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sabato 11 luglio 2015

E' ITS 2015 A TRIESTE
 
Alla tedesca Paula Knorr la quattordicesima edizione del fashion contest




La collezione di Paula Knorr, vincitrice di ITS 2015, fotografata a Trieste da Andrea Lasorte per Il Piccolo

TRIESTE  Il futuro da ieri notte è nelle mani della tedesca Paula Knorr, che ha vinto il premio più importante, ITS Fashion Award (10mila euro) alla quattordicesima edizione del concorso per giovani talenti del design, l’ultima all’ex Pescheria, prima del trasloco annunciato dal sindaco Cosolini nel Portovecchio riconquistato alla città. Un progetto, quello della ventiseienne Paula, che aveva convinto subito la direttrice di ITS, Barbara Franchin, già in fase di elaborazione, quando il portfolio era arrivato a Trieste. In fondo, l’ha detto anche Odile Cullen, curatrice del Victoria & Albert Museum di Londra e componente della giuria: a volte la storia, l’idea che c’è dietro gli abiti, è l’elemento più importante per la vittoria.

 
Quella di Paula va alla ricerca dei pensieri, dei sentimenti, della natura più segreta della donna. Parte da alcuni video, da immagini, per arrivare al tessuto, alla fisicità. La sua è una collezione tutta giocata sul contrasto tra la nudità, simulata da una guaina di lycra color carne, e il movimento creato da scampoli di tessuto lucido - rossi, viola, argento, prugna - che si avvolgono intorno al corpo in abiti, top e pantaloni fluidi, come se un turbine di vento li spingesse a incollarsi alle forme, valorizzandone la natura più riposta.

 
Vince, meritatamente, l’Otb Award (5 mila euro e uno stage nella holding di Renzo Rosso) e il Mediateca Deanna Award (altri 3mila euro) la giapponese Yuko Koike, con una collezione donna caleidoscopica, dove tradizione artigianale e avanguardia si traducono in gonne, top, maglioni, vestiti, soprabiti totalmente lavorati all’uncinetto e con inserti di plastica. La giovane Yuko si ispira ai colori dei giardini nipponici, li rende esplosivi, li addiziona, fino a farli diventare una palette da pop art. In questo progetto la tecnica lascia sbalorditi, ma non prende il sopravvento sull’armonia dell’insieme, sulla poesia con cui viene sottolineato il corpo femminile: una collezione di donne dalle tinte forti, in bilico con ironia tra passato e futuro.



La collezione di Yuko Koike, vincitrice dell'Otb Award a ITS 2015
 


L’Eyes on Talents Award (3mila euro e una promozione sulla piattaforma dedicata ai giovani creativi) se l’è aggiudicato Jenifer Thevenaz-Burdet, con una collezione sportiva maschile pulita ed essenziale, già perfetta per il mercato. Il futuro? Comincia da un contenitore, secondo la giovane svizzera, che spedisce i suoi “X-treme conquistadors” nei luoghi impervi del mondo. Maschi pronti a raggiungere campi base tra le vette, a esplorare, scalare, guadare, dormire all’adiaccio accessoriati con zaini e sacchi a pelo che si trasformano in giubbotti protettivi, a prova di vento, freddo e pioggia, realizzati con materiali iper-tecnologici. Uomini esploratori, bianchi e neri, dal piglio avveniristico e l’attenzione al dettaglio: vestono bermuda dal taglio perfetto sopra leggings finalmente non indecenti, guanti e galosce con zip dalle tinte a contrasto, pronti a sfidare la natura senza smarrire una sorta di grazia estrema.
 
Il Vogue Talents Award proietterà la finlandese Elina Määttänen sul sito e sull’edizione di settembre del magazine di moda. La sua è una collezione femminile che nasce da un complicato incrocio tra l’estetica giapponese, riconoscibile nei tagli trasversali a kimono dei suoi capispalla e nell’utilizzo della tintura shibori, e la struttura di una tuta aeronautica russa, che alla designer serve per darsi dei limiti, un perimetro entro il quale sperimentare. Il risultato non è facilmente comprensibile allo spettatore, almeno al primo impatto: una tribù di femmine Jeti, con doposci pelosi alle estremità, calate in tute e vestaglie che sono un campionario dell’ottima capacità manuale dell’autrice, meno del suo equilibrio tra sperimentazione, gusto e vendibilità.

 
Incomprensibilmente a bocca asciutta, forse perchè già pluriosannato in patria (e la missione di ITS è fiutare il nuovo piuttosto che confermare il già noto...), l’inglese Richard Quinn, venticinquenne, fisico e ispirazione che ricordano quelli di un giovane Alexander McQueen. La sua collezione di haute couture, “cracked couture”, come la definisce lui stesso, si diverte a fare a pezzi due modelli distinti, a strapparli a metà e a ricomporli in un abito nuovo. Tessuti dipinti personalmente a mano danno a questi abiti da sera una corposità solenne ed aerea al tempo stesso: un’esplosione di fiori dai colori intensi e le pennellate decise, gialli, rosa, bluette, verdi, percorrono abiti lungi, al ginocchio, mantelli, uno più desiderabile dell’altro, da cui esce un corpo femminile anni Cinquanta riportato ai giorni nostri con delicatezza, esaltato con intelligenza.

 
Poesia e tecnologia, manualità e contaminazione tra culture, hanno siglato quest’edizione di ITS e dato forma a quel “futuro” che era il tema proposto ai giovani designer. Nella Pescheria riconvertita per una notte in “astronave” verso nuovi mondi, Victoria Cabello si è riappropriata del microfono (ceduto nel 2014 ad Anita Kravos per gli impegni di X Factor) e ha come sempre condotto con adrenalina la serata, giostrandosi tra sponsor e autorità, ringraziamenti e passerelle. Poi, l’ultima notte di ITS nel Salone degli Incanti, è stata solo per i talenti, vincitori e (mai) sconfitti, e per i loro sogni. Che tutti, sulla passerella di Trieste, hanno costruito un primo tassello del futuro.

twitter@boria_a
ITS 2015 A TRIESTE: dieci collezioni in passerella

Sabato 11 luglio, gran finale del fashion contest
Tutti pazzi per il Giappone, o quasi, i finalisti fashion di ITS 2015. Mai come quest’anno spuntano dappertutto kimoni e samurai, la tintura shibori e la pittura nipponica, anche lontano dal Sol Levante e con esiti spiazzanti. Il ponte tra passato e futuro, però, si costruisce intorno a due concetti: corpo e materiali. La figura umana non è più un confine, un perimetro o una consistenza definita: si dilata, si moltiplica, si comprime e si espande per adattarsi all’ambiente circostante, per inglobarlo o difendersene.


