sabato 15 luglio 2006

E' ITS FIVE A TRIESTE
L'inglese Aitor Throup vince il fashion contest nel Salone degli Incanti, riaperta ex Pescheria


 A «battezzare» l'ex Pescheria è arrivato anche Maurizio Cattelan, il più quotato mostro dell'arte contemporanea. Quale migliore provocazione per il rinato spazio che aspira a diventare galleria? Confuso tra gli ospiti (come all'inaugurazione di giovedì notte, quando si è trovato a respingere, con un po' di sufficienza, l'entusiasmo di una fan triestina a caccia di autografi...), Cattelan scortava la compagna, «Very» Victoria Cabello, da sempre «voce» della sfilata finale di ITS, quest'anno Five.
Un po' di Milano, New York, Londra nel rinnovato Salone degli Incanti. Stessa atmosfera rutilante, ma l'incanto - questo sì, autentica ed esclusiva meraviglia - di una passerella a ridosso del golfo, che fa esclamare a Cathy Horyn, critico di moda del New York Times, una delle giornaliste specializzate più ascoltate del mondo: «Città meravigliosa, con un'aria che ha il sapore dell'Est Europa, città isolata, così diversa dall'Italia da cartolina. Mi piacerebbe tornarci». In prima fila c'è Renzo Rosso, il tycoon del jeans internazionale, che, un po' a malincuore (quasi tirato per la giacchetta dall'organizzatrice di ITS, Barbara Franchin), continua a scegliere Trieste (e a sganciare una cifra da capogiro) per uno dei concorsi di moda giovane più famosi del mondo.


Trieste è isolata, appunto. Fascino e maledizione. E ospiti, giornalisti, buyer, che per l'appuntamento di ITS arrivano da mezzo mondo, sono abituati ad aeroporti internazionali e, bontà loro, detestano i troppi scali. Accanto a Rosso, lo scanzonatoWilbert Das, direttore creativo di Diesel, che i ventidue concorrenti in passerella, e soprattutto i loro abiti, i loro disegni, i loro pensieri, li ha già da tempo scannerizzati, e ha scelto i migliori per portarli a Molvena, quartier generale dell'imperatore del casual.


 L'ex Pescheria di Trieste e la mini "limo" per gli invitati
Sara Marini, unica italiana in gara con le sue borse e i suoi stivali, «rugosi» di pieghe come mastini napoletani, è successo così: prima volta a ITS, finalista negli accessori, e un contratto di lavoro per disegnare le scarpe del futuro firmate Diesel. Trieste, per lei, originaria di Urbino, è tutto fuorchè isolata, è stata un trampolino su un mondo, affascinante ma esclusivissimo, al quale pochi accedono così in fretta.
Ieri notte, debutto su una passerella «internazionale» per le collezioni di ventidue aspiranti stilisti. A «osservarle», per la prima volta, è sbarcata a Trieste ancheFranca Sozzani, direttrice di Vogue Italia. Sulle gradinate grigie ci sono altri «cacciatori di teste» di celebri case di moda, Furla, Ferragamo, Max Mara, in giuria i direttori degli uffici stile di Margiela e Galliano, oltre a Raf Simons, lo stilista che firma Jil Sander, guru della moda maschile.
Sembra incredibile, ma qui, a Trieste, in una vecchia pescheria ascesa a «contenitore culturale», questi selezionatori di griffe vengono a pescare i talenti che daranno ossigeno alle loro linee nel prossimo futuro, che re-inventeranno il pret-à-porter, gli accessori, le linee giovani.
Cathy Horyn del New York Times alla sfilata in Pescheria a Trieste 
Ossigeno, appunto. Per una sera, anche se in uno spazio limitato, per pochi invitati (e interessati), Trieste ha respirato una boccata di ossigeno internazionale, al ritmo martellante della musica dei dj di Electrosacher, che hanno accompagnato le uscite di questi «abiti» (o costumi? o costruzioni? o incubi?). Chissà se l'idea è piaciuta agli assessori comunali Maurizio Bucci e Michele Lobianco, al consigliere forzista (e blandamente modaiolo) Paolo Rovis, al vice sindaco Paris Lippi, arrivati a sostituire l'assente Dipiazza, e soprattutto al nuovo assessore alla cultura, Massimo Greco, al quale, con i suoi consulenti, spetterà l'ingrato compito di disegnare l'agenda della Pescheria e impedire che diventi un guscio vuoto, o mal riempito. E alla presidente della Provincia, Maria Teresa Bassa Poropat, che dopo le uscite ufficiali nei «templi» della cultura triestina più paludata, ha fatto il suo primo bagno, trascinante, tra i giovani designer di tutto il mondo. Spetterà anche a loro, agli  amministratori pubblici, ciascuno per la sua piccola parte - che non significa solo contributi economici, ma agevolazioni burocratiche, supporti logistici, iniziative collaterali e «mirate» - decidere se Renzo Rosso e gli altri sponsor continueranno a spingersi all'estremo nordest d'Italia, fuori da qualsiasi latitudine della moda, per scovare talenti e lasciare un bel po' di soldi alle strutture ricettive della città. Chissà.
Ma per i ventidue stilisti in gara, ieri notte, è stata soprattutto una grande occasione di mostrare e mostrarsi.

