MODA & MODI
L'ombelico va in ufficio
È appropriato lasciare l’ombelico a vista al lavoro? La risposta sembrerebbe scontata, ma l’interrogativo mi si è parato davanti qualche giorno fa, in centro a Trieste, osservando l’addetta di un’agenzia immobiliare al piano marciapiede, in jeans e pancia scoperta. Nella stagione che si inorgoglisce dell’aver cancellato i codici, giocoforza ci affidiamo a un sostantivo scivoloso come «appropriatezza» per cercare di argomentare sulla questione. Quanto mini può essere appropriata una minigonna in ufficio? La faccenda ha impegnato in questi giorni i lettori del New York Times in un’accesa discussione, moderata dalla prima firma della moda, Vanessa Friedman, che si è spinta a scomodare un’esperta del Fashion Law Institute della Fordham University, Susan Scafidi: nessuna limitazione di centimetri può essere imposta per legge, ha detto l’interpellata.
Ovvio: la contropartita è essere pronte ad affrontare il giudizio delle persone e abituarsi all’idea di essere valutate più per quello che si indossa che per quello che si è o si fa, come accadeva nella serie tv degli anni Novanta Ally McBeal, avvocatessa in gonnelline estreme e tacchi a spillo. I pro e contro ci sono da entrambe le parti: irrita che i vestiti siano un metro di giudizio per liquidare le donne come decorative e irrita altresì dover mortificare la libertà di mostrarsi per provare di avere un cervello. Alla fine i commentatori sono arrivati a un compromesso onorevole: fatta salva la valutazione sull’ambiente di lavoro in cui ci si muove, se la minigonna è indossata con disinvoltura, senza tirarsela giù a ogni movimento, magari con un paio di calze spesse ed evitando di scervellarsi su che cosa gli altri ne penseranno, allora si possiedono abbastanza assertività e confidenza nel proprio corpo da portarla. E magari farla pure diventare uno strumento di empowerment, di autoaffermazione.
Ma l’ombelico al vento? Qui non si tratta di centimetri di tessuto, ma del corpo scoperto, che dalla notte dei tempi segnala pericolo e tentazione. Un altro dibattito sull’autorevole quotidiano americano è sceso al piede: nudo al lavoro si può? Leggi in materia non esistono, i codici di abbigliamento delle varie società sono spesso opachi e interpretabili, quindi che fare? Tra i negazionisti più estremi e i feticisti a oltranza, vale ancora la via di mezzo: la slingback, scarpa aperta con la cinghietta sul tallone, preferita da Anna Wintour, incornicia la nudità e la rende meno esposta.
Ma non eludiamo il punto di partenza: l’ombelico. Qui non c’è niente da incorniciare o schermare. O sì o no. Intergenerazionale, protagonista dell’onda libertaria post pandemia, esiste solo lui, al centro di una pancia più o meno tesa. E allora, se non ci sono codici interni - che comunque danno sempre la sgradevole impressione che il dipendente debba essere “guidato” - bisogna avventurarsi su un terreno ancora più insidioso dell’appropriatezza. Sono credibile vendendo una casa con la pancia all’aria? Se il problema non si pone per la barista che mi porge il caffè in shorts-mutanda e unghie ad artiglio, certamente “inappropriata” all’ambiente, in un luogo dove è d’obbligo instaurare un rapporto di fiducia con l’interlocutore, l’ombelico è ingombrante? La risposta, dicevamo all’inizio, non è scontata. Ma la domanda sì.
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