MODA & MODI
Silvio Betterelli, stile d'Umbras
Il designer sardo Silvio Betterelli |
Silvio Betterelli: in passerella i colori della Sardegna |
Dieci anni dopo la vittoria a Mittelmoda Silvio Betterelli è tornato a Gorizia, nei giorni scorsi, per partecipare alla giuria della prossima edizione del concorso per talenti emergenti (che, budget permettendo, si terrà in autunno, con la formula collaudata). Allora, nel 2003, aveva 23 anni, era anche lui un aspirante stilista, con alle spalle un diploma in arte del tessuto ottenuto in Sardegna, nella sua terra, e una specializzazione in corso in Fashion Textile Design alla Nuova accademia di Belle arti-Naba di Milano. Dal Parco delle Rose di Grado, dove si tenne la serata conclusiva di Mittelmoda, ripartì con due premi, quello della Provincia e il "Masters of Linen". E cominciò la sua carriera, che, dopo altri riconoscimenti importanti, collaborazioni con brand internazionali e un perfezionamento all'Università di Plymouth, in Inghilterra, l'ha portato a debuttare con la sua griffe sulle passerelledella moda milanese.
La collezione, primavera-estate 2011, si chiamava "Umbras", "ombre" in sardo, perchè i colori e le tradizioni dell'isola rimangono imprescindibili nella sua moda.
Che cosa ricorda della serata di Mittelmoda?
«È stata un'esperienza grandiosa. Avevo lavorato alla reinterpretazione in chiave contemporanea del costume sardo e ho fatto sfilare anche una maschera dellaSartiglia di Oristano. Non era la mia prima passerella, ma senz'altro è stata la più emozionante».
Non la prima passerella, ma i primi premi. Come hanno influito sull'avvio della sua carriera?
«Credo di poter dire che hanno veramente cambiato il corso degli eventi. Sono stato invitato a presentare la stessa collezione ad Altaroma grazie alla collaborazione tra Mittelmoda e la settimana della couture romana. Da subito ho ricevuto proposte lavorative e da lì è cominciato il mio percorso anche professionale». Di premi ne ha collezionati altri, come il "Who's Next" di Vogue Italia...
«A Vogue sono arrivato cinque anni più tardi, in concomitanza con l'avvio della mia etichetta autoprodotta. Sono stato premiato anche in quell'occasione per le lavorazioni e la ricerca dei materiali innovativi. Il concorso di Vogue mi ha permesso di trovare un produttore e dare grande visibilità al mio marchio».
Adesso queste iniziative si stanno moltiplicando, ogni settimana della moda ha il suo premio per giovani talenti e molti sono sponsorizzati da aziende e riviste. Servono davvero?
«Alcuni assolutamente sì, sono fondamentali per creare contatti, sono veri e propri network. Con alcuni dei professionisti presenti in giuria a Mittelmoda sono tuttora in contatto, alcuni mi hanno aiutato a creare e sviluppare il mio progetto e molti di loro continuano a seguirmi collaborando o semplicemente supportandomi, seguendo ogni mia tappa».
Come tanti stilisti sardi, lei ha un rapporto particolare col tessuto. Sembra scritto nel vostro dna...
«Credo sia legato alla nostra tradizione. I costumi sardi sono molto elaborati nelle costruzioni e nelle decorazioni. E il mio percorso di studi, che ha sempre ruotato intorno al textiles design, ha fatto il resto...».
Insieme alla moda, coltiva arte e design. Come si divide tra questi ambiti, affini ma diversi?
«Il mondo del design mi ha sempre affascinato così come l'arte. Il privilegio di lavorare nella moda è questo: per sviluppare ogni nuovo progetto ci si può permettere di fare ricerche molto trasversali in diversi ambiti. Nel tempo, i contatti e le persone con cui mi sono confrontato facendo ricerca, mi hanno coinvolto nei loro progetti di arte o design, permettendomi di firmare oggetti o esporre pezzi in gallerie e mostre».
Una ricerca di successo, visto che l'anno scorso è arrivato alla Biennale...
«Alla Biennale ho presentato un particolarissimo tappeto drappeggiato, realizzato in collaborazione con "Nodus". Lo stesso è poi stato proposto insieme al lavoro di Studio Job, Fratelli Campana e altri nomi molto noti del design, durante il Salone del mobile di Milano. Quella della Biennale è stata un'esperienza fantastica, si trattava dei padiglioni regionali legati al Padiglione Italia e io ero stato coinvolto per quello della Sardegna. Un modo per lasciare una traccia del mio lavoro anche nella mia terra».
Poi "Re-Edition", progetto che attualizzava capi "icona" di grandi stilisti. A lei è toccato André Laug...
«Era una salopette, in crepon, fotografata negli anni Cinquanta. L'ho scomposta in elementi per poi riassemblarli con delle asimmetrie: una chiave di lettura contemporanea ma senza stravolgere la linea di un capo storico».
Che tipo di donna veste?
«Mi piace mettere in evidenza le silhouette femminili, cercando di sperimentare colori, stampe e lavorazioni. La mia è un'eleganza sofisticata, ma a suo modo discreta. È comunque un'immagine particolare, adatta a una donna che ama acquistare nelle boutique di ricerca e che ha uno sguardo attento a tutto ciò che è non solo abito, inteso come vestire e funzione, ma come design».
Guarda mai i talent di moda, come il Project Runway americano?
«Mi ci sono imbattuto per caso facendo zapping. Devo dire che non mi convincono. Ma io ho molto pudore della mia quotidianità, di tutti i retroscena legati a lavoro e vita privata... Non permetterei a nessuno di riprenderli e farne un programma di intrattenimento».
Che cosa non le piace della moda di oggi?
«Le dinamiche del mercato. Spesso non premiano i più bravi, ma chi riesce a fare il prodottino giusto, facile e soprattutto che costa poco. Non vuole essere una polemica, ma con l'avvento della fast fashion e dei grossi gruppi, le esigenze delle consumatrici sono molto cambiate, tutto deve essere più veloce, facile e di consumo. E questo rischia di mortificare qualità e ricerca. Io comunque non ambisco ai grandi numeri a tutti i costi, sono molto più gratificato dai pochi clienti che seguono il mio lavoro, riconoscendone i contenuti e il valore».
Lei fa abiti ma insegna anche a farli. Che consigli dà ai suoi studenti?
«Fino allo scorso anno ho insegnato progettazione moda all'Università di Venezia, ora tengo un corso sulla stessa materia alla Naba di Milano. Un unico consiglio: crederci e fare il possibile perchè quello a cui si ambisce diventi realtà. Richiede passione e tanto sacrificio. Se non lo si accetta, tanto vale lasciar perdere».
Qual è una donna che la ispira?
«Troppe, in realtà, e di ognuna mi colpisce qualcosa. Non amo avere un nome, mi sembra riduttivo».
Segue i blog di moda?
«Poco, uso il pc solo per lavorare, ma credo sia uno strumento molto interessante e forte, più veloce di tanti altri. Oggi la velocità delle informazioni fa la differenza».
Se potesse buttare giù dalla classica torre tre cose del fashion system...
«I tempi e le scadenze, le persone pasticciate che si vedono per strada e che ai più sembrano "la gente della moda", il compromesso storico "bello-vendibile"».
Elegante è chi...
«Non sa di esserlo».
twitter@boria_a
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