martedì 28 ottobre 2014

L'INTERVISTA
Cristina Benussi: le donne cambiano il mondo, senza tweet

Passa attraverso le parole e gli scritti di Diotima, Santa Caterina da Siena, Madame de La Fayette, Virginia Woolf, Simone Weil, Hanna Arendt, Simone de Bouvoir, e anche attraverso le opere della triestina Anita Pittoni, il "viaggio nel pensiero femminile" di Cristina Benussi. L'autrice, professore di Letteratura italiana contemporanea all'Università di Trieste, pubblica con le Edizioni Unicopli, "Cambiare il mondo", ovvero l'«altra» storia rispetto a quella ufficiale della nostra civiltà, scritta dalle donne con le loro arti e il loro pensiero, le loro teorie ed elaborazioni concettuali, ma anche attraverso i saperi manuali e i comportamenti. Un viaggio complesso, che arriva fino ai giorni nostri e alla virologa Ilaria Capua, la prima a depositare la sequenza genetica del virus dell'influenza aviaria in un database ad accesso libero. Un cambio di atteggiamento che ha spinto le organizzazioni internazionali a confrontarsi sul tema della trasparenza dei dati e a raccomandarla, rompendo la consuetudine delle disponibilità limitata a pochi. La scelta di una donna ha dunque determinato un cambiamento culturale in un terreno ostico e spesso maschile come la ricerca, ha stimolato un'inversione di rotta che lei stessa ha messo per prima in pratica.
La docente Cristina Benussi
"Per il pensiero femminile non è tanto il filo che conta quanto l'intreccio", diceva Anita Pittoni. È un po' il senso di tutto il libro?
«In un certo senso potrebbe esserlo, se specifichiamo che il punto di vista femminile, quando non sia obbligato a muoversi secondo una logica impropria, ha la capacità di superare il principio di non contraddizione, tipico del pensiero occidentale dominante. Quindi non il filo unico conta, ma quanto intorno a questo filo può essere inglobato, cioè l'intera gamma delle possibilità di conoscere, anche sensoriali, quasi una rete che accoglie necessariamente qualcosa di diverso dal proprio "cogito"».
Citiamo ancora la Pittoni, quando dice che "il senso della dosatura del colore" nelle sue stoffe è lo stesso "senso" che la guida nello scrivere. Che senso è?
«Per la Pittoni, come per molte altre scrittrici, tutti i sensi sono strumenti fondamentali di conoscenza poiché permettono di entrare in contatto con la materia, e sentire tutta la complessità dei legami, empatici ed emotivi, che essa stimola. Così nel depositare il proprio pensiero attraverso la scrittura, le donne tendenzialmente non concettualizzano ciò che vogliono dire, ma seguono il corso del pensiero che vaga, stimolato da accadimenti minimi: il monologo interiore, infatti, l'ha inventato una scrittrice, Dorothy Richardson».
Anita Pittoni nel suo studio (1901-1982)
Lei cita il Premio Nobel Elfriede Jelinek, secondo la quale la donna, quando scrive, non dice "io", ma "noi", non parla della sua identità ma dell'identità di tante. È d'accordo con questa differenza?
«Certo, è nel rapporto con l'altro che si è venuta costituendo l'identità femminile, e dunque il confronto con è sempre costantemente cercato. L'"altro" abita poi la donna, magari anche solo potenzialmente. Così, la situazione narrativa dell'"io" femminile quasi mai giunge al nichilismo in cui incorre l'"io" maschile, proprio perché non è egocentricamente del sé che si parla, ma di una situazione in cui non si è mai sole, bensì legate al destino di altri, dentro un mondo tendenzialmente connesso con i cicli eterni della natura».
Vale ancora questo "noi" in tempi di rete e di blogger, dove si gioca tutto sull'egoistica "individualità"?
«Questo è il punto. Il titolo del mio libro infatti è "Cambiare il mondo. Viaggio nel pensiero femminile": ebbene, se non corriamo ai ripari, anche solo il sospetto che esistano gli altri finirà per scomparire a favore di un ego ipertrofico che non si preoccupa di chi verrà dopo di lui. Simone Weil, Hannah Arendt, Maria Zambrano hanno ribadito con forza che non sulla competitività, valore attuale, ma sul "dare" un nuovo senso alla vita bisognerebbe insistere».
Per la generazione di donne "native digitali" esiste uno scrivere che non sia interattivo?
«Auguro loro di sì, perché la dimensione della riflessione e della meditazione è ancora capace di cercare dentro noi stessi ragioni e valori quali noi pensiamo debbano essere e non quali ci vengono ossessivamente suggeriti: il termine interattivo dovrebbe acquisire un senso non tecnico ma coscienziale, per non lasciarsi prendere da quella che Arend chiamava "la banalità del male"».


Hanna Arendt nel 1969
Si può fare un discorso di "valore"? In pratica, qualcosa resterà dei "post" in rete?
«Se per "valore" si intende un valore estetico non lo escludo, anche se siamo in una fase ancora troppo aurorale per capire quali potranno essere i nuovi parametri valoriali».
Secondo lei, nelle scritture indirizzate alla comunità digitale, si può ancora distinguere tra "maschile" e femminile?
«Non si tratta, ovviamente, di distinguere tra maschi e femmine, perché, come ovvio, molte donne sono state abituate a pensare e a comportarsi come è richiesto in un mondo in cui il potere ha i caratteri maschili (ma c'è anche il caso opposto, ovviamente). Ma se tutti noi riflettessimo su cosa il genere umano rischia di perdere, forse rinunceremmo anche agli sprechi energetici dovuti alle comunità digitali, e, ovviamente, non solo ad esse».
Nell'ultimo capitolo, "Potranno le donne salvare il mondo?", lei cita Sheryl Sandberg, che è diventata amministratore delegato di Facebook. Ma queste grandi società sono le stesse che vedono con favore il fatto che le manager congelino gli ovuli per rimandare la maternità...
«Ha detto bene, per questo bisogna "salvare il mondo"!».
Puntiamo all'uguaglianza o alla differenza?
«Punterei non solo alla differenza, ma a una differenza talmente vantaggiosa da attrarre finalmente anche il pensiero maschile, che è quello dominante, dentro una logica che concepisce l'essere come parte di un tutto da difendere nel suo intero complesso, non da sfruttare a favore del singolo, o di un gruppo ristretto».
Nei 140 caratteri massimi per un tweet, lei come sintetizzerebbe il "pensiero femminile"?
«Il coraggio di non seguire la logica del profitto e del potere ma quella della partecipazione empatica, alla ricerca di un benessere che non è necessariamente materiale».
twitter@boria_a

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