MODA & MODI
Il quiet luxury è anche democratico
Dopo lo smutandamento estivo, l’inverno suggerisce sobrietà. Da mesi online corre un binomio, “quiet luxury”, che sta per lusso non esposto, sotto traccia, impercettibile. Basta digitare aggettivo e sostantivo e la rete scarica le referenze: la pluripremiata serie HBO “Succession” e i suoi personaggi, una famiglia di mogol dei media in stile Murdoch, vestiti in colori neutri, senza loghi, nessuna esplosione di colore, nessuna borsa o scarpa “it”, nessun pezzo riconoscibile, ma una sinfonia di abiti e accessori in nero, caffellatte, bianco, quasi monocordi. È il lusso quiet, appunto. In realtà sono tutti pezzi griffatissimi, sartoriali, in tessuti pregiati, ma IYKYK, acronimo di “if you know you know”, se li riconosci appartieni al giro di chi li indossa, come quel cappelletto da baseball insignificante sulla testa di uno dei protagonisti in più puntate, che è un Loro Piana da centinaia di euro.
Altra referenza, questa volta reale: l’attrice Gwyneth Paltrow citata in tribunale per uno scontro sulle piste da sci dello Utah, che in aula ha sfilato avvolta in vestiti monacali abbottonati fino al collo, in maglioncini burro e pantaloni color biscotto, come una qualsiasi anonima professionista delle metropoli americane, quando ha addosso pezzi da migliaia di dollari, che parlano un linguaggio di ricchezza, classe e understatement rivolto a chi lo sa cogliere, messaggio in codice di appartenenza a un ceto dove l’ostentazione è bandita e il no logo a vista una religione.
Se andiamo indietro nel tempo una testimonial siderale del quiet luxury è stata Carolyn Bessette, moglie di John John Kennedy, morta con lui nel tragico incidente aereo a Martha’s Vineyard del 1999: una calla dal lungo collo che declinava bianchi, neri, mou, argenti, qualche sporadico rosso, in gonne a matita e camicie maschili o abiti scivolati che parevano essere stati cuciti su di lei. E, ancora sul piccolo schermo, l’attrice Robin Wright nei panni di Claire Underwood nella serie “House of Cards”, sigillata in guaine monocolore, in gelidi tailleur tinta unita. Un guardaroba “efforless”, senza sforzo, in apparenza naturale e spontaneo.
Per uno dei surreali cortocircuiti della moda la tendenza “quiet luxury” e così popolare sui social e ormai così familiare ai più giovani da essere adottata anche dalle catene fast fashion (dove non solo non c’è lusso ma nemmeno nulla di “tranquillo” se si pensa alla produzione forsennata di pezzi a basso costo) per promuovere una selezione di linee semplici, colori neutri, capispalla e abiti senza fronzoli inutili. Le collezioni per l’autunno-inverno già arrivate nei magazzini lo confermano: sabbia, grigi, verdi spenti, bianchi delicati, nero e marrone, una palette soffusa e discreta, con qualche punta di malva e lavanda, le tinte forti della stagione.
Dietro l’ennesimo slogan delle cronache modaiole si intravede l’esigenza di recuperare un po’ di moderazione, pur se non griffata o in materiali ricercati. Anche chi pratica gli acquisti “fast” è invitato a seppellire mutande e reggiseni da passeggio, a ricoprire ombelico e natiche e a godersi il lusso democratico del guardaroba “quiet”.
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