martedì 30 marzo 2004

LA MOSTRA

Vivienne Westwood, la regina che sfidò la regina




 
Vivienne Westwood at the Victoria & Albert Museum



 «La moda è un bambino che ho preso in braccio e non ho mai più lasciato andare». Riesce sempre a spiazzarti Vivienne Westwood, la stilista inglese passata alla storia del costume come la sacerdotessa del movimento punk. Difficile immaginare che questa signora over-sessanta, dagli occhi verdi trasparenti e la pelle diafana sia stata arrestata, circa trent'anni fa, per aver lanciato t-shirt pornografiche, con cow-boy dal pene pronunciato e i nanetti di Biancaneve in versione superdotati. Era il 1974 e al numero 430 di King's Road, nel cuore di Londra, in un negozio chiamato «Sex», Vivienne e il suo compagno di allora, il musicista Malcolm McLaren, si preparavano a lanciare il gruppo dei Sex Pistols, e una rivoluzione epocale contro l'ipocrisia e l'establishment. Abiti di cuoio, cinghie, stracci, magliette di gomma, slogan dirompenti: «determined ugliness», la bruttezza determinata come strumento di libertà, di rottura, di capovolgimento delle regole, e non solo nel vestire.


 
Vivienne Westwood e Malcolm McLaren nel 1970 (Vivienne Westwood Archive)

 
Tre decenni dopo il Victoria & Albert Museum di Londra dedica a VivienneWestwood una grande retrospettiva curata da Claire Wilcox, che aprirà il 1.o aprile e chiuderà l'11 luglio. Oltre 150 abiti dall'archivio personale della stilista e dalle collezioni del museo, per raccontare l'avventura artistica di una delle creatrici di moda più anticonformiste e innovatrici dell'ultimo mezzo secolo.
Dalle trasgressioni di King's Road alla rivoluzione nello stile inglese, con grande uso di stoffe molto british come il tweed e il tartan, dal bondage alla reinterpretazione di corsetti e crinoline, Vivienne Westwood ha saputo combinare, con fiuto, spregiudicatezza e tradizione. E costruire su di sè un personaggio sempre coccolato dai media, capace di far notizia anche quando la vena creativa degli esordi ha lasciato il posto a una più tranquilla citazione del passato.
«Queen Viv», la figlia di due operai tessili del Derbyshire, che deve il suo nome all'attrice Vivienne Leigh e il cognome al primo marito, Derek Westwood, è oggi a capo di un impero di milioni di sterline, ma non ha mai saputo rinunciare a stupire. Consacrata due volte British Designer of the Year, insegna moda a Vienna e i suoi abiti sono esposti nei musei di tutto il mondo e battuti all'asta da Sotheby's a cifre da capogiro. Ma quando la regina Elisabetta la invita a Buckingham Palace, nel '92, per conferirle l'onorificenza dell'Order of British Empire, «Viv» non può fare a meno di piroettare davanti ai fotografi, svelando al mondo che non porta biancheria intima.
«Mamma ha l'innocenza di un bambino. Non avrebbe mai pensato che quegli scatti venissero pubblicati», confessa il figlio Ben nella monumentale biografia dedicata alla stilista da Jane Mulvagh. «Attention-seeker», smania da riflettori, commenta più prosaicamente Gene Krell, giornalista e direttore artistico di Vogue.
Il negozio, aperto da Vivienne e Malcolm a King's Road nel 1970, cambia vari nomi, assecondando le provocazioni dei suoi ideatori: l'originario «Let it rock» diventa, due anni dopo, «Too fast to live, too young to die», quando «Viv» lancia la prima collezione dedicata ai Rockers che conquista Ringo Starr. Nel '74, con il boom dei Sex Pistols - proprio in questi giorni incoronati dal mensile musicale britannico Q come il gruppo che più di tutti ha inciso su gusti e costumi e trasformato il mondo, più dei Beatles e dei Nirvana - l'insegna diventa «Seditionaries», fusione di sedizione e seduzione. A servire i clienti, i punk che suonano al Roxy di Londra, ma anche voyeurs e prostitute, c'è un'incredibile commessa, Jordan, sigillata in abiti di pelle, con gli occhi bistrati e una pettinatura-alveare da fare invidia a Marge Simpson. Nel suo viaggio giornaliero dal Sussex, le ferrovie britanniche le riservano uno scompartimento in prima classe, per paura che qualcuno le salti addosso.