Le soluzioni più innovative e futuristiche nascono da questa tensione, dall’esigenza di ogni designer di segnare, di rapportarsi con lo spazio intorno. Nelle tecniche emerge forte, invece, il richiamo alla tradizione: tutti, nei loro progetti, mettono enfasi sul “fatto a mano”, “tessuto a mano”, manipolato secondo arti e sapienze artigianali antiche. Ci tengono a far sapere che hanno introitato un’eredità culturale e che la sanno armonizzare con il loro presente.
 
Il futuro sta dentro uno zaino per la svizzera Jenifer Thévenaz-Burdet. I suoi sono “X–treme conquistadores”, come s’intitola la collezione, già pronta per il mercato: donne e uomini muniti di sacchi a pelo che diventano giacche, di borse pronte a riconvertirsi in cappotti, di contenitori tecnici, funzionali, essenziali, in grado di riparare il corpo e di dargli un rifugio a prova di gelo. E una protezione techo, e “playful”, ludica, è anche quella che fornisce la sud-coreana Yunseo Choi al suo uomo-uovo: le giacche e i giubbotti sono dotati di strutture aeree fatte di tubicini ed elastico, che hanno lo stesso effetto anti-shock di quelle costruite dai bambini con le cannucce, negli esperimenti a scuola, per riparare un uovo dalle cadute.

 
Aprono la passerella Far East-oriented le guerriere di Quoï Alexander, americana, che vestono armature di cotone, pelle, corda. Un mix di fibre intrecciate, assemblate, sfrangiate, sovrapposte con manualità sorprendente: dice di ispirarsi alla confezione dei cestini giapponesi, Quoï, e invita esplicitamente l’osservatore a interpretare i suoi pezzi, che, tra etnico e couture, scivolano verso il costume teatrale. L’accento sull’esecuzione lo pone anche la strana coppia creativa formata da Polina Yakobson, tedesca, e Christine Charlebois, canadese: otto donne samurai che, seguendo i codici dell’onore e della dedizione, ma accessoriate per conquistare il presente, indossano capispalla e pantaloni di seta, pelle e maglia tessuti al telaio, annodati e cuciti a mano.

 
Più comprensibile, forse perchè nel suo dna, è il Giappone di Yuko Koike, richiamato nella citazione del kimono e dei colori della pittura nipponica: una coloratissima collezione di maglieria con applicazioni di fiori in plastica, dalla venatura pop, dove la lavorazione tradizionale si fa avanguardia senza squilibri. Fulminata dal fascino orientale, infine, la finlandese Elina Määttänen azzarda un matrimonio (contro natura?), tra le linee diagonali del kimono e una tuta aeronautica russa, tentando di far convivere la morbida estetica giap, accentuata dalla tintura shibori dei tessuti, con la funzionalità militare sovietica.


Nodi, pieghe e intrecci, rigorosamente handmade, creano un effetto tridimensionale, ma tra il senso di “calma” e il “caos primitivo” che Elina si propone di trasmettere, la bilancia pende verso il secondo.
Decisamente maschia la collezione di Attila Lajos, ungherese, che immagina un Leonardo DiCaprio versione maudit, e gli disegna un guardaroba tutto denim, su cui sperimenta al limite del maltrattamento pantaloni strappati e lunghi gilet con applicazioni di Swarovski e stampe. Lavora invece sul corpo femminile la tedesca Paula Knorr: una tuta di lycra color carne simula la nudità, su cui pezzi di tessuto lucido e colorato paiono appoggiati da un turbine di vento.
 

Ci riconciliano con l’idea di couture, infine, due collezioni che non odiano le donne. Grafiche e scultoree come installazioni quelle dell’americana Kim Shui, definite da blocchi di colore, curve e intersezioni di linee. Morbide, floreali, dal gusto retrò le signore dell’inglese Richard Quinn, che - dopo tante improbabili guerriere e astronaute - svettano come apparizioni da abiti da sera e soprabiti in tessuti ricamati, dipinti a mano, stampati. Richard la chiama “cracked couture”, perchè finge di strappare i suoi modelli e di ricomporre diversamente i pezzi originari, ma non c’è niente di spezzato in questa giovane alta moda, solo gusto e poesia.
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Cracked Couture di Richard Quinn a Trieste


sabato 9 maggio 2015

MODA & MODI
 
ITS 2015, quaranta potenti inventori della moda che non c'è...


Adi Lev Dori, anello da naso (Israele)

Il debutto della Finlandia e della Svizzera, che piazzano due giovani designer tra i finalisti fashion. L’orgoglio degli Emirati Arabi, arrivati a un soffio dai migliori con una collezione sporty-chic che non ce l’ha fatta a superare l’ultimo round delle pre-selezioni. Il riscatto del Vecchio Continente, quest’anno rappresentato a Trieste in tutte le latitudini, dalla Lituania all’Ungheria, dal Belgio alla Francia, dall’Irlanda alla Germania, dalla Polonia alla Serbia, dalla Georgia alla Turchia, all’immancabile Gran Bretagna.

Bojana Nikodijevic (Serbia)
 Il riequilibrio, in generale, della rappresentatività, con tigri e dragoni asiatici - Giappone, Cina, Corea del Sud - tenuti a bada dalla rimonta di americani, canadesi, europei, questi ultimi finalmente un po’ in pace con il peso della tradizione e dei grandi nomi del passato, e da una pattuglia di agguerriti israeliani, ispirati nella creazione dei gioielli.

