Politically ipocriti
Prima lo spot di Dolce&Gabbana con la giovane donna cinese che non riesce a mangiare pizza, spaghetti e un cannolo con i bastoncini. Poi la scimmietta Otto di Prada, accusata di “blackface”, ovvero di scimmiottare, è il caso di dirlo, il make up con cui gli attori bianchi interpretavano i neri, caricaturandone i tratti somatici. Ultimo in ordine di tempo il maglione-passamontagna nero di Gucci, con l’apertura per la bocca fortemente sottolineata in rosso, pure lui tacciato di razzismo.
A caricare la dose, il regista Spike Lee, che, a pochi giorni dal red carpet di Los Angeles, dove è ancora una volta candidato all’Oscar per “BlaKkKlansman”, ha fatto sapere al mondo di boicottare entrambi i brand, invitandoli ad assumere stilisti neri in grado di discernere l’opportunità di certe scelte. La rete fa il resto, surriscaldando la sua sconfinata platea. A dare il via alla caccia a Otto, un’avvocata attivista di New York che, avvistato l’animale-accessorio in una vetrina di Soho, l’ha inchiodato su Facebook.
Stessa sorte per il maglione Gucci, che un’utente ha postato su Twitter giudicandolo offensivo nel “black history month”, il mese di febbraio, quando Usa e Canada celebrano la diaspora africana.
Prada e Gucci, brand aperti e inclusivi, hanno ritirato subito i pezzi contestati con tante scuse. Ma di che? Dolce&Gabbana, certo sessisti più che razzisti, (“è troppo grande per te?” suggeriva alla ragazza una voce maschile fuori campo...) si sono goffamente cosparsi il capo di cenere senza nemmeno provare a chiarire la loro scelta promozionale, per quanto poco felice.
Il maglione Gucci accusato di razzismo |
Trionfa un politically correct acritico e un po’ untuoso. E la moda, dove la libertà è (o dovrebbe essere) la regola, per l’interesse economico sfoggia una gigantesca coda di paglia.
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