martedì 22 aprile 2014

L'INTERVISTA

Irene Cao, la Trilogia mi ha aiutato a trovare l'amore

 
Irene Cao fotografata da Al Bruni

 

Ore 18.42, domenica. Ancora una volta, come un anno fa, Irene Cao, la scrittrice erotica diventata un caso letterario con la trilogia "Io ti guardo-Io ti sento-Io ti voglio", ha annotato l'ora della parola "fine" sul nuovo libro, in uscita a giugno 2014 per Rizzoli. Adesso la aspettano cinquanta giorni di quarantena, nei quali deve concludere il secondo volume, atteso in libreria a luglio e prosecuzione della stessa storia. Non ce ne sarà un terzo, questa volta è solo "duologia", fatalmente hard.




Ma dai suoi primi personaggi, Leonardo ed Elena, chef e restauratrice dagli amplessi bollenti tra Venezia e Stromboli Irene non può congedarsi. Dopo le trecentomila copie cartacee e le quarantamila digitali, a giorni la Trilogia uscirà in edizione Bur, in contemporanea alla traduzione in russo e alla vigilia di quella in tedesco. Ha già conquistato i mercati di Spagna, America Latina, Olanda, Turchia, Francia, dove al Salon du livre, il 21 marzo 2014, la giovane scrittrice di Caneva ha avuto il trattamento grandi firme. «In Francia - racconta - il primo dei tre libri è uscito il 2 gennaio. 

Hanno fatto una grande campagna nei metrò, con manifesti giganteschi. Incredibile: alcuni lettori che erano lì per Capodanno mi hanno "scoperta" a Parigi e mi hanno mandato le foto dei poster». Il successo se lo gode, Irene Cao, ma sui romanzi in cantiere non si sbilancia, blindatissima dalla Rizzoli che punta al bis. Niente titoli: solo, per restare in tema, qualche rapido "preliminare".

Sarà la storia di... «Linda, un'interior designer che si occupa di dimore di lusso. Il primo libro è ambientato in Veneto, sullo sfondo delle ville palladiane. Lo spunto della storia sono i sette peccati capitali, un espediente per definire il carattere della protagonista. Accanto a lei si muovono due uomini, Tommaso, e il fotoreporter Alessandro. Due "lui" e l'interrogativo su chi vincerà... Ma ci saranno bei colpi di scena».


Ancora un triangolo? «No, tutt'altra storia, più matura. Linda è sempre una trentenne, ma mentre Elena della Trilogia era una ragazza acerba, qui ci troviamo davanti una donna tosta, di maggior spessore. Diciamo che volevo mettermi alla prova con un personaggio diverso. E ho scelto di raccontare in terza persona, per scavare nelle varie psicologie. Elena parlava in prima persona, ero io a inseguire il suo mondo. In questo libro la vicenda si complica e confesso di aver fatto molta fatica a cambiare stile: in fondo mi sono messa a scriverla appena tre mesi dopo la Trilogia».

Arte ed erotismo bollente? «Dall'arte non riesco a prescindere, è la mia passione, un terreno che conosco. La cifra erotica rimane, ma cambia la dimensione. Non sto dicendo che sono passata dal realismo al sadomaso e agli effetti speciali, ma che racconto il sesso di personaggi più forti e più maturi. La storia resta completamente mia, la sento di pancia».

Il suo chef ha anticipato il Cracco sulla copertina di Vanity Fair. E i nuovi personaggi? «Per niente televisivi, ma sono convinta di aver fatto la scelta giusta. E comunque mi sono ispirata a La Mantia, non a Cracco».


Lo chef Filippo La Mantia


Dopo la Trilogia, un'altra storia distribuita su due libri. Esigenze editoriali o sue? «È chiaro che agli editori i due libri non dispiacciono. Ma anche le mie lettrici si sono affezionate al format. Credo che si crei una specie di aspettativa, che è parte del piacere della lettura. Per me si tratta di una sfida, prima tripla, quest'anno doppia, con due libri in uscita molto ravvicinati tra loro. E oggi la difficoltà di concentrazione è maggiore. Un anno fa nessuno mi conosceva, adesso non posso far finta che non sia successo niente. Ci sono delle aspettive su di me da parte del pubblico, c'è più pressione, senza contare che sto andando all'estero a presentare la Trilogia, mi intervistano sulla prima storia, mentre sono immersa nella seconda. È come se vivessi i due libri assieme».