L’Italia sarà presente solo con una sua scuola, la Domus Academy di Milano, dove si è formata la designer serba selezionata nella categoria “accessori”. La giuria lavora come in alcuni talent vocali: “blind view” al posto di blind audition, ovvero esame dei progetti senza nomi di scuole o nazionalità. Originalità, tecnica, doti artistiche di ciascun concorrente fanno la graduatoria.


"Cracked couture" dell'inglese Richard Quinn
Come ogni anno, ITS traccia la sua, personalissima, geografia del talento e disegna una mappa della creatività internazionale, in uno scacchiere del design che a ogni edizione cambia e ridistribuisce i “pesi”, rivoluziona i confini e le traiettorie. Perchè sì, anche la moda ha i suoi pesi, non solo politici ed economici ma in termini di scuole, formazione, giovani risorse che si mettono in luce sulla loro prima passerella e vengono subito intercettate per portare energie, idee, potenzialità nuove, spesso a migliaia di chilometri di distanza.

L’edizione 2015 del concorso triestino di moda, accessori, gioielli e “artworks” ha toccato quest’anno 950 domande di partecipazione da 256 scuole e accademie di fashion design nel mondo.
 I cappelli dell'inglese Leo Carlton

Nei giorni scorsi, le quattro giurie al lavoro nella sede di Eve, l’agenzia che lo organizza da quattordici anni, hanno selezionato i magnifici quaranta giovani finalisti, dieci per ogni categoria, portando così a cinquecento quella che Barbara Franchin, anima della kermesse, chiama la “ITS family”, la famiglia (e soprattutto la rete) di ex finalisti oggi al lavoro negli uffici stile di grandi brand o protagonisti nelle settimane della moda con la loro firma.
 
Uno per tutti: il georgiano Demna Gvasalia, vincitore di “ITS Three” nel 2004, allora ospitata in un magazzino del Portovecchio. Dopo l’apprendistato da Margiela negli anni d’oro, nel 2015 è stato selezionato tra gli otto finalisti del Lvmh Prize, il più ricco premio della moda dedicato a brand emergenti, e ha conquistato la stampa con la sua griffe Vetements, sfilando in un vecchio gay club di Parigi.


Demna tornerà quest’anno a Trieste, nella giuria fashion, accanto a Nicola Formichetti, direttore creativo di Diesel, a Oriole Cullen, curatrice della sezione Contemporary Textile and Fashion del Victoria & Albert Museum di Londra, a Giovanni Pungetti, ceo di Margiela, al designer Diego Dolcini, alla blogger Susie Bubble, e a molti altri tra giornalisti, cacciatori di teste creative, esperti d’arte che andranno a formare le giurie definitive.
 

La geografia dei concorrenti, dunque. «Dall’Argentina allo Zimbabwe, 79 nazioni in gara, di cui, tra i finalisti, ne sono rappresentate 21», sintetizza Barbara Franchin, fresca vincitrice, proprio per la sua creatura ITS, del Premio Barcola 2015, che le verrà consegnato sabato, alle 11, nella sede della Regione in piazza Unità.

«L’Europa quest’anno è molto protagonista - racconta - con il maggior numero di iscrizioni da Germania e Inghilterra.

La donna di Paula Knorr, giovane designer tedesca
Svizzera e Finlandia sono esordienti ma propongono due progetti fortissimi, entrambi da tenere d’occhio. Ci sono sempre i creativi puri della scuola Coconogacco di Tokyo (fondata da due ex ITS) e tre finalisti dalla Central Saint Martins di Londra, in passato un po’ sottotono.
Diciamo che, in genere, dal nostro punto di osservazione, il mondo della moda giovane si è “riequilibrato”.

Qualcosa si sta muovendo anche dall’Africa, fascia Nord e Sudafrica, ma i concorrenti non sono ancora all’altezza di ITS». Piccolo rimpianto: la designer triestina di CollaneVrosi, Lodovica Fusco, ha mancato per un soffio la rosa dei finalisti con una collezione di prototipi in legno, anelli, bracciali e collari, molto apprezzata dai giurati.

Il tema scelto quest’anno a far da filo conduttore e da “contenitore” al concorso è “The future”. Lo vedremo sviluppato l’11 luglio, all’ex Pescheria, nella serata conclusiva di ITS, quando sfileranno le collezioni dei dieci finalisti e della vincitrice 2014, l’inglese Katherine Roberts-Wood. In mostra si potranno vedere gli accessori, i gioielli e gli artworks, quest’ultima categoria aggiuntasi l’anno scorso e sostenuta da Swatch, che richiede ai concorrenti un progetto speciale a forte tasso creativo. Centomila euro il monte premi in palio, offerto dai consueti sponsor Otb (la holding di Renzo Rosso), Ykk, Swarovski, Samsung Galaxy, cui si affiancano le istituzioni territoriali Regione, Comune, Acegas-Aps, Fondazione CrT.
 
Temi e trend di Its 2015? Franchin parla di «una generazione di potenti inventori», che pensa e disegna abiti e complementi d’abbigliamento ancora non entrati nel nostro guardaroba, eppure sa anche ritornare all’arte delle lavorazioni manuali, abbandona la tridimensionalità per sferruzzare, cucire, ricamare, dipingere a mano. Vestiti, scarpe e borse nascono da uno strano connubio tra materiali vecchi e nuovi, legno antico e pvc, vetro, silicone e spugna, trattati insieme come a creare un ponte fra passato e futuro.


 È un vestiario immaginario, fatto di accessori che hanno forme studiate per il luogo dove devono essere collocati (come le borse geometriche da incastrare al tavolo, a spessore variabile, dell’austriaca Isabel Helf), o sperimentano incroci temerari di materiali (ancora borse, in pelle e vetro, assemblate dalla turca Nadide Begüm Yildirim), un armadio fantastico di copricapi semoventi (Leo Carlton, che arriva dall’Inghilterra dei cappellai matti per eccellenza), anelli che si illuminano con elementi elettronici (della bulgara Iskren Lozanov), occhiali-maschera con lenti sollevate da ingranaggi (di Viktorija Agne, lituana).
 
