martedì 4 novembre 2008

MODA & MODI: recession chic

L'aver buttato all'aria 125 mila dollari, tra Neiman Marcus e Saks, per rinfrescare il guardaroba, ha fatto crollare le quotazioni di Sarah Palin, aspirante vicepresidente degli Stati Uniti. Nell'America annichilita dall'altalena delle borse, le ragazze spendaccione di «Sex and The City» sono mestamente over e anche le più incallite «fashioniste» si stanno riposizionando. Parola d'ordine: sottrarre. O adottare le versioni cheap di abiti e borse che scopiazzano le firme, la cosiddetta fast fashion di Zara ed H&M. Quelle paginette comparative adottate per prime sui magazine femminili americani che, facendoti sentire una perfetta cretina, ti dimostravano come potevi aver un'immagine del tutto simile a quella di Gucci-Dolce&Gabbana-Cavalli-Prada-Armani spendendo appena una terzo, non sono più trattate con sufficienza anche sulle bibbie modaiole italiane, sempre un po' snob. Millequattrocento euro per il tubino di pizzo, quintessenza della stagione? Ne bastano poco più di cento per avere lo stesso glamour, vedere da Banana Republic. E pazienza se i numeri dell'abito sono da collegio e le taglie vanno fino alla cinquanta, sarà l'accessorio a fare la differenza.
Benvenuto «recession chic», glamour ai tempi della crisi economica. Che, in rete, è già diventato il frequentatissimo blog di Mary Hall, marketing manager californiana riconvertita all'austerity, che condivide con noi il suo diario quotidiano su dove e cosa tagliare. Gli esperti di marketing più scafati hanno già fiutato l'affare. Bourjois, per esempio, una linea di makeup francese non particolarmente cara, lancia il mascara e il gloss più a buon mercato come «the Recessionista Collection». E perfino a Manhattan, dove Carrie e le sue amiche erano disposte a mentire e tradire pur di scavalcare la lista d'attesa per la borsa «Birkin» di Hermès, c'è un salone che manda in giro e-mail promuovendo la «Recessionista beauty», ovvero sconti sul taglio di capelli e la depilazione delle sopracciglie. Lo slogan è «be smart and thrifty», sii elegante e risparmiosa, rispolverato direttamente da un catalogo del 1930, in piena grande depressione.
Sottrazione, dunque. «Keep the lightness, but cut the sweetness»: mantieni la leggerezza, ma taglia la dolcezza, dice Suzy Menkes, guru delle giornaliste di moda, sulle colonne dell'«Herald Tribune». Via fiori, fiocchi, volants. Via quelle orribili marche esibite, quelle riconoscibilissime iniziali, quei loghi disseminati dappertutto, perfino sulla punta delle scarpe. Trionfa la linearità: il maxicardigan che fa da microabito, il tubino senza un bottone nè una cucitura di troppo, la tunica che non vuole neppure una cintura, il cappottino corto e sobrio. Dilagano i colori poco gridati: il grigio, il beige, il bianco, l'armaniano «greige». Lo chic «recessionista» fa tornare le donne d'affari a un'austera sartorialità, ammoniva già mesi fa Lisa Armstrong sul «Times» di Londra. Sarà per questo che va per la maggiore la defilata griffe Akris, maison svizzera che fa cappotti, maglie e pantaloni grigi, per niente trendy. Piace a Condoleezza Rice, al passo con la recessione molto più della Palin...
@boria_a
Akris, autunno-inverno 2007-2008


Nessun commento:

Posta un commento