Ninfa dormiente di Ilaria Tuti
in anteprima il secondo thriller ambientato in Val Resia
L’editore Longanesi ha puntato forte su di lei. Cinquantamila copie per il secondo thriller di Ilaria Tuti, “Ninfa dormiente”, che da lunedì 27 maggio sarà in libreria (pagg. 380, euro 18,60). L’autrice lo presenterà domenica 26 maggio in anteprima nel suo paese, a Palazzo Elti alle 18, in dialogo col direttore editoriale Giuseppe Strazzeri.
Dopo l’exploit dell’anno scorso con “Fiori sopra l’inferno”, giallo ambientato nell’immaginario paese di Travenì nelle Dolomiti friulane, l’attesa per il secondo mistero con protagonista l’ispettrice sessantenne Teresa Battaglia, è altissima e il numero di copie stampato dall’editore lo conferma. Mentre nel 2018 il primo romanzo occupava per nove settimane la top ten delle vendite in Italia e poi viaggiava nel mondo, venduto alla Fiera di Francoforte in ventidue paesi prima ancora di vedere le stampe, Ilaria Tuti, tra un tour di presentazione e l’altro, si è rimessa subito al lavoro e, a poco più di un anno di distanza, ha impegnato la sua acciaccata profiler in un’indagine che ancora una volta parte da lontano.
Ilaria Tuti fotografata da Beatrice Mancini |
Un “cold case” negli ultimi giorni della guerra partigiana in Val di Resia, per risolvere il quale l’investigatrice, diabetica e con una memoria fragile quanto le sue antenne sono sensibili e sempre all’erta, dovrà scavare tra silenzi, segreti, paure, tradizioni e rituali, difesi gelosamente da ogni intromissione da un popolo antico. Il thriller non fa prendere fiato al lettore, spostando e depistando continuamente la sua attenzione tra una miriade di personaggi e di circostanze, disseminando prove e indizi, incrociando passato e presente, storia e memoria, con una nota di costante tensione e inquietudine che l’autrice è abilissima ad alimentare in ogni pagina. Complice un mondo chiuso e delicato, un paesaggio incombente e un testimone reale, che ha condiviso con Tuti un ricordo di bambino diventato filo robusto della trama.
Chi è la Ninfa dormiente? Un quadro, il ritratto di un’esotica e bellissima ragazza, dipinto con una sostanza raccapricciante: sangue di donna. L’autore dell’opera è un partigiano della Garibaldi, Alessio Andrian, che depose per sempre i pennelli il 20 aprile 1945, a 23 anni, il giorno in cui creò la sua Ninfa, e dieci giorni dopo fu ritrovato a Bovec, in Jugoslavia, proprio dietro il Canal del Ferro, coperto di sangue non suo, agitato come un demonio e con il ritratto arrotolato in mano. Da allora, l’uomo è diventato una “tomba vivente”: non ha mai più parlato e trascorre le sue giornate infossato in una poltrona, con i cristallini occhi azzurri piantati nel bosco davanti a sè. I suoi quadri, dieci in tutto oltre alla Ninfa, realizzati in montagna nei giorni della Resistenza, furono notati da un soldato americano intenditore d’arte e nel tempo hanno raggiunto quotazioni altissime. Ma quando il bisnipote di Andrian, Raffaello, porta il ritratto in una galleria, il sangue viene scoperto e l’oscura identità della Ninfa richiama nella valle l’ispettrice Battaglia e il suo braccio destro, Massimo Marini.
Tra i quadri di Andrian ce n’è un altro con una scena singolare e inquietante: due bambini, una femmina dagli occhi eccitati, e un maschio con in mano un fucile fumante. Accanto a loro un giovane partigiano e nella strada sottostante un militare tedesco su un carro trainato da un cavallo, che scarta per il colpo sparato. Chi sono i personaggi dipinti? E l’episodio è reale o immaginato dal pittore?
Le due storie si intrecciano quando Teresa scopre che il dna della “Ninfa”, unico al mondo e solo dei resiani, è quello della giovane Aniza, scomparsa misteriosamente proprio il 20 aprile 1945 mentre si inoltrava nel bosco per incontrare qualcuno, forse un innamorato. Tutto il paese la cercò, invano, mentre nell’aria si alzavano le note di violino dell’arduo “Trillo del diavolo” di Tartini. La bambina dell’altro quadro è invece la nipote di Aniza, la piccola Ewa, e il maschietto vicino a lei è suo fratello Francesco, tutt’ora vivente. Ewa è morta di malattia da anni, sua figlia Hanna è perita oscuramente in un incendio, l’ultima discendente in linea femminile della famiglia è la giovane Krisnja, identica ad Aniza, quasi una Ninfa rediviva.
Un’altra opera d’arte si innesta nella trama, un’icona che rappresenta la “Virgen Negra”, Madonna blasfema tardobizantina che altro non è che Iside, dea oggetto di un culto oscuro, per adepti. Fu rubata dal santuario di Castelmonte e i bambini la sottrassero a loro volta al tedesco, credendolo morto: che fine ha fatto?
In un mondo sospeso e impenetrabile, ferino e fortemente matriarcale, Teresa Battaglia, con il corpo franante e un dolore lontano e mai sopito, deve opporsi a donne sciamane, guerriere, fascinose, che sbucano del passato e incombono sul presente. Una sorellanza che aiuta a dare la vita, nel cerchio del parto, ma che, quella vita stessa, può sottometterla, plagiarla, eliminarla. Anche l’ispettore Marini combatte contro un dna che crede destino inespugnabile, ma Teresa lo aiuterà a liberarsi dai fantasmi, riversando su di lui l’accudimento per il figlio mai nato, che ancora sente agitarsi dentro di lei. In vista di una probabile serialità, l’autrice inserisce un nuovo personaggio, la giovane ipovedente Blanca e il suo Smokey, cane da ossa e pezzi di cadavere.
Nessun set di fantasia, nel secondo romanzo di Ilaria Tuti. I luoghi sono reali, e la tutela delle minoranze etno-linguistiche un problema sempre aperto, terreno minato a queste latitudini. La Val Resia è abitata da un popolo antichissimo, giunto dal Mar Caspio, nel VI secolo d.C., al seguito di Unni e Avari. La lingua parlata è uno slavo arcaico e nobile, mescolanza di suoni e radici dai confini dell’Europa, la cui custodia e trasmissione sono affidate alle donne, come i nomi, la conoscenza delle erbe, la memoria dei canti e delle tradizioni. L’assimilazione legislativa allo sloveno è una ferita per quest’etnia, superba della sua unicità.
Mescolando realtà e fantasia nella trama del thriller, Ilaria Tuti affronta temi delicati, facendosi portavoce della comunità, senza paura di esporsi. Come la sua protagonista Teresa, che alla fine di un’intricata e ambiziosa tessitura, riuscirà a ridare pace ad Aniza e al partigiano pittore. L’investigatrice riavrà anche il diario che le era stato rubato, con cui riempie i buchi della memoria, insieme a un laconico avvertimento. Il primo indizio di un’altra indagine.
@boria_a
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