E' ITS FOUR A TRIESTE
Marcus Lereng Wilmont, uomini-samurai dalla Danimarca, vince la quarta edizione del fashion contest
Marcus Lereng Wilmont, uomini-samurai dalla Danimarca, vince la quarta edizione del fashion contest
TRIESTE Hanno vinto gli uomini, gli uomini con le gonne. Trasgressivi e classici, moderni e antichi, statuari e un po' remoti come i samurai ai quali si ispirano. Mai così tante collezioni maschili, ben sei, presentate sabato sera sulla passerella di ITS, il concorso per stilisti emergenti, e mai così curate, sartoriali, innovative. Il premio più importante è andato proprio agli scolpiti guerrieri del Terzo Millennio disegnati dal danese Marcus Lereng Wilmont, allievo del Royal College di Londra, che, per una volta, ha messo d'accordo giuria e umori del pubblico reinventando una moda da uomo che anche lei ha voglia di indossare: alte cinture, allacciate dietro come bustier, gilet di pelle intrecciata, camicie costruite, giacche di pelle che sembrano dipinte sul corpo, da cui spuntano lunghe code di cavallo. E poi quelle gonne a pieghe, perfette, color torrone e torba, paradossalmente un inno alla mascolinità.
Uomini protagonisti, dunque. Spiritosamente metropolitani, come li ha voluti l'allampanato tedesco Christoph Froehlich, vincitore del succoso «Diesel Award», che ha portato in passerella efebi percorsi da brividi di giallo acido, con i pantaloni a vita bassa sostenuti da fantasiose bretelle ispirate ai tasti del pianoforte. O uomini-creature notturne, tutti imbozzolati in giubbotti neri, secondo la visione della coppia danese Caroline Hansen e Mie Albaek Nielsen, premiata con l'«Ingeo Award» per le proposte più rispettose dell'eco-sostenibilità.
Menzione a parte, infine, per il vincitore dell'anno scorso, il georgiano Demna Gvasalia, laurea in relazioni economiche a Tblisi accantonata per un futuro glamour, tornato a Trieste con una collezione tutta maschile da applauso: maglioni lunghissimi, verde salvia, con guanti incorporati, camicie a quadretti le cui maniche si arrotolano in vita, pantaloni ampi, quasi clowneschi, che però sanno materializzare un uomo sicuro di sè, eccessivo ma mai dolciastro.
Al confronto di questi maschi dal guardaroba ineffabile, le collezioni femminili sono sembrate spesso ripetitive, eccessive, pasticciate (quante noiose fatine o simili uscite dalla Melevisione...), come se fossero le donne, una volta tanto, ad aver perso la bussola dell'abito.
Portovecchio, per una notte, succursale di New York, Londra, Milano. Per il quarto anno consecutivo nell'orbita vuota dell'enorme ex magazzino Pacorini, affacciato sul mare, si è calata la cittadella della moda internazionale, con il popolo multietnico che «Its» (sigla non digeribile, International Talent Support, letteralmente «una mano al talento internazionale») richiama dalle scuole e accademie di moda di tutto il mondo. Settecento concorrenti per l'edizione 2005, ventun finalisti, i più lontani da India, Australia, Giappone, nessun italiano. Quest'anno pure un premio fotografico, ancora in rodaggio, andato all'inglese Danielle Mourning.
Nel parterre del capannone, tirato a lucido, il rutilante carrozzone della moda, arrivato in quest'angolo a nordest che normalmente lo snobba. Vip e finti vip, bacini bacini distribuiti a tutti e soprattutto agli estranei, modelle irritabili e top-model di una volta che non si rassegnano agli anni, gli ospiti dei generosi sponsor, così tanti da lasciare - che peccato! - solo un pugno di posti ai locali.
In prima fila Renzo Rosso, il re di quel casual che continua a lievitare a dispetto dei cinesi e della recessione, tutto intento a prendere appunti e a selezionare per il suo staff i talenti emergenti con cui continuerà a disegnare jeans cari come un weekend in mezza pensione.
