenti nell’imbuto ferrato in cui i profughi dovevano per forza procedere a piedi, per dichiararsi alle autorità macedoni. «Senza alcuna esitazione - scrive la donna negli appunti presi sul tablet - siamo entrati nelle loro scarpe, chi le aveva ancora le scarpe, sbrindellate, sfondate, divorate dai chilometri percorsi, in tanti le avevano perse lungo il tragitto... Io sono diventata un orecchio, Luigi un occhio». E dalle parole dei profughi raccolte da Biagiarelli, dai loro visi riflessi nell’obbiettivo di Ottani, è nato questo libro, che è, al tempo stesso, testimonianza forte, documento e denuncia della cecità dell’Europa. Scrive Rumiz, nel saggio introduttivo: «La chiusura di fronte ai nuovi venuti può mandare in pezzi l’Europa assai più in fretta della spinta migratoria e di un’aggressione militare dall’esterno. Ma una parte di colpa in questa ostilità di fondo - destinata a crescere - sta nella mancanza di ascolto da parte della politica».


Il mondo è di chi cammina, avverte Rumiz. E l’esodo non si arresterà. L’Europa, al contrario, è stritolata in un paradosso. «Manifesta non la paura dell’Isis, ma delle sue vittime. Non sente i pericoli reali, ma le paranoie. Fa il gioco - conclude - di tagliagole che crede lontani, mentre sono prossimi a sbarcare a Marsiglia o in piazza San Marco».

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