Il vincitore di ITS Five, l'inglese Aitor Throup
Per l'inglese Aitor Throup, vincitore del premio più importante, che immagina hoolingan «pentiti», nascosti sotto giacche lunghe i cui cappucci si sollevano per regalare loro un'altra natura, quella di divinità indù. O per il giapponese Mikio Sakabe, premio speciale per la creatività, che disegna completi double-face ispirati ai paesaggi metropolitani, da una parte grigio ferro, dall'altra una festa di colori pastello, e dipinge lui stesso le stoffe... O per il francese Matthieu Blazy, che a Parigi avrà la vetrina di una boutique di grido, quella di Maria Luisa Poumaillou, dove mettere in mostra il suo incredibile soprabito nero e bianco, dai decori che richiamano sezioni di minerali, e dal taglio così perfetto da ricordare Balenciaga...
Matthieu Blazy sfila dopo la vittoria con il suo modello di punta a ITS Five Trieste
Tante le collezioni maschili, forse più interessanti di quelle da donna, spesso un po' spente. Hanno aperto i bikers fasciati di pelle dello svedese Daniel Ivarsson, premio Diesel, ha chiuso il bellissimo e crudelissimo marchese De Sade immaginato dal vincitore dell'anno scorso, il danese Marcus Lereng Wilmont, che ha investito i ventimila euro ottenuti l'anno scorso a Trieste in questa imponente e difficile collezione, ma che già vende nei negozi, con la sua etichetta...
Si dice spesso, riempiendosi la bocca, che Trieste è un'opportunità. Per tanti giovani, che di Trieste avevano forse una vaga idea geografica, lo è stata. Loro ci hanno creduto. Adesso tocca ad altri, soprattutto alla città.

 @boria_a

martedì 11 luglio 2006

MODA & MODI: mai dopo i vent'anni

Mary Quant nel 1967 con le sue modelle (Getty Images)

La frase della settimana la firma l'onorevole Dorina Bianchi della Margherita che, di certo sottraendo energie mentali ad altre più commendoli faccende governative, si è presa la briga di chiosare la dichiarazione rilasciata da Valentino a «Repubblica». Come prima di lui Stefano Pilati, direttore creativo di Yves Saint Laurent (che, prendendola alla larga, ha consigliato alle signore «rivestitevi»), Valentino punta il dito sulla minigonna, con inusitata intransigenza. «Mai dopo i vent'anni - dichiara - perchè dopo comincia la rovina e la donna diventa patetica».
L'onorevole Bianchi, infastidita dal rilievo, scomoda addirittura l'anniversario dei sessant'anni del voto alle donne, le conquiste femminili in campo professionale e culturale, per rispondere allo stilista, di recente insignito in Francia della Legion d'onore, che in materia di abbigliamento femminile l'ultima parola dovrebbe spettare alle donne. E insiste: «Quando si parla di seduzione, chi meglio di noi la conosce?».
Seduzione e gambe scoperte? Singolare che, dopo aver accampato i temi dell'emancipazione, si finisca per cadere in un abbinamento così trito e superato. Certo, si può discutere sulla grande imputata del momento, la mini, solo in parte responsabile degli orrori estivi. Ma il messaggio sotteso di Valentino è incontestabile: attenzione, i freni inibitori sono caduti. Pericolosamente. Il porto franco del gusto è una trappola per chi non ha sufficiente autostima da prendere la moda con leggerenza, senza farsi stritolare. La moda non è democratica, purtroppo. E' tirannica, selettiva, classista, infingarda.
Mini bandita dopo i vent'anni? Un estremismo più che mai salutare per l'ombelico-generation, che abbraccia figlie e mamme ugualmente pimpanti e smemorate dell'età (e, nel caso delle seconde, soprattutto dei suoi cedimenti).
Perchè castigarsi in una minigonna a una prima teatrale, quando si arriva al metro e sessanta, si hanno gambe color yogurt e un filo di pancetta? Perchè indossare al mare, a vent'anni e poco più, un orripilante slippino che recita: «se mira ma no se toca?» (esiste esiste, avvistato a Grignano).  Perchè, con vent'anni di consapevolezza in più, umiliarsi in un tanga che si fa strada tra strati di cellulite? Perchè ostinarsi ai bermuda implacabili su ginocchia e polpacci, al bianco-radiografia, all'intimo esposto, al vedo tutto, sempre, a ogni età e in qualsiasi ora?
Qui le conquiste delle donne c'entrano poco. Per dirla con la scrittrice Erica Jong, che fu la prima a liberare letterariamente le fantasie sessuali delle donne, è questione di «salvarsi la vita». E se non ci si riesce da sole, ben venga anche un uomo a ricordarlo.
@boria_a