I gioielli si allungano in territori inesplorati del corpo, diventano anelli da naso (Adi Lev Dori, Israele), da bocca, ornamenti da spalla, collane artistiche che perimetrano il corpo, lo definiscono e gli assicurano uno spazio vitale, di decompressione dagli altri (la cinese In Wai Kwok).


Perchè lo spazio e la nostra relazione con quanto e chi ci circonda, è il filo conduttore di tutti i progetti. Prendiamo gli abiti, canovacci su cui scrivere storie di forte individualità. Sono teatrali (l’alta moda dell’inglese Richard Quinn, poetica e decadente), colorati, spesso frutto di lavorazioni e materie sperimentali, inventate. È come se questi vestiti parlassero: maschere e corazze che distinguono e proteggono chi c’è dentro, lo rendono inconfondibile e, per questo, unico ma anche solo.
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La giapponese Yuko Koike si ispira a colori e tecniche del kimono

giovedì 26 marzo 2015

THE FASHION AWARD

ITS 2015, The Future è qui 


Una delle creazioni di Maiko Takeda, vincitrice del Vogue Talents Award 2014, scelta come immagine per il lancio di Its 2015

È il futuro il tema che caratterizzerà ITS 2015. Edizione numero quattordici per il concorso triestino di moda e accessori, che nel tempo si è arricchito di una sezione gioielli e, l’anno scorso, di quella “artworks”, trasversale alle altre, che premia progetti ad alto contenuto di creatività, inaugurata dalla vittoria della goriziana Virginia Burlina. Da pochi giorni è scaduto il termine di partecipazione, ma gli ultimi portfolio dei giovani designer stanno ancora arrivando in piazza Venezia, sede dell’agenzia Eve di Barbara Franchin, che organizza la kermesse. È probabile che per i ritardatari ci sia un po’ di tolleranza, tenendo conto che molti plichi vengono spediti da paesi all’altro capo del mondo, e non solo secondo la geografia della moda. Quando anche l’ultimo sarà stato scartato e catalogato, come ogni anno si supererà abbondantemente quota mille.
The future, dunque. Che non è il tema su cui si eserciteranno i concorrenti, bensì quello che farà da filo conduttore alla comunicazione e alla scenografia di ITS 2015. E di una boccata di ottimismo c’è davvero bisogno, perchè la stagione di crisi ha inevitabilmente costretto anche il concorso triestino a “sorvegliare” il bilancio della prossima edizione. La serata conclusiva all’ex Pescheria è fissata per sabato 11 luglio, quando sfileranno i dieci finalisti della sezione moda e si apriranno le mostre di gioielli, accessori, pezzi e installazioni d’arte, ma la settimana della moda comincerà già giovedì con l’arrivo di concorrenti e giurati. Confermati anche i quattro sponsor che sostengono il concorso, Otb (Only the brave, la holding di Renzo Rosso), Ykk, Swarovski e Swatch, quest’ultimo patrón della sezione artistica, tenuta a battesimo l’anno scorso dal cantante Mika e dalla sorella Yasmine, entrambi collaboratori del brand.
Cambiano i premi, ora chiamati “ITS Award” e aggiudicati in collaborazione con il relativo sponsor, quest’anno tutti della stessa consistenza. Nel settore fashion, per esempio, ci sarà un “Its Award” offerto insieme a Otb, di 10mila euro, che assicurerà al vincitore anche l’opportunità di tornare il prossimo anno a Trieste con un suo progetto, e un “Otb Award” di 5mila euro con stage all’interno dell’ufficio stile di uno dei brand della holding: Diesel, Maison Margiela, Marni, Victor&Rolf. Questi riconoscimenti prendono il posto del Diesel Award di 25mila euro e del “Fashion collection of the year” di 15mila, vinti nel 2014 rispettivamente da Zoe Waters e Katherine Roberts-Wood, entrambe inglesi). L’agenzia Eve, inoltre, metterà a disposizione dei finalisti di quest’edizione 5mila euro per realizzare i progetti da presentare in Pescheria.
Stesso bottino in palio per l’area accessori, giunta al traguardo dei dieci anni e sostenuta da Ykk: 10 mila euro l’Award congiunto di organizzatori e sponsor, con un biglietto di ritorno a Trieste nel 2016, 5mila per il Ykk Fastening Award, il cui vincitore si ritroverà a settembre anche sulle pagine del magazine inglese Dazed&Confused, e 5mila euro offerti da Eve ai finalisti per completare il lavoro.
E così saranno 10mila, rispettivamente, gli euro per chi spunterà l’ITS Jewelry Award assegnato con Swarovski e l’ITS Artwork Award con Swatch (oltre al ritorno a Trieste nel 2016), 5mila quelli dello Swarovski Award e dello Swatch Award, cui si aggiungono i mille con cui entrambi gli sponsor gratificano ogni finalista per mettere a punto la sua idea. Al proprio riconoscimento, inoltre, Swatch affianca una internship remunerata di sei mesi nel suo laboratorio creativo di Zurigo.
Tremila euro, infine, per un designer di moda o accessori, sono messi in palio da “Eyes on Talents”, piattaforma online che stana i migliori talenti emergenti, mentre Vogue Talents, la sezione del sito di Vogue dedicata alle promesse del design, assegnerà a sua volta un premio per abiti o accessori che consiste in un servizio sulla rivista.
Le quattro giurie saranno al lavoro una prima volta a fine aprile nella sede di Its, dove trova spazio anche l’ormai consistente archivio creativo, arricchito ogni anno dai pezzi lasciati a Trieste da ciascun finalista (gli abiti hanno toccato quota 200, 100 sono gli accessori, 60 i gioielli, 700 le fotografie digitali più 13mila portfolio, a raccontare i quattordici anni della manifestazione ma soprattutto i percorsi e le direzioni della creatività giovanile di tutto il mondo).
Dal primo confronto tra i giurati usciranno i dieci concorrenti finalisti di ogni sezione, che vedremo l’11 luglio al Salone degli Incanti, ma saranno chiari anche i temi comuni, le intersezioni, le suggestioni dei giovani designer. Ogni anno, dopo la selezione dei finalisti, Its comunica infatti il “trend report” dell’edizione: una radiografia di immagini, motivi, concetti comuni che percorrono l’universo creativo dei designer da un continente all’altro.
Its 2015 vivrà intensamente le fasi di avvicinamento alla serata conclusiva anche sui social. I contenuti condivisi con l’hashtag #itscontest finiranno nella pagina aggregatrice live.itsweb.org: un diario di parole e immagini per rendere già “presente” il futuro immaginato dei talenti in gara.
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Mika e la sorella Yasmine Penniman a Trieste nel 2014 ospiti di Its (foto Lasorte)

domenica 13 luglio 2014

L'EDITORIALE

Trieste e ITS, l’isola che seduce i fashionisti

 
Bagnanti a Barcola, nella "pervestita" Trieste (foto di Andrea Lasorte per Il Piccolo)