Davanti alla passerella lo stilista Antonio Marras, punta di diamante della giuria di ITS, l'inventore di quella griffe italiana che ha trasformato l'etnico in alta moda e il direttore creativo di Kenzo, un cuore e una cultura sarda per una firma storica del Sol Levante. Accanto a loro, ormai abituato alle bizzarrie della passerella triestina, l'assessore comunale Bucci, apprendista dandy della giunta Dipiazza e fedelissimo sostenitore di ITS, quest'anno per la prima volta affiancato dal presidente della Camera di commercio Paoletti, che di moda forse un po' ne mastica.
Sfilata a ritmo incalzante, condotta con verve da Victoria Cabello. E organizzazione inappuntabile, gestita con precisione poco modaiola e molto asburgica da Barbara Franchin, l'ideatrice di «Its». A Trieste, tagliata fuori da qualsiasi latitudine della moda, un gruppetto di giovani ha dimostrato che si può mettere in piedi un premio proprio come a New York e a Londra. Sarà per questo che la città li guarda ancora con diffidenza. E che a New York e a Londra ITS vuol dire qualcosa, da queste parti poco o niente.
La collezione maschile del vincitore, Marcus Lereng Wilmont (foto Claudio Tommasini per Il Piccolo) |
Menzione a parte, infine, per il vincitore dell'anno scorso, il georgiano Demna Gvasalia, laurea in relazioni economiche a Tblisi accantonata per un futuro glamour, tornato a Trieste con una collezione tutta maschile da applauso: maglioni lunghissimi, verde salvia, con guanti incorporati, camicie a quadretti le cui maniche si arrotolano in vita, pantaloni ampi, quasi clowneschi, che però sanno materializzare un uomo sicuro di sè, eccessivo ma mai dolciastro.
Gli urban boy del tedesco Christoph Froelich |
Portovecchio, per una notte, succursale di New York, Londra, Milano. Per il quarto anno consecutivo nell'orbita vuota dell'enorme ex magazzino Pacorini, affacciato sul mare, si è calata la cittadella della moda internazionale, con il popolo multietnico che «Its» (sigla non digeribile, International Talent Support, letteralmente «una mano al talento internazionale») richiama dalle scuole e accademie di moda di tutto il mondo. Settecento concorrenti per l'edizione 2005, ventun finalisti, i più lontani da India, Australia, Giappone, nessun italiano. Quest'anno pure un premio fotografico, ancora in rodaggio, andato all'inglese Danielle Mourning.
Ancora uomini, disegnati da Caroline Hansen e Mie Albaek Nielsen |
In prima fila Renzo Rosso, il re di quel casual che continua a lievitare a dispetto dei cinesi e della recessione, tutto intento a prendere appunti e a selezionare per il suo staff i talenti emergenti con cui continuerà a disegnare jeans cari come un weekend in mezza pensione.
Davanti alla passerella lo stilista Antonio Marras, punta di diamante della giuria di ITS, l'inventore di quella griffe italiana che ha trasformato l'etnico in alta moda e il direttore creativo di Kenzo, un cuore e una cultura sarda per una firma storica del Sol Levante. Accanto a loro, ormai abituato alle bizzarrie della passerella triestina, l'assessore comunale Bucci, apprendista dandy della giunta Dipiazza e fedelissimo sostenitore di ITS, quest'anno per la prima volta affiancato dal presidente della Camera di commercio Paoletti, che di moda forse un po' ne mastica.
Sfilata a ritmo incalzante, condotta con verve da Victoria Cabello. E organizzazione inappuntabile, gestita con precisione poco modaiola e molto asburgica da Barbara Franchin, l'ideatrice di «Its». A Trieste, tagliata fuori da qualsiasi latitudine della moda, un gruppetto di giovani ha dimostrato che si può mettere in piedi un premio proprio come a New York e a Londra. Sarà per questo che la città li guarda ancora con diffidenza. E che a New York e a Londra ITS vuol dire qualcosa, da queste parti poco o niente.
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