lunedì 4 marzo 2024

MODA & MODI

 Saint Laurent, metto un collant per vestito

 

 


 

Le calze di nylon diventano abiti, top, camicie col fiocco. Quel color brodo da sempre divisivo si declina in diverse sfumature del carne, si nobilita in caramello, ocra, oliva, si estende al blu, cioccolato, nero e avvolge il corpo lasciandolo completamente nudo, esposto. È la collezione Saint Laurent disegnata da Anthony Vaccarello e presentata nei giorni scorsi a Parigi. Lycra unico tessuto per pezzi fragilissimi, a forte rischio dissoluzione, che si incollano sui busti esangui delle modelle e non nascondono nulla. Lo scandalo di un tessuto comune, che tutti hanno nel cassetto, trasformato in consistenza da indossare a qualsiasi ora, elevato a involucro d’alta moda per pezzi mai uguali, che una distrazione può smagliare. Volevo emozionarmi, superare il concetto di stagionalità della moda, vedere fino a che punto la nudità può ancora scioccare, ha detto lo stilista. E il pensiero corre alla collezione Liberation che Yves Saint Laurent creò nel ’71, dirompente con le sue donne dal trucco pesante, alzate sui plateau, in corte pelliccette colorate, abiti dalle scollature profonde e giacche con spalle squadrate, che evocava gli anni bui della guerra e faceva a pezzi l’opulenta rinascita del New Look di Dior. Quella di Yves passò alla storia come la collezione dello scandalo, per le implicazioni non per le rivelazioni.

Ma le donne nude di Vaccarello scandalizzano oggi? La prima fila delle passerelle quasi unanimemente plaude, parla di “virago potentissime, velate di desiderio e fierezza”, di “esplosione di trasparenze” che rivelano corpo e lingerie. Siamo al consueto discorso sull’empowerment, la donna “calzata” scopre il suo corpo come affermazione di sé.


Fuori dal coro Vanessa Friedman, critica di moda del New York Times: “basta tette” ha scritto senza giri di parole, basta mercificare corpi femminili che la cronaca ci rimanda quotidianamente come oggetti. E ha snocciolato tutta la sua insofferenza in numeri: su 48 uscite in passerella da Saint Laurent, solo dodici non mostravano seno e culotte e, di queste dodici, tre erano mini abiti con reggicalze incorporato. Armani si è espresso più o meno nello stesso modo, pur riferendosi a Bianca Censori, compagna del rapper Kanye West, entrata pressoché nuda al ristorante di Cracco: basta pazze in mutande in giro per Milano.


Ma torniamo a Vaccarello e alla sua collezione collant. Una ragazza può davvero, come lui sostiene, avvolgersi intorno al seno un paio di calze trasparenti e replicare con quattro soldi un elaborato top di Saint Laurent? Improbabile. Più credibile che il designer abbia giocato a spingere all’estremo la tendenza allo scoprimento e a scardinare i pregiudizi sull’utilizzo dei materiali, elevando la lycra a chiffon. Resta un dubbio. Ogni volta che in passerella sfilano donne seminude, o per le strade celeb di ogni tipo si aggirano in mutande, qualsiasi accenno di perplessità viene rimandato al mittente: il buon gusto e l’opportunità non c’entrano, è la donna a esercitare l’insindacabile diritto a decidere come e quanto mostrare del suo corpo. Eccoci al punto: è davvero la nudità l’unica unità di misura del nostro potere?

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