sabato 24 settembre 2016

 IL LIBRO

Delphine de Vigan prigioniera di una stalker



Delphine de Vigan

 Una scrittrice travolta (ed esaurita, tramortita, prosciugata) dal successo planetario del libro in cui ha messo a nudo se stessa e la sua famiglia, raccontando il suicidio della madre. Che cosa scriverà ora? I lettori e l’editore incalzano, con pressioni e domande frequenti, perchè già un po’ di tempo è passato: dopo un disvelamento così definitivo, così intimo e personale - che la famiglia d’origine naturalmente non le ha perdonato - sta lavorando a un nuovo romanzo? E di che parla?

In questo momento di fragilità, quando la pagina bianca sembra un muro invalicabile, le parole e le idee latitano e la svogliatezza ha il sopravvento, ecco che nella vita di Delphine entra una persona, una sconosciuta brillante e sicura di sè: L. Un incontro casuale a una festa, l’affinità che scatta immediata sul riconoscimento di gusti comuni e la donna diventa una presenza quotidiana e imprescindibile nella vita di Delphine


Sembra sapere tutto di lei, anticipare i suoi bisogni, spianare i problemi, organizzarle la giornata, fino a pungolarla nella scrittura, spingendola ad andare oltre nel rivelare di sè, perchè è quello - le dice, la convince - che il suo pubblico pretende.
L. è precisa, metodica, implacabile, laddove Delphine, nervosa ed esaurita, un compagno impegnato e i figli che stanno partendo per l’università, ha solo bisogno di ascolto. Basta una prima debolezza e nasce la dipendenza. Da un bicchiere di vino condiviso sul divano, da una fragilità esposta, si passa al controllo delle mail. Una metastasi  - almeno all'inizio asintomatica - dilaga nella sua vita.



È un lucido e inesorabile viaggio dentro uno “stalkeraggio” che diventa, giorno dopo giorno, un’impalpabile prigionia, non una tela di ragno ma il tocco vischioso di una medusa, quello che Delphine De Vigan racconta nel suo nuovo libro “Da una storia vera” (Mondadori, pagg 302, euro 19,00). La protagonista si chiama Delphine, ma l’autobiografia non è dichiarata, perchè l’autrice sollecita il lettore a interrogarsi di continuo sul confine fluido e ingannevole tra verità e invenzione.


 Poco importa, però, che sia proprio de Vigan l’ostaggio volontario di L., perchè il processo di sovrapposizione delle due figure si completa man mano che l’accerchiamento dell’intrusa si fa più stringente: l’amica diventa segretaria, confidente, badante, infermiera, carceriera, in un processo sottile e crudele, che si spinge fino alla sostituzione di persona. Quanto più Delphine è depressa, frastornata, incapace di reagire, tanto più L. è decisa e impositiva.

La salvezza arriverà dalla scrittura, che non è però quella che L. ha imposto alla sua vittima. Davanti alla scoperta di essere lei l’oggetto di una nuova storia, non può che scattare la vendetta: dopo l’eliminazione identitaria e sociale di Delphine, anche quella fisica.

Ma ormai il gioco è ad armi pari: una delle due non ha altra scelta che sparire. Cancellando ogni traccia di sè, fuorchè un manoscritto che perpetua il dubbio. La crudeltà più sublime, nascosta nel cassetto di un editore.
twitter@boria_a

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