Tutti gli ospiti di ITS concordano: è bello venire a Trieste perchè è defilata, lontana dalle latitudini obbligate della moda, non scontata. Nella città che d’inverno si rifugia sotto i berretti col pon pon e d’estate sciama verso il mare con la brandina incorporata, dove meteorologia e sport dettano a tutti abiti senza ghiribizzi e fantasie, proprio qui, ai confini dell’impero, e soprattutto del fashion, da dieci anni ogni estate converge il mondo internazionale della moda.
E si sorprende.
Dell’isolamento, prima di tutto, la dannazione degli organizzatori del concorso, come se l’irraggiungibilità fosse per una volta parte di un evento per pochi. Del mix tra rigore asburgico e mollezza balcanica,del profilo aristocratico dei palazzi che convive con i chilometri di pelle srotolati sull’asfalto, dei tempi del lavoro che sconfinano in quelli della vacanza e dettano un passo rilassato, eccitante per i non autoctoni. Del suo essere, Trieste, una tabula rasa della moda,non satura,non estenuata, non stressata, non “ho-visto-già-tutto e niente-mi-sorprende”, insomma un grande libro bianco dove i giovani aspiranti stilisti si sentono liberi di sperimentare, osare, travalicare, e tutti gli altri di osservare senza sentirsi osservati, di partecipare al gioco della creatività fuori dai codici e dai rituali che la moda detta nei suoi luoghi canonici, a New York come a Milano, sterzando oggi per Brasile ed estremo oriente. Perchè la “pervestita” Trieste, che ha partorito grandi stilisti madi moda non produce nemmeno uno spillo, riesce da undici anni a organizzare e ospitare uno dei più importanti concorsi per designer emergenti? È vergine, spiegano gli esterni, può permettersi di essere eccentrica. E ha un antico allenamento a mischiare provenienze e culture.
Per Barbara Franchin, che l’evento l’ha inventatoe consolidato, il segreto è aver cresciuto
ITS come una famiglia. Con dedizione, ma soprattutto con la determinazione di creare una rete dove aziende e giovani incrociano richiesta e offerta, una banca dati con migliaia di nomi, un archivio in evoluzione, un rapporto vivo con le scuole, un tessuto di legami che sono amicizie e affetti ma sanno mettere in moto una macchina economica.
Difendendo la “straordinarietà” del luogo, anche quando le istituzioni pubbliche non hanno collaborato.
“Secluded”, ripetono gli ospiti. Appartata. Qui la moda è davvero “delocalizzata”: e per una volta, questa parola non suona male.

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ITS 2014 a Trieste

La notte delle camaleonti e delle bikers


Mika con la sorella Yasmine
Nella notte di Mika e Anita Kravos, sulla passerella di Its 2014 nell'ex Pescheria di Trieste, trionfano due stiliste inglesi. Vince il "Fashion collection of the year" di 15 mila euro e il premio Vogue Talents, la collezione di Katherine Roberts-Wood.
Un modello di Katherine Roberts-Wood
Le sue sono femmine-camaleonti, che si muovono in tessuti doppiati in due colori e tagliati al laser: grigi e rosa, neri e ciclamino, ricordano la pelle di un animale, che può mimetizzarsi o imporsi sugli altri, donna-geco o donna-pavone, seguendo l'istinto. Si aggiudica il Diesel Award di 25mila euro e i sei mesi di stage da Renzo Rosso, Zoe Waters, con le sue bikers total-pelle (eco, of course, come vuole il concorso), in giacche, trench e giubbotti pronti a stendersi, accorciarsi, sovrapporsi grazie a geometrici giochi di zip.

