sabato 1 febbraio 2020

IL LIBRO


Il bambino nascosto di Roberto Andò 
una scelta di paternità e riscatto






Due mondi contigui e sideralmente lontani che si intercettano per un caso. Due solitudini che si incrociano, si annusano, confliggono, si guardano con diffidenza per poi restare senz’armi e abbracciare il rischio di conoscersi, forse di riscattarsi. Un uomo e un ragazzino. Un insegnante di pianoforte al conservatorio e uno scugnizzo senza istruzione. Un omosessuale colto e solitario e un piccolo selvatico cresciuto in un ambiente criminale, dove i ricchioni sono barzellette per uomini. Filiazione e paternità, non per sangue ma per elezione.

Nello stesso condominio di Forcella, due monadi: l’appartamento del professore, incongrua isola piena di note e dei versi dell’amato Kavafis, che recita sbarbandosi, in un mare di ordinario squallore. E l’appartamento del camorrista, dove il codice criminale si apprende per osmosi, nella rassegnazione delle donne.


Intorno, una Napoli gelatinosa e velata, il magma della criminalità di second’ordine che si allarga lento fino a impregnare ogni spazio vitale, dove nessun cattivo grandeggia ma la vita quotidiana scorre torbida e brutale, tra minacce, delazioni e regolamenti, ragazzini che tirano calci al pallone in cortile e sanno usare la pistola. E occhi, tanti occhi, che si allungano fin nei sacchi dell’immondizia, per registrare ogni cambiamento, ogni scarto dalla malata normalità.

La pistola la sa usare anche Ciro, il piccolo protagonista de “Il bambino nascosto” (La nave di Teseo) di Roberto Andò, regista e direttore artistico del Teatro stabile di Napoli, premio Campiello Opera Prima per “Il trono vuoto”, diventato un film, “Viva la libertà”, con Toni Servillo e Valerio Mastandrea.



Roberto Andò


Dalla porta lasciata aperta per un fattorino, Ciro si infila nell’appartamento del maestro Gabriele Santoro, concertista fallito, una vita affettiva irrisolta, l’omosessualità come uno stigma antico, identico nei lazzi dei delinquenti come nei pregiudizi ipocriti del rarefatto e narcisistico ambiente musicale. Ciro fugge da uno sgarbo al boss del quartiere, sa che rischia di essere ammazzato, e Gabriele, con un gesto istintivo e irrazionale, accetta nella sua casa quel bambino “dalla grazia rallentata, quasi riflessiva, del tutto in contrasto con l’aspetto volgare dei suoi fratelli”.



Entrambi si scelgono a pelle, l’uomo che non sarà mai padre e il figlio, confusamente, inconsciamente in cerca di un padre diverso. In quindici giorni, quasi tutti trascorsi nell’appartamento, Gabriele e Ciro scrivono insieme un nuovo ed esclusivo alfabeto affettivo, da cui piano piano si allontanano tutti gli altri, come fantasmi delle loro reciproche solitudini: Biagio, il compagno del maestro, con cui il rapporto si è ormai prosciugato, gli allievi e i colleghi del conservatorio, la famiglia del bambino e soprattutto suo padre, il criminale gregario, che sa bene il prezzo da pagare per questa rottura, questo gesto di libertà. Gabriele apprende come si spara e Ciro suona qualche nota al pianoforte, perché “non c’è nulla che si possa insegnare se non quello che si è, e non c’è nulla da imparare se non che l’amore si presenta in una sconcertante varietà di forme impreviste“. Uno insegna all’altro il movimento corretto, l’abbandonarsi del braccio che fa arrivare all’obiettivo, il bersaglio o la nota, in una metafora dello scambio che alimenta tutta la storia.



Quando la porta dell’appartamento alla fine dovrà aprirsi, la violenza del mondo fino allora tenuto lontano si riversa tutta su Gabriele e Ciro. L’isola felice è stata violata, non resta che andarsene.



“Il bambino nascosto” diventerà presto un film e cinematograficamente è facile immaginare la fuga dei due nel tentativo estremo di salvarsi dalla vendetta, dov’è il più piccolo a guidare l’adulto in un ambiente impervio che non conosce. Un’ingenuità di Ciro, che in quei pochi giorni di segregazione volontaria ha riacciuffato i giochi, si è riappropriato del diritto alla fragilità di un’infanzia mai vissuta, trascina la vicenda all’epilogo. La breve parentesi si interrompe tragicamente, ma chiama in causa altri, quelli che si sono accontentati dell’acquiescenza, e passa a loro, con un gesto ultimo d’amore, la responsabilità di andare avanti.

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