IL LIBRO
Il duce parla ancora dai muri del Friuli
Con un nome così, occuparsi di storia e del Ventennio in particolare,
era pressochè un destino obbligato. Gianni Adolfo Bellinetti,
classe 1942, all'anagrafe è registrato Adolfo Gianni Gianni,
e deve il comunissimo secondo nome (proprio come il gemello
Felicino, in realtà battezzato Benito Felicino), a una lungimirante
prudenza delle donne della famiglia, che colsero nell'aria
i primi sintomi della disfatta del regime e pensarono di
dare ai neonati un secondo nome decisamente meno
compromettente.
Comincia
dunque con una breve digressione personale, la curiosa
avventura di questo docente di lettere di San Giorgio di
Nogaro, appassionato di storia locale, che ha gironzolato
per tutta la regione, letteralmente con il naso all'insù,
alla ricerca di alcune, particolari, testimonianze del fascismo.
Tutto prende le mosse dal caso di Palmanova, dove un paio
di anni fa scoppiò una polemica rovente per il restauro della
scritta «Credere, obbedire, combattere» nel cortile interno
della scuola elementare Dante. Ma quanti di questi celebri
«slogan», su cui il fascismo, soprattutto nella prima fase,
costruì la sua immagine e la sua forza persuasiva, ancora resistono
sulle facciate di edifici pubblici e case private della
regione?
Nasce da questa ricerca «Governare per slogan - Scritte
fasciste sulle strade del Friuli» (pagg. 140, euro 13, Editreg
di Trieste), il volumetto in cui Bellinetti
ha cominciato a raccogliere e documentare
fotograficamente frasi, massime, slogan mussoliniani
ancora, almeno in parte, leggibili.
Quest'operazione ha
un precedente, «I muri del Duce» di Ariberto Segala,
per venticinque anni inviato di Epoca, autore di un'identica
indagine in Piemonte, nel corso della quale ha ritrovato
ben 112 testimonianze seguendo il percorso della visita
fatta da Mussolini in provincia di Vercelli nel maggio 1939.
Bellinetti,
da parte sua, non solo ha catalogato le scritte, ma le ha
anche ricostruite al computer laddove erano rovinate o
illeggibili: un impegno certosino che, dopo l'uscita del
volume, si sta giorno per giorno arricchendo di nuove «scoperte»,
segnalate all'autore dagli stessi lettori. Nel libro,
oltre allo slogan, viene documentata la «fonte», discorsi pronunciati
dal Duce o messaggi indirizzati a particolari categorie
sociali. Il motto pubblico, da immortalare a imperitura
memoria, non nasce in modo fulmineo. All'inizio i discorsi
di Mussolini venivano letti solo nelle sedi del Partito e
delle varie organizzazioni fasciste. In un secondo momento
era la segreteria del Pnf a scegliere le frasi ritenute
più efficaci e a invitare i segretari federali a
esporle nelle sale e nelle bacheche. La «slogan-mania»
esplose nel 1936, quando segretario del partito era
Achille Starace. Fu allora che ogni superficie disponibile
venne tappezzata di parole, sia nei centri urbani che nei
paesi più sperduti, spesso accettate dai privati dietro pagamento
di un contributo in denaro, che variava dalle trenta alle
cento lire.
In Friuli, a dispetto delle trasformazioni urbanistiche
e della distruzione del terremoto del '76, gli slogan
mussoliniani sono ancora tanti e resistono, seppure in condizioni
di conservazione piuttosto precarie. Bellinetti
ha scoperto gustose curiosità, come il caso di Sutrio,
dove si leggono ancora ben quattro scritte, nonostante il
paese carnico sia fuori dalle strade di passaggio,
solitamente preferite per la veicolazione dei messaggi di
maggiore impatto. All'ingresso del piccolo centro
troviano lo slogan «Anche con l'opera quotidiana
minuta ed oscura si fa grande la patria», pronunciata a
Vercelli il 28 settembre '25, dove il Duce era arrivato dopo aver
assistito alle grandi manovre dell'esercito nel Canavese; più
in su, verso il centro, sulla casa Del Moro-Selenati, «Camminare,
costruire e, se necessario, combattere e vincere», frase
pronunciata il 23 ottobre '32 a Torino e definita da
Mussolini
«la parola d'ordine per il nuovo decennio»; ancora in centro,
«Ricordare e prepararsi», del '37, primo anniversario della
fondazione dei Fasci, e, infine, «Coloro che io preferisco sono
quelli che lavorano duro secco sodo in obbedienza e possibilmente
in silenzio».
Originale anche il caso di Clauiano di
Trivignano, via San Marco, dove all'esterno di una casa colonica
si trovano ben due scritte sovrapposte, «Riscattare la terra
e con la terra gli uomini e con gli uomini la razza» e «La vera
fonte la vera origine di tutta l'attività umana è la terra», quest'ultima
inclusa nel Foglio di disposizioni n. 40 di Ettore Muti,
all'epoca segretario nazionale del partito. E i celebri e rari
«crapun» del Duce? Ce ne sono solo due rintracciabili in Friuli,
e, singolarmente, nello stesso paese: Turrida di Sedegliano.
Il
percorso attraverso i reperti propagandistici del fascismo
tocca la Carnia, Udine, San Giorgio di Nogaro, Palmanova,
Santo Stefano Udinese, Porpetto, Palazzolo dello Stella
(«Noi tireremo dritto», dal balcone di piazza Venezia, 8 settembre
1935), Villaorba di Basiliano, Mortegliano, Gagliano,
Cividale,
Clauiano, Castions di Strada, Lucinico («I popoli che non
amano portare le proprie armi finiscono col portare quelle degli
altri»), Pordenone (sulla casa del Mutilato in piazza XX
Settembre)
Cordovado, Monfalcone, con alcuni sconfinamenti nel Veneto.
L'ultimo
capitolo è dedicato a Torviscosa, la città dell'autarchia,
simbolo dell'avveniristica politica industriale dell'Italia
fascista. Qui le scritte sui muri esterni sono abbastanza
rare, sia perchè si era in parte esaurita la spinta propagandistica
del Ventennio, sia perchè la città stessa era una glorificazione
del regime. Le scritte interne sono ricostruite attraverso
le foto fatte nel complesso «il Ristoro», ormai abbandonato:
nella mensa si leggeva «Adoriamo il lavoro che dà la
bellezza e l'armonia alla vita», nel bar «Lavorare per essere liberi
e grandi».
Nessun commento:
Posta un commento