domenica 9 marzo 2014

IL LIBRO

Michel Pastoureau: diabolico verde che ammazzò Napoleone

"Ritratto dei coniugi Arnolfini" di Jan van Eyck (1434)
I greci, letteralmente, non lo vedevano. Nemmeno un sommo poeta come Omero. Per loro era una sfumatura pallida, debole e poco significativa, che finiva con lo smarrirsi in altre tinte. Bisognerà aspettare l'epoca ellenistica perchè il verde trovi posto nella lingua di Pericle, e su influenza del latino: viene definito "prasinós", color del "porro", senza andare troppo per il sottile con le nuance.
Già in questi esordi linguistici indecisi, sta scritto il destino di un colore che sarà a lungo ambiguo e ambivalente. Verde simbolo di speranza, fortuna, natura e libertà, ma anche di veleno, denaro, tavolo da gioco, addirittura del diavolo e del suo codazzo poco raccomandabile. Giudizi contrastanti, che dall'antichità arrivano fino ai giorni nostri, frutto delle trasformazioni culturali della società in cui si sviluppano, e che ci permettono di attraversare arte, scienza, medicina, in un viaggio affascinante nei mutamenti sociali e dei costumi dell'Occidente.
A guidarci nel percorso è Michel Pastoureau, storico francese docente alla Sorbona, che per Ponte alle Grazie ha scritto il terzo capitolo della sua personalissima "palette" (pagg. 240, euro 29,80): dopo il blu e il nero, ecco "Verde. Storia di un colore". Che i latini, al contrario dei greci, non avevano problemi a definire con il termine "viridis", da cui deriva "verde" in tutte le lingue romanze, forse perchè popolo rurale più abituato a osservare l'ambiente circostante. Come i Germani, i latini sapevano tingere e dipingere il verde, ma a lungo lo considerarono un colore "barbaro", tant'è che così vestivano a teatro Germano, personaggio insolito e comico. Le difficoltà tecniche a fissare il colore, tuttavia, lo limitavano all'abbigliamento femminile, più fornito e variato, anche quando, nei primi secoli dell'era cristiana, divenne tinta alla moda, da indossare nella vita quotidiana e nelle occasioni più effimere, dove un tocco di eccentricità non era fuori luogo.

"Ritratto dei coniugi Arnolfini" di Jan van Eyck (1434)

Sarà per colpa dell'instabilità chimica, che lo fa "impallidire", ma il verde nel corso dei secoli è associato a tutto ciò che è mutevole, effimero e volubile, come l'infanzia, l'amore, la speranza, la fortuna, il caso. Nella Roma del Basso impero i neonati si avvolgevano nel verde per augurare loro buona sorte, nel Medioevo sceglievano questo colore le ragazze in cerca di marito, e poi, una volta accasate, lo indossavano nell'attesa del lieto evento. Lo splendido "Ritratto dei coniugi Arnolfini" di Jan van Eyck (1434-1435), uno dei più famosi di tutta la storia della pittura, conservato alla National Gallery di Londra, mostra una donna incinta vestita di un sontuoso abito smeraldo, attributo del suo stato.
Nel Medioevo le connotazioni del verde si moltiplicano, ma la sua "instabilità" lo lega inesorabilmente a menzogna, perfidia e ipocrisia: se l'eroe cavalleresco più famoso, Tristano, incarnazione dell'amore, della magia e del destino, è il testimonial vincente del verde, decisamente sinistro è il suo utilizzo da parte del diavolo e del bestiario di demoni, stregoni e draghi che appare nelle miniature e in tante vetrate gotiche.


 
James Franco è Tristano nel film di Kevin Reynold con Sophia Myles


Verdi, e viscide, sono le creature temibili dell'acqua, draghi, coccodrilli, sirene, vipere, e sono rappresentate in vesti verdi le streghe, della stessa sfumatura dei loro occhi, simbolo di una natura astuta, falsa e dissoluta.
Nel tardo Medioevo e poi nell'età Moderna, verde è il colore dei tappeti e dei banchi dove si sistema e si conta il denaro. Ben prima del 1861, quando fa la sua comparsa il dollaro americano, il verde è sinonimo di soldi: di questa tinta è il berretto imposto ai debitori morosi, a banchieri e mercanti che hanno fatto bancarotta fraudolenta. A partire dal XVI secolo, a Venezia, i tavoli da gioco si rivestono di un tappeto verde, che simboleggia caso e sfida, mentre nel secolo successivo, in Francia, si chiamerà "langue verte" il gergo aspro e immaginifico dei giocatori di carte.
Sarà il Romanticismo il momento della riabilitazione all'insegna del "green". Un'onda lunga che arriva fino ai giorni nostri e che, ribaltando credenze consolidate nei secoli, attribuisce al verde virtù rigeneranti e salutistiche, a volte addirittura salvifiche. Non è più solo la tinta della natura, della speranza e della libertà, ma anche quella del benessere e del tempo libero, dei piaceri della vita e del senso civico. Essere verde significa essere "eco", sostenibile, rispettoso dell'ambiente e in armonia con esso.
Fu Goethe, per primo, nella sua "Teoria dei colori", a considerare la tinta verde "rasserenante" e a raccomandarne l'impiego nei locali destinati al riposo e al convivio. Napoleone ne andava pazzo, anche se forse fu proprio il "verde di Schweinfurt", la pittura messa a punto da una ditta tedesca nel 1814 con trucioli di rame dissolti nell'arsenico, e con cui erano dipinte molte stanze della sua residenza dell'esilio, Longwood House, a causarne la morte a Sant'Elena. La prima fashionista a sdoganare il verde fu invece l'imperatrice Eugenia, impazzita per la nuova nuance densa e luminosa, inventata da tintori di Lione con chimici tedeschi: il verde all'aldeide. La consorte di Napoleone III lo indossava a balli, teatro e opera, spruzzandosi una polvere d'oro sui capelli per enfatizzare i riflessi di seta smeraldo.

twitter@boria_a
Jane Fonda fotografata da Horst per Vogue (1959)

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