Queste parole non passano di moda
L’idea di indossare uno slip dress vi fa arrossire? Non riuscite a darvi pace per la scomparsa della pochette? Vi consigliano una scarpa peep-toe e non sapete in che cosa state per infilarvi? Le parole della moda sono spesso oscure e gli esperti del settore le utilizzano come un gergo iniziatico, per pochi eletti che ne sanno di cose glam. Aprite una rivista, anche non di settore, e vi imbattete in cortocircuiti linguistici del tipo: il “mood” di quest’anno? Skinny-legged jeans con Beatles boots e clutch color block. Sarebbe molto più semplice e comprensibile, ma infinitamente meno posh - ops, chic - dire che nell’aria quest’anno ci sono jeans a sigaretta, stivaletti alla caviglia con tacco e una borsa bustina dai colori forti.
Ma si sa: il fascino perverso della moda è anche la sua terminologia, che non è affatto materia di poco conto, ma una lingua specialistica, con un alto tasso di tecnicismi, infarcita di parole straniere e tanta necessità di compattezza e sinteticità. E come se non bastasse, se la moda passa in fretta di moda, lo stesso avviene per le sue parole, anche se non altrettanto rapidamente. Il francese, per esempio, che per due secoli ha monopolizzato il gergo dell’eleganza, fin dalla nascita delle riviste di moda negli anni ’80 del Settecento, ora ha perso terreno in favore dell’inglese: per questo clutch e leggings hanno spazzato via pochette e fuseaux.
E poi è facile cadere nei trabocchetti, o farsi sedurre da falsi amici: slip dress, per esempio, non ha niente a che fare con le mutande, ma significa abito sottoveste. O i “neologismi semantici”, cioè gli anglicismi con significati aggiuntivi: golf, per esempio, detto a un inglese, lo farebbe pensare a un green per praticarci l’omonimo sport, non certo a un cardigan, così come il suggerimento di indossare uno smoking per una prima teatrale lo confonderebbe, perchè nel suo guardaroba per queste occasioni ha tuxedo o dinner jacket.
L’Italia, poi, se ha un primato internazionalmente riconosciuto nel design, non altrettanto può vantare per la sua lingua, colonizzata dai “forestierismi”, che vengono giudicati più seducenti per descrivere un settore così effervescente e mutevole. A parte dolcevita e ballerina, pochi nostri termini riescono a infilarsi nella corazzata degli anglismi, tralasciando quei cotta e zucchetto che raramente possono servire per trattare il trend più hot del momento.
Come risolvere il problema? Cominciando proprio dallo strumento basic (per restare nel linguaggio modaiolo) per conoscere le parole, il vocabolario, che Zanichelli ha appena mandato in libreria. Il “Dizionario della moda”, di Mariella Lorusso, in doppia versione inglese-italiano e italiano-inglese (pagg. 640, euro 24,50), con qualcosa come 30mila lemmi e oltre 300 illustrazioni di stili, capi, accessori e tecniche, 170 falsi amici, oltre 2mila frasi ed esempi e, in appendice, una tabella di misure e taglie.
Un'opera naturalmente indirizzata agli studenti della moda, ma anche ai professionisti che, in diversi campi - giornalisti, traduttori, studiosi, costumisti, operatori di tutta la complessa filiera dell’abbigliamento e dell’accessorio - hanno a che fare con la terminologia della moda. Un vocabolario - spiega Lorusso - che ha richiesto una certa dose di “creatività” metodologica, per mettere ordine nei processi di formazione dei vocaboli, nei prestiti da altre lingue, nelle abbreviazioni (bra non è nient’altro che un reggiseno, “troncato” da brassiere), nelle modificazioni semantiche (pensiamo a tight, stretto, che al plurale, tights indica i collant...) e nei neologismi. Non mancano gli eponimi, ovvero i nomi comuni derivanti da personaggi famosi.
E se le borse Kelly e Birkin sono entrate nell’immaginario collettivo, it-bag con interminabili liste d’attesa, meno battuti sono i “Lennon specs”, gli occhiali alla Lennon, o la “scollatura sabrina”, che richiama la Hepburn dell’omonimo film, il “bogie look” ispirato al trench e al cappello di Humphrey Bogart o la “serafina”, maglietta girocollo con tre bottoni che indossava il bucolico Celentano sullo schermo.
Audrey Hepburn in "Sabrina" |
Un vocabolario resta soprattutto uno strumento di lavoro, ma nella consultazione spuntano curiosità su cui riflettere. Pensiamo al suffisso “kini”, che si moltiplica in costumi da bagno come il trikini, il tankini e il pubikini, sulle cui dimensioni, soprattutto in quest’ultimo, non c’è molto da far correre l’immaginazione, ma, all’estremo opposto della scala vestimentaria, recupera tutti i centimetri persi in spiaggia e lascia visibili solo gli occhi sotto un burkini.
@boria_a
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