IL LIBRO
Lo stupro che macchia il sogno di Miden
Essere ordinati, non rumorosi, solidali. Far parte delle varie commissioni in cui si articola la vita sociale, dagli amanti del té ai fitofarmaci naturali. Ricorrere ai mediatori per comporre qualsiasi conflitto, siano battibecchi tra amici, bisticci familiari, incomprensioni culturali. Vestirsi con colori accesi, per allontanare la tristezza. Non importare niente dal mondo esterno che non sia stato vagliato e approvato. Indossare zoccoli di legno o sandali di cuoio prodotti a chilometro zero, perchè oltre a quello c’è l’ignoto. Essere felici.
“Miden”, la comunità ideale che dà il titolo al terzo libro di Veronica Raimo (Mondadori) ricorda da vicino la serie televisiva americana Wayward Pines, andata in onda in due stagioni tra il 2015 e il 2016. «Non parlare del passato. Non parlare della tua vita precedente. Lavora sodo. Goditi la vita»: regole che, scoprirà il protagonista Matt Dillon, trasformano la località dell’Idaho in cui è capitato per caso in un lager all’apparenza ameno e inclusivo, dove tutto è orwellianamente sorvegliato e da dove è impossibile fuggire.
Da Miden, invece, si viene accolti in numero contingentato e si può andar via. O essere espulsi per un comportamento che possa intaccare l’ordine. Che metta a rischio il dogma della felicità. A raccontarlo è una delle due voci narranti della storia, “il compagno”, professore di filosofia nell’Accademia della comunità, che a Miden è approdato fuggendo dal suo paese, ormai in pieno tracollo economico. Nella nuova società ha incontrato “la compagna”, prima arrivata lì per una vacanza, poi diventata residente, che ora attende un figlio da lui. Perchè se nel vecchio paese si muore di depressione e di paura e dilaga l’incapacità di procreare, Miden è piena di bambini: «lo sguardo ebete sotto il cielo stellato - sintetizza “la compagna” - contemplava anche la creazione di nuovi esseri viventi». Un giorno, però, alla casa della coppia bussa una ragazza: «Sono stata violentata dal professore», dice alla donna. È successo due anni prima, quando ancora il docente non conosceva la sua partner. L’ex studentessa non ha mai denunciato l’uomo, ma ora vuole che sia punito: «Perchè allora non lo sapevo, ora lo so. Che ho subito una violenza». A Miden è registrato come “Trauma n. 251”.
Tra loro, all’epoca, si dicevano “ti amo”, lei si faceva calpestare, sodomizzare, legare in un’aula di studio. Si lasciava fotografare nuda per un progetto artistico della scuola, che il professore le aveva suggerito di chiamare “Gioco e Controllo”. Ora, nel dossier dove anche quelle immagini sono finite come prova di un comportamento manipolatorio, i due vengono definiti il Perpetratore e la Subente. I loro feticistici modi di eccitarsi sono diventati un elenco di “pratiche”, su cui si esprimerà la commissione atta a giudicare se il professore ha commesso uno stupro sull’allieva, consenziente ma inconsapevole dell’abuso, se nel dna di lui c’è il gene che può corrompere il tessuto sano di Miden. Nel disciplinato svolgimento della vita della comunità, dove al rumore di un trolley sull’asfalto le mamme tappano le orecchie dei piccoli, non sono tollerati disequilibri o perdite del controllo, nè sonori nè altro.
Amici e conoscenti rispondono ai questionari. Testimoniano su comportamenti e possibili scorrettezze del professore. Il suo tutor dice di aver favorito il ricongiungimento alla “compagna” perchè la nostalgia gli infiacchiva lo spirito. La collega insegnante gli imputa l’idealizzazione della sua vita passata, persino la giacca che porta è un’eccentrica stortura, un segno di mancata uniformità estetica. L’istruttrice di nuoto lo giudica “sessista”, pur riconoscendo che l’appartenenza a una cultura che subordina la donna all’uomo sia difficile da sradicare. E l’anamnesi investe la coppia. La “compagna” porta il grigio, il colore della terra di nessuno, dell’indifferenza, che soffoca il nascituro sotto una coltre di coercizione. Gli scrive anche il padre della ragazza: da genitore prova odio, ma sul sangue prevale il suo essere tra i fondatori del Sogno di Miden, che non ha bisogno di martiri, ma di individui fiduciosi e fedeli al patto di essere felici.
Con le voci del “compagno” e della “compagna”, Veronica Raimo registra l’inarrestabile disgregarsi della coppia, in una società glaciale che dissangua ogni istinto, ogni individualità, ogni passione non vigilata. L’esito non potrà che essere un rigetto.
È forte la tentazione di leggere questo romanzo alla luce dello scandalo molestie e del #metoo, del disequilibrio tra le forze in campo, tra perpetratori e subenti delle cronache odierne (anche loro coscienti dell’abuso addirittura decine di anni dopo...). L’inquietudine che percorre il libro ci porta però in un’altra direzione e a un’altra domanda: il controllo paranazista fuori e dentro di noi, ci preserverà dal crollo?
@boria_a
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