MODA & MODI
La tuta futurista è molto slow
Jumpsuit e boilersuit. Sempre di tuta si parla, ma c’è una sfumatura che fa la differenza. Glamour, morbida, fluida la prima; resistente, pratica, essenziale la seconda. Ed è quest’ultima, la tuta da lavoro, il capo che interpreta meglio i tempi che viviamo, anch’essi serrati e densi, inclini alle contaminazioni di un guardaroba prima ristretto in ambiti specifici. Una quotidiana marcia a tappe forzate che ha dissolto le differenze tra lavoro e tempo libero, inventando outfit multitasking, da adattare alle occasioni con pochi accorgimenti.
La boilersuit è salita in passerella senza perdere le sue caratteristiche: in cotone, denim, materiali resistenti che non si avvitano nè svolazzano ma seguono il corpo senza sacrificarlo, ha un taglio asciutto, tasche anteriori e si può aprire, far scendere e arrotolare in vita, come capita di vederla sugli operai nei cantieri all’aperto, lasciando a vista la t-shirt. O abbinare a un paio di tacchi, a scarpe da ginnastica con una piattaforma importante, riconvertendola con poco sforzo in un pezzo da sera.
Inventata dal futurista Thayaht, al secolo Ernesto Michahelles nel 1920 (tuta perche a T, tutta d’un pezzo, per vestire tutta la persona e tutte le persone), piacque agli operai sovietici che la videro sulla rivista Lef di Majakovskij e fu adottata dalle donne impiegate nelle fabbriche di munizioni con la seconda guerra mondiale. È fondamentalmente unisex, dunque più che mai contemporanea, in una stagione che ha reso liquidi i confini tra i sessi e i loro rispettivi involucri. Fa risparmiare tempo e stoffa e conquista i millennial, che hanno a cuore la moda green, attenta alla sostenibilità, agli sprechi e alla salute del pianeta. Nata nel mito della velocità, oggi la tuta è slow. Se non è versatilità questa.
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