IL PERSONAGGIO
Addio allo stilista triestino Renato Balestra
"L'Ausonia, la lirica, le mie radici mitteleuropee"
Renato Balestra, nacque a Trieste il 3 maggio 1924
Si rammaricava di non aver potuto portare a Miramare la sua mostra “Celeblueation”, che era stata ospitata nel maggio 2019 alla Certosa e Museo di San Martino di Napoli, con 250 bozzetti, disegni e abiti scelti personalmente da lui. Era un piccolo cruccio per Renato Balestra, lo stilista triestino morto sabato 26 novembre 2022 a Roma a 98 anni, che la pandemia avesse cancellato quell’appuntamento, «un’occasione - confessava al telefono nell’ultima intervista al Piccolo, il 3 aprile scorso - per tornare nella mia città, a cui penso con nostalgia, e per approfondire la storia del castello, di cui ho un’idea romantica, legata a Massimiliano d’Asburgo e alla sua partenza per il Messico».
Lucidissimo, forbito, mai un’incrinatura nella voce e nei ricordi. Il suo racconto era un fluire costante di aneddoti, di luoghi, di occasioni, di amicizie legate a Trieste e alla sua giovinezza. Parlava della madre di origine dalmata, Maria Gladich, detta Mary, del padre Renato, architetto, nel cui albero genealogico c’è un pittore di una certa fama, Angelo Balestra, conservato nelle raccolte triestine. Genitori amatissimi, la cui scomparsa gli aveva dato un dolore così profondo da portarlo a rompere il cordone ombelicale con la città dove era nato e dove, casualmente, si era scoperto stilista, disegnando il primo abito per la sua ragazza dell’epoca, «la più elegante della scuola».
Bagno Ausonia e il gruppo di amici che lo spinge ad abbozzare un figurino - lui, studente di ingegneria civile all’Università di Trieste, dopo il diploma al liceo Oberdan, molto versato nel disegno - per l’incontentabile signorina, che non aveva trovato nei negozi niente di suo gradimento, salvo una stoffa celeste a pois blu scuro. Quel primo modello, approdato a sua insaputa al Centro italiano della Moda di Milano, avrebbe aperto al giovane Balestra le porte di una carriera internazionale straordinaria, iniziata con l’apprendistato nell’atelier di Jole Veneziani, poi a Roma dalle mitiche Sorelle Fontana ed Emilio Schuberth.
Il blu che porta il suo nome, Blu Balestra, aveva vestito il Museo Revoltella nel dicembre 1998, in una mostra omaggio curata da Raffaella Sgubin con la direzione di Maria Masau Dan. Abiti e 126 bozzetti in esposizione, tra cui il primo disegno realizzato come griffe “Renato Balestra” per una mise da cocktail. «Ci sono particolarmente legato - diceva ancora nell’ultima intervista - è un vestito corto, di raso blu naturalmente, con una specie di drappeggio davanti, che ho fatto e rifatto anche in altre collezioni».
La moda di Balestra al Museo Revoltella nel 1998
Nell’occasione della mostra aveva ricevuto il sigillo trecentesco della città dal vice sindaco Roberto Damiani e, in serata, aveva assistito alla prima de “Il corsaro” al Verdi, quel teatro che da ragazzo, come appassionato di lirica e pianista talentuoso, con ambizioni da concertista, aveva tanto amato e frequentato. Quell’incursione al Verdi non era stata peregrina: l’anno dopo Balestra disegnò i costumi per “Il cavaliere della rosa” di Strauss, titolo di apertura della stagione. Alla fine della rappresentazione uscì a ricevere gli applausi della sua città: «Ricordatevi che il mio cuore è là - disse al pubblico dal palcoscenico, con commozione - ho passato tanti anni con voi, in loggione e in galleria».
Il 1999 fu un anno speciale, rinsaldò il suo legame con Trieste. Il 3 maggio vi festeggiò il compleanno, insieme alle figlie Fabiana e Federica, invitato per una sfilata benefica al Verdi, promossa da Rossana Illy in favore dell’Associazione sclerosi multipla: in passerella un centinaio di abiti della collezione primavera estate, appena svelata a Roma, dal titolo evocativo, “Inseguendo il sole”.
La prima casa, quella dov’era nato, in via Udine bassa, di cui diceva di avere a memoria ogni dettaglio. Poi il trasferimento in Viale, «ultima casa sotto la scalinata», le passeggiate con gli amici all’Acquedotto, il gelato da Zampolli, di cui ancora sentiva il sapore, i tuffi al bagno, le file di ore per un posto al Verdi, anche in piedi. Il grande amore per la musica, che s’inventava, appena imparato a leggere le lettere, a sei anni, seguendo i testi dei libretti d’opera di uno zio. Ai ricordi triestini si mescolavano gli incontri di una vita e di una carriera lunghissime, accanto alle donne più belle del mondo, alle signore di sangue blu: Farah Diba “regale”, Noor di Giordania, a cui disegna l’abito da sposa, la regina di Thailandia Sirikit, Imelda Marcos e le sue scarpe, Claudia Cardinale “equilibrata e coerente”, Liz Taylor e Lauren Bacall “piene di grazia”, Julia Roberts “quintessenza della modernità”. «Noi siamo quello che siamo stati - diceva - non solo quello che siamo diventati. Portiamo dentro di noi le nostre radici. Io porto dentro di me la cultura mitteleuropea, se posso essere presuntuoso, una certa eleganza, non fisica ma interiore, un’innata armonia».
Una sola volta, nel 2003, sempre in dialogo col Piccolo in occasione del suo celebre siparietto “Casa Balestra” nel programma “Chiambretti c’è” su Rai 2, si lasciò sorprendere da un filo di amarezza: «Non ho mai avuto grandi riconoscimenti da Trieste e dalle istituzioni, nemmeno il San Giusto d’oro».
Con Renato Balestra se ne va uno degli ultimi signori, dei grandi vecchi della moda (anche se il termine “vecchio” lo farebbe inorridire, col Piccolo protestò per aver puntualizzato nel titolo dell’intervista il bel traguardo dei 98 anni...). Un protagonista del made in Italy, accanto a Ottavio Missoni, Mila Schön, Raffaella Curiel, i quattro che hanno portato nel mondo il nome di quest’angolo remoto a Nordest, così estraneo e disinteressato ai vestiti. Chissà allora che nel calendario delle mostre dell’amministrazione ci sia posto per un’ampia antologica su Balestra, un tributo dovuto. Nel segno del suo Blu, tinta, questa sì, felicemente e naturalmente “immersiva”.
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