martedì 21 maggio 2019

MODA & MODI

Fegato da mutanda 


Janties di Y/Project alla Parigi Fashion Week



Janties, jeans più panties: una crasi di inglesismi che in pratica significa mutanda di denim. Ai microshorts, già spuntati con i primi caldi, abbiamo da tempo allenato l’occhio, versione rieditata dei Jesus di chi mi ama mi segua, che nel 1973 si incollavano con sommo scandalo agli imperiali glutei della modella Donna Jordan e oggi democraticamente si appiccicano a sederi di chiunque. Che novità allora? I janties sono un azzardo in più, spostano l’asticella del buon gusto e delle proporzioni.

Nel nome ibrido e poco seducente, sta tutta la loro natura insidiosa.
Caduto anche l’ultimo ritaglio che li assimilava ai pantaloncini, per quanto minimali, inguinali, sono nient’altro che un paio di sgambatissime mutande, quasi un pampers, nobilitate dal tessuto di jeans e da una cintura da mettere in vita che cerca di farle passare per un epigono di pantalone. Finora sono un esercizio da web, avvistate sulle star di Instagram, che comunque ci infilano sotto un altro paio di calzoncini o addirittura pantaloni lunghi, in modo che i janties non sembrino altro che un accessorio inutile, divertente e innocuo (a parte per il portafoglio, la versione dei francesi Y/project costa quasi trecento euro). 

Faranno proseliti nella loro versione integrale?
È probabile, vista la ormai capillare diffusione degli shorts urbani, a ogni stagione più striminziti, portati da tutte come se non ci fosse non solo un domani ma soprattutto uno specchio.

Di lì alla mutanda il passo è breve. Di buono c’è che i janties hanno risvegliato una categoria da tempo defunta: il senso critico nella moda (almeno in chi la osserva). Così, tra i must have, le cose it e hot, i mai più senza, le fotogallerie irte di punti esclamativi dove non c’è una riga una che non sia di assoluta meraviglia, rispunta l’aggettivo perduto: orrendo.
I janties sono orrendi. Per metterli di bestiale non serve il fisico, ma il fegato.

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