C’è una bella differenza tra il reparto “Abiti da cocktail” e quello “Modelli esclusivi” nei grandi magazzini Goode’s di Sydney. Lo sanno bene “Le signore in nero” di Madeleine St John, il romanzo con cui la scrittrice australiana debuttò ultracinquantenne nel 1993, e che ora è pubblicato per la prima volta in Italia da Garzanti (pagg. 197, euro 16), con una prefazione di Helena Janeczek. Chi sono le signore in nero? Patty, Fay, la neodiplomata stagista Lesley, che presidiano quel paradiso dei desideri femminili nelle loro uniformi discrete, pronte a soddisfare ogni richiesta delle clienti facendosi precedere dall’immancabile “Scusi se l’ho fatta aspettare”.
Una bella differenza, sì, perchè tra i “Modelli esclusivi”, in una sorta di grotta rosa con divani in broccato color ostrica e armadi di mogano, si muove la “serpentessa” Magda, sensuale, travolgente, l’unica a poter aggiungere un tocco di bianco o di rosa alla divisa, l’unica, con le sue radici slovene, a portare con sè la sapienza del Vecchio Continente e a custodire i modelli più esclusivi del negozio, che da lì arrivano, firmati dai sarti della regina d’Inghilterra, sir Norman Hartnell o sir Hardy Amies, dalla geniale Chanel, dall’«ineguagliabile» Dior. Siamo nel 1950, nell’acerba e ancora “inclusiva” Australia, che scopre il piacere del consumismo e dà rifugio ai profughi del dopoguerra.
I reparti sono una metafora in questo delicato e insieme pungente romanzo, l’unico, di quattro, che St John, prima australiana candidata al Man Booker Prize, abbia ambientato nel suo paese. Metafora di differenze sociali, culturali, di genere, ma anche di aspirazioni femminili all’emancipazione, allo studio, all’indipendenza, a una nuova consapevolezza di sè e del proprio corpo.
Patty è una trentenne già sfiorita, che si consuma sognando la maternità e cuocendo bistecche per un marito distratto. L’indipendente Fay, soubrette mancata, è approdata ai magazzini dopo tanti lavori e altrettanti uomini, nessuno disposto ad andare al di là delle lenzuola. La piccola Lesley Miles, o Lisa, come ha scelto di farsi chiamare in un primo, piccolo atto di resilienza, divora romanzi russi in pausa pranzo e si dà coraggio con i versi di Blake (“tigre, tigre, che bruci luminosa nelle foreste della notte”) contro un padre che gioca la paga ai cavalli e le vieta di andare all’Università.
Su tutte loro, le “signore in nero” australiane, cresciute nel miraggio del principe azzurro e finite a compiacere compagni ottusi e maschilisti, domina la “continentale” Magda, che legge, parla il francese, sa imbandire una tavola “esotica” con vini e formaggi abbinati. Suo marito non può che essere diverso dal laconico Frank o dall’ordinario signor Miles: si chiama Stefan Szombathelyi ed è un ungherese conosciuto nel campo profughi australiano, con cui condivide (oltre, addirittura! a qualche incombenza domestica...) un inglese infarcito di locuzioni antiquate, apprese da Shakespeare e Dickens.
Due mondi, femminile e maschile, due continenti, si guardano con reciproca diffidenza. E a mettere in comunicazione gli “abiti da cocktail” con i “modelli esclusivi” sarà Lisa, lo scricciolo dalla coriacea volontà di studiare che Magda inizierà all’alta moda, alle feste con lo champagne, al “savoir vivre”, a quel «particolare tipo di amore a prima vista che di solito coglie una donna quando è più giovane, ma che prima o poi tutte provano: l’improvvisa consapevolezza che un particolare vestito non è solo bello, non si limita a stare a meraviglia, ma al di là di queste caratteristiche risponde profondamente all’idea che una ha di sé stessa». Anche Faye, sedotta da “Anna Karenina” prevedibilmente troverà il suo Vrónskij nella vecchia Europa...
Nonni materni romeni, emigrati in Francia, dove lei faceva la sarta, poi in Australia. Sono loro i “M. e Mme. J.M. Cargher” cui la scrittrice dedica il libro. Mamma nata a Parigi e cresciuta a Sydney, trascinata nella depressione da un matrimonio infelice e morta probabilmente suicida. Papà brillante avvocato, rigido e distante. Madeleine St John lasciò l’Australia per Londra, dove vivacchiò facendo la commessa in librerie e antiquari, fino a morire di enfisema, sola, nel 2006.