 
Vivienne Westwood a "Let it rock" nel 1971 (Vivienne Westwood Archive)



Jordan nel 1976 nel negozio "Sex" (foto Sheila Rock)
 
 

 L'apice della sovversione, «Viv» e Malcolm, la «coppia maledetta», lo toccano nel '77, quando, per i 25 anni sul trono di Elisabetta II, i Sex Pistol incidono «God Save the Queen», gratificando la sovrana dell'aggettivo «moron», deficiente. Il brano scala le vette della hit parade e diventa l'inno del movimento punk, ormai internazionale.
Negli anni Ottanta, mentre il fenomeno si va esaurendo, Vivienne Westwood comincia per la prima volta a pensare a se stessa come a una stilista e sente il bisogno di uscire da quello che avverte ormai come un tunnel. «Fa qualcosa di romantico. Ispirati alla storia» le suggerisce Malcolm. Nasce così una collezione che farà epoca, «Pirati», trionfo di colori e di tessuti, di tagli e riesumazioni dal XVII secolo, che diventa il manifesto dello stile «new-romantic». Per la prima volta Vivienne guarda e pesca dal passato e, per la prima volta, le si aprono sia le sale del Victoria & Albert sia il calendario delle sfilate parigine. Un'impresa, quella di approdare sulle snobistiche passerelle francesi, che prima di lei era riuscita solo a Mary Quant.
Nell'83 sfila «Witches», la collezione, tutta ispirata all'etnico, che segna anche la fine del turbolento rapporto tra Vivienne e Malcolm McLaren. Tredici anni di provocazioni, private e pubbliche, che lasciano in eredità un linguaggio della moda rinnovato dalle fondamenta e ancora oggi influente. Due anni dopo «Viv» si ritira dai defilé parigini, apparentemente dando ragione a quanti vedevano in McLaren l'autentica anima della loro rivoluzione estetica.
Non è così. Nell'85 la sua «Crini Collection», rivisitazione della crinolina, conquista di nuovo il successo. Da allora tutte le sfilate Westwood sono eventi e veri e propri spettacoli teatrali: la collezione «Harris Tweed» dell'87, ispirata alla moda dell'epoca in cui la regina era bambina, poi «Viaggio a Cythera» dell'89, suggerita dai dipinti di Watteau, e ancora la «Portrait collection», con l'esaltazione del corsetto, e «Anglomania», del 93, rimasta famosa non solo per gli splendidi accostamenti di tartan e velluto, ma per le vertiginose zeppe di legno, con cui Vivienne vuole «issare la bellezza femminile su un piedistallo».


 
Le zeppe che hanno tradito Naomi Campbell



 
Le zeppe si rivelano un'arma micidiale, come ha modo di scoprire di persona la statuaria Naomi Campbell, che cade rovinosamente sulla passerella durante la sfilata, le gambe chilometriche incapaci di reggersi sulle impalcature bluette. La foto fa il giro del mondo e quando il Victoria & Albert espone un paio di quelle scarpe, la gente fa la fila per vederle, al punto che il museo deve piazzarle in una teca davanti all'ingresso. Un altro «coup de theatre».
Ormai Vivienne è all'apice del successo, celebrata da John Fairchild di Wwd, nel volume «Chic Savages», come una (e unica donna) dei sei stilisti migliori al mondo.

E' allora che sua maestà Elisabetta II la invita a corte perconferirle l'Order of British Empire, dimenticando l'affronto di quel «moron» di vent'anni prima. 




Ma lei, con buona pace dell'armistizio, si dimentica le mutande.
twitter@boria_a

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