Com'è andato questo anno da "L.E. James" italiana, da autrice delle Sfumature nostrane? «Sono contenta che molti lettori abbiano scoperto proprio questo: che non ero la risposta italiana alla James. Avevo paura che l'etichetta giocasse a mio sfavore. In effetti qualcuno mi ha detto che non voleva leggermi perchè aveva paura di trovarsi davanti alla stessa cosa e poi, per fortuna, di non riuscire a staccarsi dal libro.... Non intendo criticare la James, affatto. Con i suoi limiti narrativi, ha avuto il merito di far nascere un filone. Ma io volevo scrivere un racconto mio e sono molto soddisfatta che l'italianità della storia sia stata apprezzata. All'estero mi dicono che hanno voglia di venire a farsi un tour sulle tracce di Elena... Per il resto, faccio le stesse cose di prima, con meno tempo, perchè cerco di rispondere a tutti, di tenere un dialogo con i lettori. Scriverò finchè avrò qualcosa da dire, ma dopo questi libri mi prenderò un anno sabbatico. Per metabolizzare le storie ci vuole tempo».

Qual è l'apprezzamento che le ha fatto più piacere? «Quello di chi ha colto altri messaggi oltre a quello erotico, per esempio la volontà di intrecciare la "chick lit", la nuova letteratura d'amore femminile, con un po' di cultura, di arte italiana».

E che l'ha irritata? «Lo snobismo di alcuni colleghi scrittori, che magari non mi hanno neanche letto. L'invidia mi è incomprensibile, anche se ce la metto nel secondo nuovo libro, come peccato capitale. È impossibile arrivare a tutti i lettori, quindi bisogna saper con intelligenza svincolarsi dai piccoli mondi letterari e cercare di dialogare. Personalmente non mi preoccupo delle classifiche di vendita. Gli editor mi chiamavano la domenica ed erano sconvolti che non sapessi in che posizione ero... Non ho l'ansia di altri. So che qualcuno ha scritto cose più profonde e più alte delle mie e non ci è entrato, forse perchè non ha saputo intercettare il "sentire" del momento... Comunque non vivo le critiche con troppo dispiacere. Chi le fa di professione, poi, liberissimo di distruggere, ma se non va sul personale è meglio».

I suoi genitori, alla fine, l'hanno letta la Trilogia? «Ancora non lo so. Le amiche fermano mia mamma al supermercato, si complimentano con lei, e dai suoi commenti capisco che qualcosa ha letto, forse di nascosto. Mio papà non si sbilancia. Va in giro a elogiarmi, ma a me non dice molto. Meno male che mi fa ridere. Sdrammatizza tutto. I miei sono felici del successo e insieme preoccupati perchè mi vedono stressata. È successo tutto in fretta e non è facile da gestire, meno male che siamo una famiglia unita e io in questo credo molto».

Scrive ancora nella casa di suo fratello? «No, la casa della Trilogia l'ha venduta... Adesso vivo in un eremo, al pianoterra di una vecchia casa che sto cercando di restaurare. Il Friuli mi offre un rifugio meraviglioso, le fondamenta per non perdermi. Quando smetto di lavorare, me ne vado in collina, ricarico le batterie. Questa terra è la mia energia, gliene sono grata e la porterò nel cuore, dovunque mi capiterà di andare».

Si sente una scrittrice o una prof mancata? «Nessuna delle due. Sono esperienze che ho fatto e che si vanno ad assommare alle altre. Non mi piace identificarmi in un ruolo, ne diventi schiavo e vivi ancorato a questa schiavitù. Domani, chissà, sarò qualcos'altro».

Progetti? «Mi piacerebbe lavorare per il cinema, seguire le tappe di un film come aiuto regista, magari in un film coprodotto con la Francia. Non ho ricevuto ancora proposte per portare la Trilogia sullo schermo, nonostante tutti siano molto entusiasti all'idea. Non è un'operazione facile, personalmente punterei sui sentimenti, altrimenti diventa un film porno. E sulla bellezza dei luoghi italiani. Sorrentino mi ha dato uno spunto per quello che sto scrivendo ora, in termini di ambientazione, di inquadratura delle scene».

E lei, Irene, ha trovato l'amore? «Sì, sono innamorata. Non so se sarà per la vita, però è vero che, rispetto a un anno fa, il cuore è in un'altra dimensione. Senza la Trilogia, non avrei potuto fare certi incontri».
@boria_a

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