Le “signore in nero” della sua tardiva favola amara escono da questo passato di dolore e radici spezzate, determinate a lasciarlo alle spalle. Meglio se con un po’ di stile.
twitter@boria_a
Una bella differenza, sì, perchè tra i “Modelli esclusivi”, in una sorta di grotta rosa con divani in broccato color ostrica e armadi di mogano, si muove la “serpentessa” Magda, sensuale, travolgente, l’unica a poter aggiungere un tocco di bianco o di rosa alla divisa, l’unica, con le sue radici slovene, a portare con sè la sapienza del Vecchio Continente e a custodire i modelli più esclusivi del negozio, che da lì arrivano, firmati dai sarti della regina d’Inghilterra, sir Norman Hartnell o sir Hardy Amies, dalla geniale Chanel, dall’«ineguagliabile» Dior. Siamo nel 1950, nell’acerba e ancora “inclusiva” Australia, che scopre il piacere del consumismo e dà rifugio ai profughi del dopoguerra.
I reparti sono una metafora in questo delicato e insieme pungente romanzo, l’unico, di quattro, che St John, prima australiana candidata al Man Booker Prize, abbia ambientato nel suo paese. Metafora di differenze sociali, culturali, di genere, ma anche di aspirazioni femminili all’emancipazione, allo studio, all’indipendenza, a una nuova consapevolezza di sè e del proprio corpo.
Madeleine St John (ph Jerry Bauer) |
Patty è una trentenne già sfiorita, che si consuma sognando la maternità e cuocendo bistecche per un marito distratto. L’indipendente Fay, soubrette mancata, è approdata ai magazzini dopo tanti lavori e altrettanti uomini, nessuno disposto ad andare al di là delle lenzuola. La piccola Lesley Miles, o Lisa, come ha scelto di farsi chiamare in un primo, piccolo atto di resilienza, divora romanzi russi in pausa pranzo e si dà coraggio con i versi di Blake (“tigre, tigre, che bruci luminosa nelle foreste della notte”) contro un padre che gioca la paga ai cavalli e le vieta di andare all’Università.
Su tutte loro, le “signore in nero” australiane, cresciute nel miraggio del principe azzurro e finite a compiacere compagni ottusi e maschilisti, domina la “continentale” Magda, che legge, parla il francese, sa imbandire una tavola “esotica” con vini e formaggi abbinati. Suo marito non può che essere diverso dal laconico Frank o dall’ordinario signor Miles: si chiama Stefan Szombathelyi ed è un ungherese conosciuto nel campo profughi australiano, con cui condivide (oltre, addirittura! a qualche incombenza domestica...) un inglese infarcito di locuzioni antiquate, apprese da Shakespeare e Dickens.
Due mondi, femminile e maschile, due continenti, si guardano con reciproca diffidenza. E a mettere in comunicazione gli “abiti da cocktail” con i “modelli esclusivi” sarà Lisa, lo scricciolo dalla coriacea volontà di studiare che Magda inizierà all’alta moda, alle feste con lo champagne, al “savoir vivre”, a quel «particolare tipo di amore a prima vista che di solito coglie una donna quando è più giovane, ma che prima o poi tutte provano: l’improvvisa consapevolezza che un particolare vestito non è solo bello, non si limita a stare a meraviglia, ma al di là di queste caratteristiche risponde profondamente all’idea che una ha di sé stessa». Anche Faye, sedotta da “Anna Karenina” prevedibilmente troverà il suo Vrónskij nella vecchia Europa...
Nonni materni romeni, emigrati in Francia, dove lei faceva la sarta, poi in Australia. Sono loro i “M. e Mme. J.M. Cargher” cui la scrittrice dedica il libro. Mamma nata a Parigi e cresciuta a Sydney, trascinata nella depressione da un matrimonio infelice e morta probabilmente suicida. Papà brillante avvocato, rigido e distante. Madeleine St John lasciò l’Australia per Londra, dove vivacchiò facendo la commessa in librerie e antiquari, fino a morire di enfisema, sola, nel 2006.
Le “signore in nero” della sua tardiva favola amara escono da questo passato di dolore e radici spezzate, determinate a lasciarlo alle spalle. Meglio se con un po’ di stile.
twitter@boria_a
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