Le bikers della designer Zoe Waters

Il premio di ShowStudio, con la produzione di un film e la vendita dei modelli nella celebre agenzia londinese di Nick Knight, va alla raffinata riedizione dell'uomo d'affari giapponese di Yasuto Kimura, concentrato di senso di responsabilità e divertissement: tutto grigio e nero, con immancabile camicia immacolata su bermuda o pantaloni fluidi, si concede maniche da travet indossate come un accessorio da dandy e giacche che inglobano lo zaino.
Gli uomini di Yasuto Kimura
Le mascherine anti-smog, ossessione far east, coprono l'intera faccia con un gioco di plissè, quasi come in un contemporaneo teatro kabuki. «Un concetto semplice e allo stesso tempo forte», ha commentato a caldo Marie Schuller, filmmaker di ShowStudio. «Questo designer non è andato a fare ricerche, vende abiti di mestiere e ha mostrato se stesso, il suo mondo e come può trasformarlo».
La Camera nazionale della Moda Italiana, con 2.500 euro e un'internship da Trussardi ha scelto invece gli uomini della slovena Natalija Mencej, ispirata dai camionisti "dekotora", che divorano l'asfalto con i loro bestioni decorati maniacalmente di neon e vernici. Mascolinità e sensualità, occidente e oriente, in questa collezione pulita, di giacche reversibili che all'interno riproducono le tracce degli pneumatici, da "driver" aggressivo ma con insospettabili vezzi. Il Fashion special prize di 5 mila euro se l'è aggiudicato l'islandese Anita Hirlekar, maestra di lavorazioni certosine, e il Modateca Award di 3mila euro la tedesca Anna Bornhold, con i suoi teneri maschi in maglioni oversize, un po' rifugio un po' manifesto "green".
Nella passerella finale i riflettori erano puntati tutti su Mika, sorridente e gentile nella front row con l'ambrata sorella Yasmine, nota nel mondo artistico come Dawack. Per due giorni, senza risparmiarsi, la popstar si è concessa alle fan di ogni età, galvanizzate da un passaparola web viralizzato in pochi secondi all'annuncio dell'incursione triestina da giurato. Vicino ai fratelli star, meno note al grande pubblico ma tutt'altro che a rischio di passare inosservate, le "opere d'arte viventi" Eva & Adele, moglie e moglie (convolate, dopo lunghissima convivenza, solo dopo che lui, Eva, è diventato legalmente una lei...) e poi le tante "celeb", alcune ormai di casa: Renzo Rosso col figlio Andrea, il direttore artistico di Diesel Nicola Formichetti, Carla Sozzani, Anna Orsini, "strategic consultant" da 24 anni del British Fashion Council, autentica guru dei talenti, la blogger Susie Bubble (che aveva "fiutato" in anticipo la goriziana Burlina), Consuelo Castiglioni di Marni. E, naturalmente, l'anima di ITS, Barbara Franchin.
Anita Kravos, arrivata in corsa a sostituire la presentatrice "storica" Victoria Cabello, non l'ha fatta rimpiangere. Con tanta grazia teatrale, qualche citazione ispirata, a partire da Sheakespeare e dalla "materia dei sogni", Anita è apparsa in un abito haute couture nero con gonna a palloncino e cinturina bianca, firmato dagli emergenti italiani Co/Te (scelto da lei e non brandizzato dagli sponsor: «Bisogna sostenere i talenti, o no?»), su tacchi ad ago vertiginosi, questi sì griffati Casadei.
Nessun problema per lei, poliglotta, a destreggiarsi nell'obbligato copione dei ringraziamenti a sponsor e autorità, tra gli altri il sindaco Cosolini, la governatrice Serracchiani, il presidente della Provincia Bassa Poropat, vice e assessori.
Dopo i premi, per molti designer il "lucid dream" è diventato vero, tra emozioni e aspettative. E la festa nel salone "incantato" della moda è andata avanti fino a notte fonda.

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Anita Kravos presenta ITS 2014

domenica 18 luglio 2010

E' ITS NINE A TRIESTE
Il giapponese Takashi Nishiyama e il suo cacciatore di mostri vincono la nona edizione del fashion contest


TRIESTE L'ultima uscita sulla passerella di ITS Nine ci riconcilia con la moda e con i suoi capricci, anche se non vince nulla. Sfila la collezione femminile di Sideral(Es), gruppo di creativi nato proprio per partecipare al concorso triestino con un progetto originale, che parla in parte italiano, una vera rarità tra i nuovi talenti, e in parte anche friulano, merito dei gioielli del lignanese Francesco Sbaiz, in arte "Dna 79".


Sideral(Es)
Le donne vestite da questi giovani designer vivono in simbiosi con gli abiti, il loro corpo è accarezzato, valorizzato e non maltrattato, dalle tecniche più innovative nella lavorazione dei materiali.

La colonna sonora si addolcisce e le indossatrici scivolano sulla pista con il numero del modello in mano, come nei defilé silenziosi e sacrali degli atelier "vintage". Indossano abiti di pelle stampata, trattata nei solarium per modificarne il pigmento e poi aerografata, tailleur con crine di cavallo decolorato e piume "pettinate" con l'arricciacapelli del parrucchiere, camicie di chiffon che si arrotolano in plissè di fiori sul petto, completi di paillettes color stagnola come star d'altri tempi.
Li hanno pensati, disegnati e cuciti la brasiliana Roberta Weiand con gli italianiLinda Calugi Fabrizio Talia, finalista della prima edizione. Poi hanno convocato il cappellaio matto inglese Justin Smith, pluripremiato a ITS Six, che li ha arricchiti con costruzioni spericolate e leggerissime, una sfida alla forza di gravità da portare in testa, e il designer Francesco Sbaiz, ideatore di monili che attraversano complesse fasi di lavorazione prima di diventare ornamenti primordiali, tracce di forme impresse nel rame e nell'argento e trattenute da stoffa e neoprene. «Abbiamo voluto dar vita a una vera e propria "factory" creativa - spiegano Linda e Roberta - ma speriamo di poter continuare insieme anche dopo ITS». E, in previsione della sfilata di ieri sera hanno tappezzato la città del numero "22", il loro simbolo, applicato un po' ovunque sui lampioni in glitter che si scioglie con l'acqua. Promozione originale e messaggio involontario: i giovani del concorso hanno voglia di uscire dal recinto artificiale dell'evento di moda, farsi conoscere al di fuori dei suoi addetti ai lavori, incontrare la città che li ospita ogni anno, prima perplessa ora incuriosita.



Ieri sera i "viaggiatori" di  ITS Nine, i finalisti della sezione moda, hanno proposto a pubblico e giuria il frutto delle loro esplorazioni, dedicate soprattutto al maschio, il cui guardaroba è evidentemente un territorio ancora in parte inesplorato per la creatività giovane. Otto delle dodici collezioni scese in passerella nell'ex Pescheria, ai ritmi indie e rock miscelati dagli Electrosacher, sono state dedicate a "lui", se così si può chiamare l'uomo che dovremmo rintracciare, e a cercarlo ci si deve mettere una certa dedizione, sotto questi involucri.

