Giorgia Caovilla, il tacco dodici tagliato a metà
Scendere, se di cognome fai Caovilla, può sembrare un'impresa ancora più difficile che salire. Lo stiletto ce l'hai nel dna e anche la filosofia del tacco dodici. Ma Giorgia Caovilla, figlia di René, il mago delle scarpe gioiello dall'altezza mozzafiato, non si è lasciata spaventare dai geni. E dopo undici anni a farsi le ossa nell'azienda paterna, nel 2010 lancia la sua griffe, O Jour, scarpe di lusso con un pregiudizio da sfatare: il mezzo tacco.
Giorgia Caovilla |
Le modaiole li chiamano pomposamente "kitten heels", ma intorno ai cinque, sette centimetri, la diffidenza si addensa comunque. Si sprecano i manuali su come evitare di franare dai trampoli, ma non c'è libro a rincuorarci sul fatto che l'altezza dimezzata non equivale a zitellaggio.
Lei, la quarantenne Giorgia, i pregiudizi se li è messa proprio sotto i tacchi. E in tempi di crisi, ne ha fatto una bandiera: scarpe più discrete, eleganti ma non gridate, che si fanno guardare senza tormentare. In tre anni ha conquistato uno spazio in America, terra di "Manolo's" e Jimmy Choo, dove vende in dieci dei 72 punti vendita del department store di Neiman Marcus, e poi in Russia, Cina, Corea, Giappone. «È tutto partito da una mia esigenza - racconta - e da un prodotto che non trovavo sul mercato. Più che di dna, direi che si è trattato di consapevolezza e di voglia di creare una scarpa mettibile, piacevole, quotidiana».
Lei ha lavorato per undici anni con suo padre René. Che cosa ha portato con sè di quella lunga esperienza?
«Un grande insegnamento, in tutti i campi. L'esperienza ha rafforzato la consapevolezza di che cosa stavo per affrontare quando ho creato il mio marchio. Non è possibile partire se non c'è conoscenza del prodotto e dei suoi tempi di realizzazione. Ci vuole uno zoccolo di esperienza per mettersi sul mercato, soprattutto in un momento di crisi e con un'offerta già ampia. Questo è stato il mio valore aggiunto».
Quando ci si chiama Caovilla, lanciare il proprio brand è più facile o più difficile?
«Non è facile far passare un messaggio nuovo. È chiaro che si viene sempre associati a quello già esistente. Io invece volevo fare un prodotto diverso e soprattutto con una filosofia diversa. In questo senso, non mi ha aiutato. È stato difficile dire: guardate che ho qualcosa da dirvi che non c'entra niente con quello a cui siete abituati. La credibilità del nome, invece, mi è stata d'aiuto e non lo nego».
Suo padre una volta ha detto: un uomo è attratto dal tacco alto anche quando non lo vede. Perchè una donna è diversa con lo stiletto, anche se è nascosto dai pantaloni. Che cosa ne pensa?
«La differenza non è tra tacco alto e medio, perchè entrambi ingentiliscono la figura, è tra tacco e non tacco. Bisogna sfatare un pregiudizio: anche i "kitten heels" danno una certa postura, un certo slancio alla figura, proprio come i dodici».
Quando si dice "mezzo tacco", però, vien subito in mente un'immagine da zitella, o no?
Un modello O Jour di Giorgia Caovilla |
Dall'alto dei suoi cinque-sette centimetri, voleva dare un taglio al passato?
«Direi che ha prevalso la richiesta di certi mercati. Prendiamo la Russia: tacco 12 per le décolléte e tacco basso per gli stivali. Quando ci si propone e si vuol essere competitivi, non si possono ignorare le esigenze dei compratori. Faccio anche le ballerine, molto amate in Corea. Se il nostro brand lì è riconosciuto e apprezzato, perchè non venire incontro a quello che il mercato chiede?».
Se la immagina Sarah Jessica Parker, Carrie di "Sex&TheCity" con un paio di O Jour?
«Ma certo, è una fashion victim, e oggi la via di mezzo è una tendenza moda. Basta plateau e stiletti, ci vogliono equilibrio e moderazione anche nel tacco».
Però adesso fa anche lei i dieci centimetri... Pentita?
«Ma no, non ho abbandonato il mio obiettivo, solo completato la collezione. Alcuni mercati, come gli Emirati Arabi e la Russia, per cultura e forma mentis, cercano il tacco...».
Gli Emirati?
«E pensare che si stanno moderando anche loro, prima li volevano ancora più alti...».
Il sociologo Tim Edwards dice: con un tacco dodici si cammina sul set di un film porno. È d'accordo?
«Assolutamente no. Non equivale per forza a dire: sono sfacciata. Piuttosto, il plateau: l'ho fatto e messo anch'io, ma ormai è passato. Lo rigetto proprio».
Gli stiletto invece?
«Certo che lo porto. A tutte le feste, alle grandi serate».
Lei ha una testimonial eccellente, Taylor Swift. Chi le piacerebbe ancora vedere con le sue scarpe?
«Sono molto orgogliosa di Taylor, che ha 23 anni, e ha decisamente cancellato il pregiudizio che il mezzo tacco vuol dire mezza età. A parte lei, la mia cliente-modello è Charlotte Casiraghi, giovane, elegante ma non scontata, legata al mondo sportivo. Anch'io uso elementi dello sport: il cuoio, la selleria».
Come identificherebbe i mercati con un dettaglio fashion?
«L'America ama i sabot, la Corea i fiocchi, il Giappone i colori tenui, pastello».
Che cosa non le piace della moda di oggi?
«Non sento proprio i plateau. Nè certe stampe con fantasie eccessivamente spudorate. Sono troppo riconoscibili, standardizzate, identificative di un marchio. Ci rendono cartelli pubblicitari e appiattiscono la voglia di diventare qualcosa di diverso».
La prima scarpa che l'ha convinta a disegnarle...
«Non una scarpa, ma una donna: mia nonna. Lavorava in azienda ed era molto dedita al prodotto in sè. È lei che mi ha trasmesso il piacere di incollare, di creare un fiocco. Mi faceva giocare con gli strumenti, ma i miei esperimenti non restavano tali, magari poi diventavano un ornamento, lo spunto per creare un particolare della scarpe. Da lì, è cominciato tutto».
twitter@boria_a
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