Un transgender, perlomeno, a giudicare dalle tunichette bianche con gilet di pelliccia, in cui lo infila il belga Niels Peeraer, che non a caso ha dovuto arruolare per la sua sfilata indossatori "speciali", quasi degli efebi, e un pre-adolescente autoctono, col petto striminzito e la vita di sessanta centimetri. Esseri - cui è andato uno dei premi minori - che il loro ideatore chiama "geishe", dotandoli anche di sandali col tacco, ci fosse mai qualche dubbio sulla loro bidimensionalità.
Aggiungi didascaliaGli efebi firmati Nils Peeraer

O un maschio disorientato nei colori e confuso tra le stagioni, che abbina bermuda leopardati a un montone fuxia, per una collezione intitolata dalla danese Astrid Andersen, con involontaria lungimiranza visto la calura, "Death in the afternoon". Un maschio che riscopre il colore, in una vitaminica tuta-smoking da sera arancione firmata dal sudcoreano Juho Song, uno dei designer meno arrabbiati col suo sesso, ma che preferisce comunque rintanarsi in una sorta di guscio da pulcino, com'è il soprabito inventato dal tedesco Michael Kampe. E rendersi respingente ai propri simili indossando, dello stesso stilista che ha vinto il prestigioso "Diesel Award" di 25 mila euro, una giacca con lunghi aculei di metallo sulle spalle, una sorta di installazione di antenne che ha richiesto una preparazione anticipata di un'ora rispetto all'uscita del modello in passerella.
 La collezione di Michael Kampe
È piaciuto così tanto ai giurati il "cacciatore di mostri" inventato dal giapponeseTakashi Nishiyama che gli hanno attribuito il "Fashion collection of the year", primo premio da quindicimila euro e ritorno assicurato a Trieste il prossimo anno.
Takashi Nishiyama, Fashion collection of the Year ITS Nine
Il giovane designer dice di essere stato colpito da un impiegato che giocava con questo videogioco, famosissimo nel suo paese, aspettando il treno dei pendolari e di aver pensato uno stile per il lavoratore contemporaneo del Sol Levante. Lavoratore con futuro incerto anche a quelle lontane latitudini, visto che Takashi gli fornisce un cappotto con strascico che può diventare una tenda canadese o un piumone gigante, paradiso dell'homeless, sotto cui si può anche svernare, difendendosi dal freddo e dagli importuni col gigantesco cappuccio a forma di rostro.
Takashi Nishiyama, Fashion collection of the Year ITS Nine

Commenta Elisa Palomino, braccio destro della stilista Diane von Fürstenberg a New York e componente della giuria: «C'è stata una grandissima evoluzione nelle creazioni per l'uomo, che forse hanno "rubato" un po' a quelle femminili il ruolo principale. La scelta è stata difficile perché non mancano i progetti interessanti. Per quanto riguarda gli accessori, quest'anno sono davvero impressionata, anche grazie all'arrivo in forze dei designer del Royal College di Londra. Mi piace che ci sia uno spettro completo di creazioni; bijoux, scarpe, cappelli, borse...».
Silfidi e mostri non scompongono il sindaco Dipiazza, seduto in prima fila e ormai un habitué di  ITS, che negli ultimi mesi si è dato davvero da fare per aiutare Barbara Franchin & Co. a convincere Regione e Fondazione CrT a contribuire al salvataggio del concorso, seppure ridimensionato negli ospiti e negli allestimenti. Tra il divertito e l'attonito il parterre politico, il vice sindaco Lippi, il modaiolo Rovis e il sempre ingiacchettato Greco, il consigliere regionale Bucci e il segretario del Pd Cosolini, che avranno qualche problema, se mai lo volessero, a trovare spunti e idee per rinfrescare l'armadio della campagna elettorale del prossimo anno. Certo molti di più che Renzo Rosso, il re del denim, perfettamente a suo agio tra i sogni e gli incubi di questi studenti, molti dei quali, scoperti a Trieste, lavorano oggi nel quartier generale della Diesel a Molvena, a intercettare gusti e interessi delle nuove generazioni del pianeta. Tra gli ospiti, la stilista Alessandra Facchinetti, già ai vertici di Gucci e poi, per una stagione succeduta a Valentino nella linea donna, ieri per la prima volta a Trieste tra gli "osservatori" a caccia di talenti.
Questa nona edizione di ITS ci lascerà dunque in eredità solo uomini da scenario post-atomico, al di fuori di qualsiasi tentazione, o gli "elephant men" di Takashi? A riscattare le sorti del "genere", prima del gran finale affidato come sempre alla grinta di Victoria Cabello, con i premi e la passerella invasa da tutti i vincitori, arriva l'impeccabile collezione del vincitore dell'anno scorso, Mason Jung, altro sudcoreano, che si è inventato maschi finalmente in camicia, bianca e sartoriale, sotto lunghe giacche e pantaloni smilzi: una raffinata normalità fatta di impercettibili dettagli come il microsparato, uomini finalmente guardabili e abbordabili, in carne ed ossa e senza una tenda come strascico da sposa.

Mason Jung e la sua sartoriale collezione uomo

Quando ancora la voce di Elisa da piazza Unità invade le Rive, l'astronave dei "fantastic voyagers" decolla da Trieste. Riatterrerà il prossimo anno? Al termine della sfilata Barbara Franchin ha chiamato in pista i principali supporter di ITS, Renzo Rosso con il sindaco Dipiazza e i rappresentanti delle istituzioni che hanno finanziato l'evento. Un video presenta il progetto del decennale, "un evento per la città", con mostre di stilisti e fotografi, retrospettive, laboratori sulla moda e il design, coinvolgimento di università e scuole, gallerie e negozi. Un sogno da un milione e mezzo di euro. Nell'anno delle elezioni, delle promesse, dei tanti da accontentare, meglio che gli esploratori, potrebbe essere questo il tema per il 2011, lascino il posto ai guerrieri.

@boria_a

domenica 20 luglio 2008

E' ITS SEVEN A TRIESTE
Il tedesco David Steinhorst vince la settima edizione del fashion contest

Donne col viso nascosto da maschere soffocanti. Donne con elmetti da guerra. Donne con la testa coperta da cappucci e becchi posticci, animali pronti al combattimento. Donne con occhiali da amazzone urbana. Che sollievo quando esce in passerella la collezione del tedesco David Steinhorst, che veste le donne da donne, le cala con grazia in deliziosi abitini da cocktail blu notte, sotto drappeggi trattenuti da inserti metallici, in proporzioni perfette, tagli di antica sartoria. Ha vinto il premio più importante, la Fashion collection of the year a ITS Seven, David, ed è stato un giudizio sacrosanto.


Il vincitore di Its Seven  David Steinhorst




Le sue sono donne senza maschere, scudi, senza impalcature di gommapiuma o gusci da Calimero sulla testa. Donne libere da strumenti da guerra preventiva. Donne lunghe e fasciate, come le immagina il britannico Ross Barnes, infilando le sue silfidi in interminabili vestiti optical, grigi o giallo acido, bordati da decori a spirale. Va meglio agli uomini, ammorbiditi, coccolati, accarezzati da tre belle collezioni: le lane norvegesi di Siri Johansen, le trasparenze polverose del tedesco Adrian Sommerauer, le camicie e i pantaloni rigorosi dell'italiano Filippo Fanini.
Nero e magenta, per una notte, i colori dell'ex Pescheria. Luci e telecamere. La colonna sonora sparata dagli Electrosacher che fa pulsare i muri bianchi sotto il gigantesco cartello, in cima all'ingresso, come un avvertimento: «La creatività non è un peccato». Passerella conclusiva, ieri sera, per le collezioni dei diciotto giovani finalisti alla settima edizione di «Its», i più lontani arrivati da Tailandia, Cina, Giappone, Corea del Sud. Designer che avranno tempo per misurarsi col mercato, ma che in questa prima, grande prova generale del loro futuro, paiono avere una personalissima e a volte un po' deviante concezione dell'eterno femminino.
Rompono il ghiaccio, ben oltre le nove, le signore della spagnola Amai Rodriguez Coladas, con faretra sulla schiena e maschera incollata ai lineamenti come una seconda pelle (e c'è voluto un pressing mica da poco sulle modelle, giustamente riottose a uscire in passerella su tacchi vertiginosi, in apnea e due fessure al posto degli occhi...). Subito dopo ecco i vestiti dell'israeliana Jan Farhi, pantaloni simil-mimetici dipinti sulle gambe e una testa posticcia da mostro di X-Files. E ancora le creature del giapponese Yuima Nakazato, ispirato dagli studi di Leonardo da Vinci a costringere le sue femmine in armature che si aprono svelando ali metalliche, per finire con il «crazyssimo» e ipertecnologico mondo del triestino Andrea Cammarosano, dove le donne sembrano solo tappe di una fase evolutiva, dai vegetali alle rocce e ritorno.
Pazzie, eccentricità, sperimentazioni. Quella di ITS è forse l'ultima vetrina in cui gli allievi designer possono sfogare la loro visionarietà, spingersi fino ai confini di fantasia e artigianalità, prendersi qualche azzardo, prima di mettersi alla prova negli uffici stile di grandi griffe,
costretti a fare i conti con il mercato, la concorrenza, la vestibilità, la produzione industriale e seriale, i bilanci, le delocalizzazioni. Molti dei loro futuri datori di lavoro erano tra il pubblico del Salone degli Incanti, perchè mai come in quest'edizione il concorso triestino ideato da Barbara Franchin ha visto una «calata» di aziende a caccia di emergenti.
Se una piccola delusione per gli organizzatori è stato il forfait della top model Bianca Balti, impegnata in una campagna pubblicitaria internazionale, nel parterre della Pescheria c'erano rappresentanti di Vuitton, Armani, Gucci, Moschino, Vivienne Westwood, Raf Simons, Margiela, Hogan, Adidas, Morellato, Moroso, Rinascente. C'erano Giovanni Acconciagioco, socio di Lapo Elkann nella griffe del rampollo Agnelli, Italia Independent, insieme al designer del marchio, Andrea Compagnone, e ancora la londinese Mandi Lennard, cacciatrice di talenti, l'americana Diane Pernet, pure lei potentissima «fiutatrice» (era quella affascinante signora che spiazzava i non addetti ai lavori con un look preso a prestito da un telefilm di Zorro...), c'era Elisa Palomino, braccio destro di Diane von Fürstenberg a New York e la direttrice del museo di design e arti applicate contemporanee di Losanna, Chantal Prod'hom, sempre sensibile alle manifestazioni al confine tra arte e moda. Renzo Rosso, il signor Diesel, principale finanziatore del premio, è arrivato col suo jet privato direttamente dalla
Spagna. Non ha mai mancato una finale, perchè dal «serbatoio» di Its sono usciti ed escono ancora molti dei creativi che lavorano alle sue tante linee, dal denim agli accessori al pret-à-porter di lusso.
Ex Pescheria zona franca della creatività. E, per una notte, davvero Salone degli Incanti, nel senso traslato. La passerella di una delle grandi capitali della moda, con la stessa maniacale e puntuta organizzazione, calata negli spazi immensi del fu mercato ittico, mai come in questa occasione apparentemente compressi, insufficienti, vibranti, vivi.
Victoria Cabello conduce la serata in inglese a ritmo serrato, senza i birignao che rendono insopportabile il cerimoniale dei premi. Tra le autorità locali, un parterre abbastanza nutrito: sindaco Dipiazza e signora, la presidente della Provincia Bassa Poropat, gli assessori comunali Greco e Rovis e il consigliere regionale Bucci, fan della prima ora, quando in piazza Unità a «Its» credevano in pochi, forse nessuno. Non si avvistano assessori, o assessore, regionali. Dopo la proclamazione dei vincitori, l'ultima passerella è per tutti. Un frullato, più che un incrocio, di nazionalità, di lingue, di pelli, di tratti. Come gli abiti che sono appena usciti: quelli di un giapponese sedotto da Leonardo o di un'italiana, Alithia Spuri Zampetti, che guarda all'architettura di Tadao Ando. Di un cinese, Yang Du, affascinato dall'Egitto, e del tailandese Ek Thongprasert, il vincitore dell'anno scorso, che ha portato a Trieste il risultato del premio, una raffinata collezione nelle sfumature di Renoir e Van Gogh.



Diane Pernet
Società globale sembra una parola fuori posto, sfruttata e inadeguata. Qui gli incastri sono infiniti e più sottili, come quelli di un caleidoscopio. E il gene comune è la capacità di immaginare e intercettare il futuro, proprio quello che Trieste aspira a fare.